Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 30 Giovedì calendario

Intervista a Lashana Lynch, la nuova 007

«Con No time to die facciamo la storia». Non la tocca piano Lashana Lynch, il nuovo 007. Sì, perché nel venticinquesimo film della saga James Bond va in pensione e al suo posto c’è Nomi, che maneggia armi e ironia come lui. E anche se nei 163 minuti di montagne russe — il lungo, roboante e romantico addio dell’era segnata da Daniel Craig — si scherza sul fatto che quelle tre cifre "sono solo numeri", è chiara la partita di ruoli e generi che si sta giocando in un mondo che è profondamente cambiato. Nel blockbuster di Cary Joji Fukunaga, in sala da oggi con Universal, emerge l’agente al servizio di Sua Maestà incarnata dalla statuaria attrice londinese di origine giamaicana. A lei spetta il ruolo più simbolico, tra quelli femminili cesellati nel film, e una serie di momenti e battute che portano la firma e lo spirito di Phoebe Waller-Bridge, l’arruolata autrice di Fleabag. Allora il festino del crimine mondiale diventa "il bunga bunga della Spectre, e il fascino di Bond è dimezzato: "Ma cosa farà alle donne?" si chiede stupita Nomi vedendo Madeleine/Léa Seydoux semisvenuta alla vista di James.
La lunga attesa è finita.
«Che sollievo. Per un secondo ho pensato che nessuno lo avrebbe mai visto. Sono felice che ci siamo riabbracciati con i colleghi. E di celebrare questo momento nel modo in cui merita: in sala».
I suoi primi ricordi di Bond?
«Mio padre li vedeva con me, ma la prima vera esperienza è stato Casino Royale al cinema. Ammiravo il lavoro di Craig, sapevo che avrebbe portato qualcosa di radicale, oscuro e pericoloso e mi avrebbe fatto sentire, da londinese, attratta dalla sua versione di Bond».
Com’è arrivata al ruolo?
«Da attore speri di fare una variazione di ruoli che insegnano e migliorano. Alcuni li immaginavi, altri vengono dal nulla. Come questo. Ho fatto uno spettacolo al London’s Royal Court Theatre, Ear for eye , prodotto da Barbara Broccoli. Qualche settimana dopo mi è stato chiesto di fare un provino. Non sapevo di cosa si trattasse, che personaggio fosse. Solo dopo ho capito che era la "badass", la tizia tosta della serie».
Chi è Nomi?
«Una combattente, dentro e fuori. Altamente qualificata, pronta a prendere il controllo in qualunque situazione. Ha una presenza e una forza — per me attraente — che ritrovo in donne che conosco, che intuisco in donne che incrocio per strada. Vorrei che le giovani potessero identificarsi, che le ispirasse non necessariamente ad essere come lei, ma ad avere la sua forza. Quella fisica, e quella interiore che deriva dal grande lavoro fatto sull’autostima, sull’equilibrio, sull’aver trovato e ascoltato il suo dio interiore».
Anche lei sembra una combattente.
«Ho una mia durezza che eredito dalla famiglia, direi anche dai miei antenati. Quindi sto solo canalizzando lì qualcosa che ho sempre avuto. Essendo londinese, e giamaicana, c’è una forza che arriva dal dover accedere a diverse parti di te per navigare in questo mondo strano e meraviglioso in cui viviamo. Ed è stato bello poter attingere a questo per Nomi, perché lei è sfaccettata, aperta e misteriosa, feroce e vulnerabile».
Feroce anche fisicamente.
«La preparazione fisica è stata fantastica. Al primo incontro con i trainer mi hanno avvertita, "sarà dura". Ho risposto: non vi preoccupate di risparmiarmi, voglio preparare il corpo come se dovessi fare questo tipo di film per tutta la vita. Al prossimo, mi basterà lasciare entrare in azione la mia memoria muscolare».
Ricordo le polemiche quando trapelò che il suo era un ruolo da doppio zero. Ma tutto cambia rapidamente, lo dimostrano il Leone e la Palma vinte da due registe.
«I passi in avanti nel settore sono così imperativi e tempestivi che mi sento grata di essere un’adulta in grado di assorbire tutto ciò che comporta. Uso gli esempi delle mie antenate, il loro lavoro, le fondamenta che hanno gettato per me. Non dobbiamo togliere il piede dall’acceleratore. Bisogna costruire un momento in cui io posso parlare con un’altra donna e lei mi possa chiedere solo "Ti sei divertita con il ruolo?". Dobbiamo conquistare il mondo, ma farlo è estenuante. Più siamo, prima creeremo una nuova normalità».
E ora?
«Non vedo l’ora di sapere cosa pensa il mondo di questa donna di colore, feroce e supponente, e del suo faccia a faccia con Bond. Abbiamo piantato una bandiera, è un momento da cui non si torna indietro».