la Repubblica, 29 settembre 2021
Su “Titane”, il film che ha vinto al Festival di Cannes
È vero, viviamo in tempi difficili, ci vaccinano di qua e di là e non è mai abbastanza, squadroni di “a me non me la fai” adorati dai talkshow e dalle piazze rendono l’informazione noiosissima, l’ago è diventato vuoi il simbolo del buon governo che della tirannia, ma almeno lo si vede penetrare nelle braccia di grandi e piccini, non in altri luoghi di solito deputati alla bisogna sanitaria: quindi viene voglia di chiedere alla giovane regista dell’immagine ardimentosa, era proprio necessario mostrarci l’imperante siringa (in questo caso con anabolizzanti) penetrare nelle naticone montagnose di Vincent Lindon, che di suo sarebbe un uomo di maturo fascino ma se ti pone più volte davanti il suo sedere nudo ti fa cadere nello sconforto? Eppure guai se l’uomo e il suo didietro non ci fossero nel film Titane (in sala dall’1 ottobre con I Wonder), i cui oltraggi al pubblico risanato e tornato sia pur mascherinato e distanziato nelle sale, gli hanno meritato la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2021. (Una prece in ricordo di quando le coppie andavano al cinema per accavallarsi).
Ricapitoliamo. L’antefatto racconta di una bimba furibonda col babbo che guida la macchina e per star sveglio l’assorda con la musica; incidente, babbo integro, bimba privata della tempia destra e visto il seguito forse anche di parte del cervello, sostituiti appunto da una lastra di titanio: e non un chirurgo plastico, non i genitori, non un parrucchiere, non Borsalino, non lei stessa, pensano di occultare la sgradevole ferita. Metafora? Chissà. Diventata una trentenne spettinata, muta e in giubbotto nero di pelle, Alexia si esibisce in un salone dell’auto come altre belle signorine un po’ svestite e subito si capisce che lei, come gli omacci che si leccano i baffi toccando le auto di lusso, si è presa una sbandata per una Cadillac alquanto minacciosa. Fedele alla stessa, guai agli uomini, donne e altro che la toccano: toglie il lungo spillone che le tiene insieme lo chignon e zac lo infila tutto nel loro orecchio sino al cervello, che infatti le viene vomitato addosso. Sarà colpa del titanio? E allora noi vecchi con la protesi dell’anca pure in metallo, non ci scopriremo assassini?
Alexia non avrà testa però cuore sì, infatti ecco nel silenzio della notte lo stridio metallico della Cadillac che, come fosse l’auto dei Simpsons, si scuote tutta compresi i fari accesi; dentro l’orgasmica Alexia, braccia e gambe spalancate, si concede, finalmente appagata. Ma la Cadillac, imprevidente o indifferente, non si è protetta, e la sedotta si ritrova incinta. Inutile tentare con il suo spillone un autoaborto; perde un po’ di carburante ma la creaturina resta dove è.
Julia Ducournau, bella signora francese di 38 anni, ha un appassionato seguito soprattutto giovane dovuto al suo primo film, scritto e diretto da lei, distribuito in Italia in home video nel 2017 col titolo Raw – Una cruda verità, il cui merito massimo, raccontando di una studentessa vegetariana diventata cannibale, è stato quello di procurare numerosi svenimenti al Festival di Toronto, ma invece grande apprezzamento alla Settimana della Critica di Cannes, dove il pubblico è più colto. Era ovvio che con l’attuale (e per le stesse pericoloso) protagonismo delle donne, al Festival di Cannes doveva vincere un film scritto e diretto da una donna (come era accaduto agli Oscar e poi a Venezia), possibilmente una donna all’ultima moda, cioè di pensiero non tradizionale, che raccontasse di una donna talmente libera dal patriarcato da essere tutto tranne che una donna. Essendo americano, di profonda cultura americana e autore di cinema molto americano, prono a tutto ciò che pensa sia europeo anzi francese, Spike Lee, presidente della giuria internazionale (nessun italiano) ne è rimasto folgorato e ha convinto tutti delle meraviglie di Titane premiandolo. Indubbiamente il pubblico giovane che si è formato nel pianeta alieno della pandemia ne è entusiasta, c’è tutto quello che frulla nei social e sta disegnando il nuovo mondo, quello che esclude noi del vecchio. Ducournau è stata svelta a fare del suo cinema il manifesto del cambiamento favoleggiato e per ora ancora evanescente e dei suoi punti salienti. Inclusività; Alexia con la sua mezza testa di titanio piace molto, altro che body shaming. Queer: lei sarebbe femmina ma si trasforma in maschio. Femminicidio: prima di essere ammazzata ammazza. Sex toys molto propagandati su Instagram: forse la Cadillac non ha le misure giuste ma fa il suo dovere. Masochismo: è l’ultima novità, sono appena usciti due libri ovviamente scritti da donne sul tema, e Alexia si spacca il naso sbattendolo più volte su un lavandino. Uomo: maschione di gruppo più gay che stupratore. La protagonista, Agatha Rousselle che forse è carina ma guai a esserlo oggi, è impolitico e maschilista, quando si traveste (trans!) da figlio perduto e ritrovato del capitano dei pompieri naticone, si rapa la testa e si fa venire il nasone storto: poi fascia il seno con carta appiccicosa ma certo è faticoso fare il maschio col pancione gravido. E finalmente proprio all’ultimo minuto accade quello che ci tiene in ansia da più di un’ora, Alexia partorisce per la gioia dell’uomo che non è padre né di lei né del nascituro: un bambino, una automobilina, una via di mezzo? Scopritelo voi, ne sarete entusiasti.