Il Messaggero, 30 settembre 2021
Ritratto di Cristina, principessa di Belgioioso
«Ricca erede, cresciuta nelle costumanze dell’aristocrazia milanese, non conoscevo proprio nulla delle necessità della vita Potevo dipingere, cantare, suonare ma non avrei saputo cuocere un uovo». Così si descrive, durante l’esilio a Parigi, la figlia di Gerolamo Trivulzio e Vittoria Gheradini, ovvero Cristina, principessa di Belgioioso grazie al matrimonio con Emilio Barbiano. Sospettata dall’Austria e dal capo della Polizia Torresani per le attività patriottiche e il sostegno a Mazzini, è emigrata in Francia intorno al 1831 ed è stata punita con il sequestro del patrimonio. In ristrettezze, ha iniziato a scrivere per il giornale Constitutionnel firmandosi La Princesse ruinée, La Principessa rovinata. Il patrimonio le verrà restituito, ma lei continuerà a dedicarsi alla scrittura, dando inoltre libero corso all’interesse per il sociale, creando una comunità agricola sul modello di Fournier.
L’INFANZIA
Fascinosa, colta, generosa, intelligente, è una delle figure femminili più interessanti del Risorgimento italiano, a lungo quasi dimenticata. La sua immagine è arrivata a noi grazie al dipinto di Francesco Hayez; nonché all’opera di Henri Lehmann e di altri. Quando Cristina nasce nel palazzo di famiglia milanese, quel 28 giugno 1808, è ancora sul trono Napoleone. Bambina timida, malinconica, cagionevole (soffre di epilessia), perde il padre a quattro anni, e la madre si risposa con Alessandro Visconti, da cui avrà altri figli. Il rapporto con il patrigno è affettuoso, per cui l’arresto di questi, carbonaro, è un trauma. Riversa allora il suo affetto sulla maestra Ernesta Bisi. A sedici anni sposa il principe Emilio Barbiano di Belgioioso: un matrimonio non felice, che si conclude in una separazione, dato il temperamento seduttore e spendaccione di lui. Intanto Cristina ha preso a cuore la causa dell’Unità: la polizia si limita per il momento a sorvegliarla, vista l’importanza della sua famiglia. Lei si sposta a Genova, dove stringe rapporti con i notabili; dopodiché dal 1829 comincia a viaggiare fra l’Italia e l’Europa. Consapevole del valore della cultura e dell’istruzione, musa dei salotti, la Belgioioso è al centro della scena e suscita molte invidie. Di fede repubblicana, diventerà Maestra Giardiniera, poi Sorella della Giovane Italia. A Firenze fa amicizia con Gian Pietro Vieusseux, fondatore dell’Antologia; a Roma con Ortensia de Beauharnais e i suoi figli. Va poi a vivere in Svizzera, dove offre il suo aiuto ai rifugiati politici: il controllo della polizia si fa più serrato, viene accusata di essere emigrata in modo illegale, per cui dovrebbe tornare nel Lombardo-Veneto. Riesce invece a fuggire, si sposta a Parigi.
IL PERIODO PARIGINO
Nella Ville Lumière diventa amica del marchese la Fayette, di George Sand e Alfred de Musset, Vincenzo Bellini, Honoré de Balzac, Franz Listz, Friedrich Heine, Pietro Maroncelli e molti altri. Il suo fascino colpisce anche Chateaubriand, ma il grande amore scoppia con lo storico François de Mignet, che è probabilmente il padre dell’unica figlia di Cristina, Maria, nata nel dicembre 1838. Dopo la sua nascita, la Belgioioso abbandona la vita mondana, passa un periodo in Inghilterra, dove rivede il futuro Napoleone III, che andrà in seguito a visitare nella fortezza di Ham per sensibilizzarlo sulle sorti italiane. Tornata nel ’40 in Lombardia, ha il dolore di vedersi negato da Alessandro Manzoni un ultimo incontro con la madre di lui, Giulia Beccaria. Si sposta quindi a Locate, nelle terre di famiglia, dove si adopera per migliorare la vita dei contadini e dei poveri, aprendo scuole e laboratori. Pare che Manzoni, ironico, commenti: «Se i contadini diventano dotti, chi zapperà le nostre terre?». Allontanatasi da Mazzini, che aveva finanziato ma di cui non condivide più la strategia, Cristina si avvicina ai Savoia. Pensa sempre che «una repubblica sia la più perfetta forma di governo», ma ritiene che in quella fase occorra essere monarchici. Durante le Cinque Giornate di Milano si presenta, elegantissima, alla testa di un gruppo di patrioti napoletani che ha portato con sé. È a Roma nel 1849, durante la Repubblica romana: organizza gli ospedali, redige un Appello per le donne, tiene la mano di Mameli ferito; eppure viene incolpata dal clero di aver infilato delle prostitute fra le infermiere. Deve quindi emigrare, va in Asia minore con la figlia e si ferma a vivere in Turchia, dove mette in piedi un’attività agricola. Grazie a una amnistia, ritorna in Italia nel 1855 e continua la sua attività.
IL DESTINO
Con l’Unità del 1861 viene messa da parte (non è invitata neppure al ricevimento di Vittorio Emanuele II) e si confina fra Milano, Locate e il lago di Como. «Sono destinata a vivere sola», dice. Scompare nel 1871, ma alle sue esequie non partecipano i nuovi uomini al comando. Nel saggio Della presente condizione delle donne e del loro avvenire si era chiesta: «Perché dall’uomo si pretende il coraggio, ma questa virtù non è permessa alla donna? Perché nulla è più antipatico dell’intelligenza, della forza, del coraggio femminile?». Una domanda a cui non c’è risposta.