Corriere della Sera, 28 settembre 2021
Achille Lauro si sente un brand. Intervista
«Ci vorrebbe un artista night and day... C’è un Achille Lauro con la camicia e uno con i pantaloni di pelle: vivo in una bolla, non dormo, sono da qualche settimana in ritiro nella famosa villa dove lavoriamo giorno e notte alla musica e ad alti progetti. Quello che succede fuori lo percepisco dal riscontro che ho con eventi come questo». È dedicato ad Achille Lauro l’Artista Day di oggi, iniziativa con cui Corriere della Sera e Radio Italia celebrano i protagonisti della canzone.
Prima dell’Artista Day c’è stata la gavetta. Il primo concerto?
«L’ho organizzato io nel 2013. In quegli anni stavo sempre attaccato a mio fratello e ai ragazzi del collettivo in cui vivevamo: loro facevano musica. Per il mio primo concerto feci tutto da solo: presi il locale, invitai altri artisti, feci le grafiche, misi una persona in cassa. Fu un successo: vennero circa 250 persone e alla fine avanzò qualche centinaia di euro. Ho fatto così fino al 2018, suonando in posti come l’Alcatraz a Milano e il Piper a Roma. Se mi fossi fatto pagare da altri, non avrebbero investito quanto volevo fare io per lo spettacolo e l’allestimento. Io ho sempre speso tutto quello che guadagnavo per creare un’esperienza per il pubblico. Tutto quello che hai fatto per un anno fra disco o social vive in un concerto».
Erano gli anni della sua esplosione nella trap. Quest’anno a Sanremo ha fatto un percorso che omaggiava i generi musicali. Non c’era però il rap. Come mai?
«Sanremo non è un contenitore per quel genere che è più da strada. E poi non vivo più quella musica e quel mondo. Li lascio ai ragazzini delle panchine, quelli che cercano un riscatto attraverso la musica. Anche per me è stato un modo per uscire da una situazione periferica e da quegli ambienti in cui non c’è molto di bello. Col rap li esalti per fare il coglione o li denunci, ma comunque sono realtà dove c’è sofferenza e ignoranza».
Lauro è un borghese, Lauro è un delinquentello. Si sente tutto e il contrario sul suo passato: faccia chiarezza.
«Avrei voluto essere figlio di una famiglia benestante, in cui non devi combattere per portare a casa qualcosa, ma non è stato così. Però era una buona famiglia: papà ha sempre studiato e ci ha messo 30 anni per avere dei riconoscimenti sul lavoro. Non abbiamo vissuto insieme a lungo e solo negli ultimi tempi ho riallacciato i rapporti con lui. Mamma è una persona onesta, nonostante siamo quasi finiti in mezzo alla strada lei accoglieva in casa ragazzini con grossi problemi in famiglia. Questo contrasto ha fatto di me quello che sono: ho vissuto la periferia abbandonata, ma ho avuto una famiglia con persone che hanno studiato, sapevano parlare e hanno cercato di darmi un’istruzione».
Al Tempo delle Donne ha detto: «La vera forza è essere sé stessi e questo contempla anche accettare il fallimento». Quando ha fallito?
«Tante volte, ma conta la forza di volontà per ammettere i fallimenti e poi analizzarli. In ogni progetto c’è un burrone che ti può condurre lì».
Il Mudec di Milano le dedica fino al 10 ottobre una stanza, una wunderkammer con abiti, immagini e altri oggetti che raccontano questi anni. Com’è finire, da vivo, in un museo?
«Un traguardo pazzesco che mi fa capire quanto sia profondo quello che abbiamo fatto per la cultura popolare e la società. Se l’1 per cento dei ragazzini che mi segue pensa di fare qualcosa perché dice “io sono così” e non per seguire una moda è un risultato».
2019: il Sanremo in cui a sorpresa abbandona la trap e presenta «Rolls Royce».
«La prima scossa per “Rolls Royce” furono le recensioni dei giornali uscite prima del Festival. Poi ci furono le polemiche in cui cercarono di tirare in mezzo una canzone che parlava di una macchina come simbolo di successo (Striscia ci vide un riferimento alla droga, ndr): ho rischiato di finire in un burrone».
Stesso palco l’anno dopo: il mantello e la tutina di «Me ne frego»...
«Ho lavorato mesi a quei quadri... La prima sera ero più concentrato sul mantello di san Francesco che sulla performance. Se guarda la mia faccia è il riflesso di quello che stavo facendo, vedevo le prime file interdette... Sceso dal palco ho capito che qualcosa era cambiato dalle reazioni che arrivavano».
Amadeus lo ha già chiamato per l’anno prossimo?
«Dopo quello che ho fatto non saprei che fare, ci posso tornare per una cena con Ama... Non escludo nulla ma non mi prenoto. Non sarei però in grado di condurre il Festival: lascio quel ruolo a chi sa fare la tv come Amadeus, Fiorello o Mara Venier».
Cinema, moda, museo... c’è molto oltre la musica. Il suo manager Angelo Calculli pensa alla quotazione...
«Penso di aver costruito un brand che va oltre la persona fisica, un mondo a 360 gradi. Che sia la borsa istituzionale o qualcosa legato alle blockchain, arriverà la possibilità di investire su di me».
«Mille», con Fedez e Orietta Berti, è stato il tormentone dell’estate...
«Dopo il momento difficile che abbiamo passato tutti, ci voleva qualcosa di leggero, un twist anni 60. E finalmente non era musica latina. Non che non la ami, ma da fan della diversità non si può usarla solo come mezzo per scalare le classifiche».