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 2021  settembre 29 Mercoledì calendario

Quanto influisce la crisi cinese su prezzi e catene di fornitura

In Cina tutto è più grande: la fame di energia, così come le difficoltà ad approvvigionarsi in un mercato in cui oggi – a livello globale – qualsiasi combustibile scarseggia e costa sempre più caro. Anche la sfida di coniugare sviluppo economico e transizione energetica qui è ancora più difficile che altrove. E lo dimostra la crisi esplosa in questi giorni (ma che si preparava sotto traccia da mesi), di cui probabilmente il mondo ha solo cominciato ad avvertire l’impatto.
La Cina è grande, anzi grandissima. E altrettanto grande è la sua influenza sui prezzi e sulla disponibilità di materie prime, sulle catene di rifornimento – già spezzate in più punti in questa impetuosa quanto tormentata ripresa post Covid – e in definitiva sulla salute dell’economia globale. Se la locomotiva asiatica frena bruscamente, magari inciampando nel doppio ostacolo di uno shock energetico e di un default del colosso immobiliare Evergrande, sarà un problema serio. Non solo per i cinesi, ma per tutti.
La Repubblica popolare è insieme vittima e corresponsabile dell’impennata dei prezzi dell’energia, che l’Europa sta soffrendo in modo particolare. Il petrolio Brent ha superato 80 dollari al barile nella seduta di ieri, ai massimi da tre anni (anche se poi ha ritracciato) e il gas ha aggiornato per l’ennesima volta il record storico, con un balzo del 10% sopra 85 €/Megawattora al Ttf olandese. Nuovo primato anche per i diritti Ue per le emissioni di CO2, a 65,30 €/tonnellata, più che raddoppiati da inizio anno.
Il caro energia non è un problema solo europeo. E nel mondo tutto si tiene. Negli Usa per la prima volta da sette anni il prezzo del gas è volato sopra 6 $/MMBtu sul timore di carenze invernali e sulla forte domanda di Gnl sui mercati di esportazione, a cominciare dalla Cina dove i consumi stanno crescendo ancora di più che altrove, mentre Pechino cerca di attenuare la dipendenza dal carbone, che tuttora soddisfa quasi due terzi del fabbisogno energetico. Le importazioni cinesi di gas sono aumentate del 22% nei primi otto mesi di quest’anno: una domanda extra che si somma a quella degli altri Paesi asiatici (anch’essa in crescita) e dell’Europa, che da mesi riceve forniture ridotte dalla Russia, e che provoca un’intensa competizione sul mercato del Gnl. Per i carichi spot – liberi di spostarsi in giro per il mondo in base ai segnali di prezzo – si spendono cifre sempre più elevate: il Jkm, benchmark asiatico, ormai sfiora 30 $/MMBtu, lanciato in una rincorsa sempre più sfrenata con le quotazioni del gas in Europa.
È una spirale infinita, che coinvolge anche il carbone, di cui vorremmo liberarci ma che è tornato in auge persino in Europa in risposta alle carenze e ai prezzi stratosferici del gas (oltre che a una prolungata bonaccia di vento, che fino a poco tempo fa ha paralizzato molti impianti eolici).
La Cina, che ha rallentato anche le miniere per motivi ambientali, è diventata più dipendente dall’estero. E il boicottaggio dell’Australia la spinge a rifornirsi di carbone da altri Paesi, aumentando le tensioni sul mercato. Risultato: procurarsi il combustibile è diventato difficile anche per altri Paesi consumatori (come l’India, che ormai ha scorte ridotte) e i prezzi sono a livelli record ovunque. Motivo in più per temere un effetto contagio sul petrolio: con prezzi alle stelle sia per il gas che per il carbone, in molte aree del mondo è già aumentato il ricorso a prodotti petroliferi per generare elettricità. La crisi cinese rischia di accentuare questa tendenza, oltre a provocare effetti a cascata su numerose altre materie prime e settori industriali.
Acciaierie, fonderie di alluminio e altri impianti metallurgici, in quanto energivori, sono stati tra i primi ad essere costretti a rallentare l’attività in Cina (fin dalla primavera scorsa) per evitare blackout e per rispettare le direttive sulle emissioni di gas serra: un fenomeno che è stato tra i maggiori fattori rialzisti per le quotazioni dei metalli negli ultimi mesi e che spiega in particolare il rally dell’alluminio, che ha superato 3mila dollari per tonnellata al Lme, record da 13 anni.
Questa settimana le quotazioni dei metalli sono in ribasso: in primo piano c’è la possibile frenata dei consumi cinesi, ora che a fermarsi per la crisi energetica sono attività industriali di ogni genere, mentre sulle costruzioni incombe il possibile crac di Evergrande. Ma a questo punto si aprono nuovi rischi per l’economia globale, che potrebbe soffrire ulteriori interruzioni nelle supply chain.