A raccontare buone intenzioni e pessime abitudini, percezioni dei propri consumi e tattiche di risparmio ai lati opposti del globo, è l’indagine realizzata con valore statistico, sentendo ottomila persone, da Waste Watcher, International Observatory on Food & Sustainability. Condotta in otto Paesi (Italia, Spagna, Germania, Regno Unito, Usa, Canada e Cina) viene presentata oggi, alla presenza del ministro delle Politiche agricole Patuanelli, in occasione della seconda Giornata internazionale di consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari, la campagna che Spreco Zero promuove con Ipsos e l’Università di Bologna.
«È la prima indagine mondiale, serve soprattutto ad analizzare e capire i comportamenti che stanno dietro allo spreco, per poi agire con nuove politiche educative, dalla scuola alle diete. Non è un caso che sprecano di più i Paesi nordamericani rispetto ai mediterranei», sottolinea il professor Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero e ordinario di Politica agraria internazionale. Raccontando poi come gli italiani negli ultimi due anni, tra cene casalinghe e lockdown, abbiamo ridotto gli sprechi dell’11 per cento.
Il rapporto col cibo parla di noi. Della nostra storia, dei valori che ci guidano, dell’atteggiamento verso i soldi, la natura, la salute nostra e dell’ambiente. E così, se per tutti i cittadini intervistati lo spreco del cibo è un cattivo esempio per le nuove generazioni, c’è una netta differenza sul modo in cui nei vari Paesi lo valutano, lo vivono. Lo spreco di cibo è immorale soprattutto per gli italiani (77%) e per i cittadini europei in genere, ma anche per i cinesi (71%). E si identifica con il danno ambientale e lo spreco di risorse (acqua, suolo, energia) sia per gli europei che per gli orientali. Altro tipo di atteggiamento per gli inglesi (83%), gli statunitensi (73%) e i canadesi (80%) che guardano soprattutto con attenzione al danno economico.
Ma ecco come si raccontano le varie nazioni, che hanno molto in comune. Acquistano troppo e senza pensare (il 40% ha fatto male i calco-li), si dimenticano il cibo nel frigo, uno su due in media (7 su 10 in America), quasi la metà non guarda la data di scadenza. E cosi passano direttamente dal frigo al cestino dei rifiuti soprattutto frutta e verdure: 40 grammi in media a testa alla settimana negli Stati Uniti, una media del 25% in Italia. Stessa fine anche per il pane: 38,3 grammi settimanali per gli Usa; 22,3 per l’ Italia e 33 per il Regno Unito. I più attenti agli sprechi sono gli spagnoli: il 71% ha detto di buttare alimenti meno di una volta alla settimana, seguiti da russi e tedeschi (70%) e italiani (69%). I più spreconi, ma sono sempre autovalutazioni, sono i cinesi: il 75% dice di far finire tra i rifiuti frutta e verdura una o più volte alla settimana, seguiti dagli americani dove lo spreco è, per più della metà degli intervistati, un’abitudine settimanale. Se però si calcola il peso totale sprecato di pane, insalata o carne, nella lista dei buoni dopo gli italiani e i cinesi ci sono i canadesi, con 1.144 grammi a testa alla settimana buttati alle ortiche.
La dieta è mediterranea soprattutto per gli italiani e gli spagnoli. E maggiormente legata alle tradizioni e ai prodotti locali per russi e cinesi. Sono diete che aiutano a non buttare via piatti e pietanze. Spreca invece più spesso chi sostiene di avere una dieta confusa e abitudini alimentari irregolari, come il 40% dei tedeschi, il 30 dei cittadini statunitensi, il 28 dei canadesi e il 25 degli inglesi.
I cinesi sono in testa alla hit dei cittadini più interessati alla qualità del cibo: il 42% degli intervistati dichiara di privilegiarla rispetto al prezzo, seguono tedeschi e italiani con il 36% e 35%. Russi e tedeschi puntano invece all’economicità: lo fa rispettivamente il 63% e il 58% degli abitanti di quei Paesi. Per ridurre gli sprechi tutte le nazioni dell’indagine chiedono più educazione alimentare (in media otto cittadini su dieci). Altri propongono confezioni più piccole visto il grande numero di single, mentre l’idea idea di tassare chi getta cibo inutilmente raccoglie pochi consensi. Punire, insomma, non serve. Meglio educare.