Corriere della Sera, 29 settembre 2021
Il catalogo degli uomini di Isabella Bossi Fedrigotti
Messere, il catalogo è questo: in ordine sparso, il Magnifico macho meridionale, lo Straordinario trasformista, il Silenzioso complice e traditore, lo Stazzonato gentiluomo, l’Adorabile narciso o, perché no?, il Chiarissimo professore, l’Esperto rubacuori e il Sanissimo salutista.
Ma Donna Isabella, a differenza di Don Giovanni (o Leporello per lui), non sfodera un inventario delle proprie conquiste. Il suo è piuttosto un accurato studio antropologico affettivo. Una carrellata, tutta al maschile, di pregi e difetti, vizi e vezzi; un cassetto che si apre lentamente su fotografie conservate con previdenza dall’autrice o da qualche sua generosa confidente. E se pochi, pochissimi famigliari e conoscenti riusciranno a indovinare il soggetto cui si riferiscono le precise pennellate di ogni ritratto, non è difficile identificare alcune tipologie maschili assai comuni e qualche variante pericolosa, ma irrimediabilmente seduttiva.
Tutti i miei uomini esce domani per i tipi di Longanesi a firma di Isabella Bossi Fedrigotti e a poco più di vent’anni di distanza dal Catalogo delle amiche (Bur) che la scrittrice e giornalista dedicò a dieci donne, molto sognatrici e poco inclini a privilegiare sé stesse. Tutti i miei uomini, dunque, non sono stati proprio tutti suoi o non tutti sono davvero transitati nella sua vita, ma a loro l’autrice si rivolge direttamente, in prima persona, con un misto di nostalgia e di tenerezza, di indulgenza e di ironia. Una soave resa dei conti a favore delle amiche che hanno amato troppo.
Il «Mio leggendario Jonathan» arriva settimo, nell’indice del volume, ma primo in questa immaginaria educazione sentimentale iniziata, agli albori della pubertà e dei turbamenti, con l’arrivo di un ospite imprevisto, di passaggio per un paio di giorni nella casa di famiglia. L’Io Narrante ha 12 anni e l’oggetto della sua fascinazione non arriva ai trenta. Soprattutto ha quel nome, «Jonathan, una parola che usciva dalla bocca come un lungo sospiro», sufficiente a infiammare fantasie che un clinico prosaico definirebbe forse ormoni adolescenziali, se non fossero indelebili, se non si fossero limitate al sogno di «qualche sguardo d’intesa» con l’ignaro forestiero. E al furto con destrezza di una camicia maschile a quadretti.
Se sui primi principi azzurri la casistica è certamente ampia nelle memorie femminili, molte lettrici vivranno il brivido di un déjà vu tra le righe del «Mio incurabile Don Giovanni»: seduttore seriale, sposato e sedicente separato in casa, «per amore dei ragazzi che hanno diritto di avere padre e madre sotto lo stesso tetto». Passione, promesse, progetti e poi il più prevedibile dei benserviti: «Tu meriti più di quel che ti posso offrire. E ho già una moglie che, oltretutto, in questo momento ha problemi di salute».
Niente a che vedere con il «Mio magnifico macho meridionale», quasi certamente il protagonista principale, la cui eterna giovinezza conclude la rassegna come il fuoco d’artificio finale: «Chi muore giovane è caro agli dei» ripeteva all’Io Narrante per consolarla di un imminente addio che non sarebbe mai potuto avvenire altrimenti. L’ha lasciata a chiedersi: «Chissà se a sessanta, settant’anni, ogni tanto mi avresti preso ancora la mano, anche se di nascosto, dietro la schiena oppure al buio, per non smentire la tua immagine di uomo forte, di sovrano macho meridionale?».
Tante domande e alcune certezze, quelle che custodiscono le mogli più fortunate: «Li avresti amati, i nipoti, di questo sono sicura e mi piace immaginarti alle prese con loro. Vestirli, certamente, no; lavarli neanche, dar loro da mangiare idem e leggere loro le fiabe men che meno». Al di fuori del cliché del nuovo maschio casalingo e politicamente corretto c’erano orizzonti di insospettata e inossidabile felicità: «E dimmi che da anziano mi avresti ancora fatto trovare, di tanto in tanto, quei bigliettini chiusi in busta come se dovessero andare alla posta, sui quali scrivevi, con la tua grafia forte e cattiva, frasi inaspettatamente dolci. Stai tranquillo, le tengo segrete per non smentire nemmeno ora la tua chiara fama di macho».
Strano, ma (quasi) tutti i suoi uomini sembrano conoscere come fini psicologi le debolezze della controparte femminile, quella paziente voglia di assistere, proteggere, curare. Sanno approfittare di quella infinita tolleranza che permette al «Mio esperto rubacuori» di farla franca anche quando, per distrazione o noncuranza, dovesse verificarsi «un affollamento, con due accuditrici in azione più o meno contemporaneamente». Di fronte alla più sfacciata delle evidenze, è l’uomo che sa sempre negare e dissimulare con occhio innocente: vero, c’è stata una processione femminile nel suo appartamento, ma non si tratta che di «buone amiche». Prova ne è che non ne ha mai sposata nessuna. Pare.
Non è mai troppo tardi per essere un narciso, come dimostra il «Mio chiarissimo professore», il «re della prateria», il grande cattedratico che si autorizza la bigamia. E nemmeno troppo presto, nel campionario di Donna Isabella, che depone le armi, il sarcasmo e ogni residuo di severità di fronte all’esemplare più capriccioso e prepotente di tutta la sua galleria: «Io, purtroppo, sono pazza di te, sono capitolata nel momento in cui ti ho visto. Non so resistere al tuo ciuffo biondo, ai tuoi begli occhi verdi, a quel mento un po’ proteso in avanti come segno della tua voglia di affermarti, di avere ragione sempre e comunque».
Ma poi perché resistere? Crescerà, il piccolo narciso, e cercherà negli occhi della donna ideale quel primo sguardo innamorato che gli ha aperto le porte dell’universo femminile.