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 2021  settembre 29 Mercoledì calendario

Biografia di Bill Murray, il filosofo-pagliaccio

I Navajo hanno il Coyote, gli Ashanti del Ghana Anansi, i norreni Loki, “figure mitologiche che hanno insegnato all’umanità come l’acume possa ravvivare e arricchire la specie”. E noi, chi abbiamo? L’America del Ventunesimo secolo, e non solo quella, “ha il signor William Murray, moderna divinità trasformista, il nostro filosofo-pagliaccio”.
Ok, William non dice nulla, ma Bill? Qualche decennio fa, egli stesso provvide a fornire la propria biografia: “Bill Murray, quinto di nove figli, cerca qualcuno che lo sostituisca in famiglia. Bill ha un sacco di problemi personali… gli interessano i cibi organici, l’ecologia e i rapporti umani, se solo avesse tempo per occuparsene”. Sta per arrivare in Italia – aprirà la XIX edizione di Alice nella città il 14 ottobre a Roma – Ghostbusters: Legacy, in cui ha un cammeo, per intanto Bill preferisce tornare alla primigenia (1984) action-comedy sulla squadra di investigatori del paranormale: l’idea fu di Dan Aykroyd, la regia di Ivan Reitman, la sua parte originariamente pensata per John Belushi, il botteghino, che predisse correttamente “più di Tootsie e meno di Guerre stellari”, super. Gli rimasero in tasca 3 milioni di dollari, più percentuale sugli incassi, ci rimase negli occhi una figura indolente e sarcastica, “un saputello che si faceva beffe dell’autorità costituita”. Ma quel sorrisetto davanti all’obbiettivo “che comunicava il suo disprezzo sia per i vertici dell’America di Reagan sia per chi stava dietro la macchina da presa” non sarebbe durato: bene gli acchiappafantasmi, bene Ricomincio da capo, meno bene il resto. Bill non sa (più) quel che vuole, noi non sappiamo se lo vogliamo ancora. Serviranno punti(ni) di sospensione, altri interrogativi, altri a capo, per scovare il secondo Bill Murray, il mistero cult che veneriamo oggi. L’epifania nel 1998, officia Wes Anderson, e il Nostro si presta “in modo ironico e genuino a Herman Blume, un industriale innamorato perso”. Rushmore – il sodalizio con Anderson produrrà ulteriori opere: la settima, The French Dispatch, esce l’11 novembre prossimo – è il cambio di rotta, l’avvento di un nuovo Murray possibile, il viatico a Sofia Coppola (Lost in Translation), Jim Jarmush (Broken Flowers), Aaron Schneider (The Funeral Party). Il primo nel 2004 gli vale il Golden Globe quale migliore attore in un musical o in una commedia, che ricambia con un acceptance speech da ginnasio nichilista: “Potete rilassarvi. Ho licenziato i miei agenti un paio di mesi fa. Il mio istruttore, il mio istruttore di ginnastica, si è suicidato”. Gli astanti risero, ma era tutto vero.
Via dalla pazza folla, lontano dal vademecum hollywoodiano, alla porta agente, manager e ufficio stampa, Bill Murray è sempre più come appare, e viceversa: una divinità, senza passare dal divo. Al fenomeno, invero religioso, Gavin Edwards ha dedicato un saggio informato e scanzonato, profondo e divertito, L’arte di essere Bill Murray, che promette – e mantiene – “assurde storie vere sulla gioia, lo zen e l’arte di imbucarsi alle feste”. Indiscrezioni e accertamenti, mitologie e cosmogonie, l’universo di Murray è esplorato, l’identikit di Bill perfezionato: “Penso che sul mio viso ci siano i segni di due o tre batoste. Sono felice se do l’idea di esserne uscito illeso”. Una batosta è il divorzio da Jennifer Butler nel 2008: alla costumista l’affido dei quattro figli, due case e 7 milioni di dollari, a noi l’iconoclastia. La fine del rapporto gli addebita, e nemmeno sono le peggiori, accuse di “adulterio, dipendenza da marijuana e alcol, comportamenti molesti, maltrattamenti, dipendenza dal sesso e abbandono ricorrente del tetto coniugale”. Murray ne esce, o non ne entra, e perfeziona l’imperativo categorico, e forse pure morale: “Quando diventi un adulto e ti scegli i passatempi, devono essere degni di essere scelti”. Vale lo stesso per i film, e anche per i suoi: I Tenenbaum (2001) o Lost in Translation (2003), Moonrise Kingdom (2012) o Broken Flowers (2005), da dove iniziamo?
 
 
L’anticipazione I dieci comandamenti dell’attore americano
Il Vangelo secondo Bill: “Il caso è un’aragosta, siate generosi”
 
Primo principio. Gli oggetti sono opportunità.
Secondo principio. La sorpresa è oro. Il caso è un’aragosta.
Terzo principio. Autoinvìtati alla festa.
Quarto principio. Assicurati che siano invitati anche tutti gli altri.
Quinto principio. La musica unisce le persone.
Sesto principio. Sii generoso con il mondo.
Settimo principio. Insisti, insisti, insisti.
Ottavo principio. Conosci i tuoi piaceri e le loro regole.
Nono principio. Lo spirito segue il corpo.
Decimo principio. Mentre la Terra gira, renditi utile.
Bill Murray