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 2021  settembre 30 Giovedì calendario

Intervista a Francesco Vezzoli

In piazza della Signoria, a Firenze, un leone sta per sbranare la testa di un senatore romano. Non è il ciak di un sequel impossibile del Gladiatore, ma la nuova opera di Francesco Vezzoli che, nella capitale del Rinascimento, rappresenta per primo l’arte al tempo della cancel culture. L’installazione apparirà nelle prossime ore e per sei mesi farà da pendant con un’altra scultura che cita Gli archeologi di de Chirico nello Studiolo di Francesco I a Palazzo Vecchio (Francesco Vezzoli in Florence, a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti).

Vezzoli, il leone che divora la storia sembra un attacco diretto alla cancel culture e alle sue derive.
«Ho cercato di fotografare la violenza del dibattito di questo momento. Abbiamo tutti bisogno di capire quale posizione prendere: il tema è ancora troppo caldo».
Che posizione prende lei?
«Se il gioco è "aggiungi un posto a tavola", ci sto. Sono a favore dell’inclusività, ci mancherebbe. Negli anni Novanta, sono scappato dalla provincia per questo: la mia identità non era inclusa. Ma oggi rischiamo il contrario, di restringere lo spettro culturale a danno di altri. Non ci può essere una norma dell’inclusività. Il nostro desiderio legittimo di rispettare gli orientamenti non ci può far dimenticare i vissuti diversi del mondo e i momenti della storia».
Il leone sta davvero mangiando la storia?
«Il dovere degli artisti è quello di rappresentare il momento che stiamo attraversando. È un momento molto violento. Dobbiamo chiederci: è giusta questa violenza, è necessaria, è utile al leone? Non rischia d portarci indietro? Con i social è un attimo e ci troviamo agli anni Ottanta e al riflusso».
Negli anni Ottanta, c’era un’idea diversa di libertà?
«Lo sa che oggi uno come Robert Mapplethorpe, che con le sue fotografie è stato la bandiera della liberazione e del desiderio, sarebbe censurato? Per avere reso oggetto il corpo... maschile e afroamericano per di più. Questo ci deve far riflettere. Dovremmo aprirci a questo dibattito nuovo e pericoloso con un’attitudine non censoria».
Lo sa che il suo discorso rischia di suonare reazionario, soprattutto oggi nel mondo dell’arte?
«Anche in questo momento, come ho fatto sin da quando ero giovane a Brescia, non resisto alla tentazione di non allinearmi. Gli allineati passano alla cronaca, non alla storia. Tuttavia temo di essere abbracciato da persone con cui non condivido il punto di vista. Non vorrei che domani si dicesse: ecco, finalmente, abbiamo un artista di destra. Il mio, alla fine, è un lavoro sull’antichità. Compro da dieci anni le statue romane alle aste americane. È tutto legale, anzi, in qualche modo faccio un’opera di restituzione (ride). La testa romana del II secolo che è in bocca al leone viene da una collezione di Chicago».
Negli Stati Uniti le collezioni dei musei si ridisegnano per includere le minoranze.
«Questo può essere un bene. Ma deve essere un’operazione fatta in modo equo e disinvolto. Il MoMA quanti Fontana e Burri ha? Si preoccupa di rappresentare anche la comunità italoamericana? Per noi, italiani esterofili, che abbiamo sempre avuto l’attitudine di abbracciare le culture altrui è difficile da capire. Eppure non siamo mai stati ricambiati».
Arriva in piazza della Signoria dopo Fabre, Fischer, Koons...
«È un grande onore, ma per loro è stato più semplice: si trattava di rapportarsi a qualcosa che non fa parte delle loro radici. Per me è una sfida alla classicità, a una storia che mi appartiene. In ogni caso, preferisco allinearmi alla Loggia dei Lanzi che alla Loggia P2 (ride)».
Insomma, Vezzoli attacca la cancel culture. Non la vorranno più nei musei.
«Nei musei non si entra gratis. Lo spazio si conquista. Comunque, non togliamo Le metamorfosi di Ovidio dalla biblioteca della Columbia University. Non lasciamo che il prossimo 007 sia una donna, ma rivalutiamo Messalina e Agrippina, penalizzate dallo sguardo degli storici maschilisti. E, se proprio dobbiamo abbattere qualcuno, facciamolo con Trump, non con Cristoforo Colombo».