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 2021  settembre 27 Lunedì calendario

Storia del primo movimento omosessuale

Per gli incontri romantici gay c’erano i gabinetti pubblici, l’ultima fila nei cinema di terza visione, i vicoli bui e certi angolini poco sicuri nei parchi. “Questo offriva la società e io mi sono adeguato”, dice Angelo Pezzana, attivista e giornalista, tra i fondatori del primo movimento gay italiano. Era il 1971 quando a Torino nacque il Fuori, Fronte unitario omosessuale rivoluzionario Italiano. Oggi, dopo 50 anni, una mostra racconta la decade di vita e genesi del gruppo dei pionieri che per primi dissero all’Italia: io sono gay. Era il tempo di reagire ai bacchettoni. Un anno prima il parlamento aveva approvato la legge sul divorzio, però l’omosessualità restava tabù. La scintilla infatti fu un articolo omofobo su La Stampa del 15 aprile: elogiava un libro sulla “guarigione” di un ragazzo gay, tornato all’ovile etero dopo una lunga terapia. Il volume, Diario di un omosessuale, era firmato dallo psicoterapeuta cattolico Giacomo Dacquino e la recensione sul quotidiano torinese fece saltare il tappo della rabbia. Pezzana e i suoi amici scrivono indignati al direttore liberal Alberto Ronchey. “Ci risponde la segreteria di redazione, spiegando che del tema si parla già fin troppo”. I gay dovevano sparire dai riflettori, insomma. E invece si organizzano per prendersi il palcoscenico. “Decidemmo di unire le forze creando un movimento collettivo, come in America e in Francia”, ricorda Pezzana. Nelle stanze di “Hellas” (la sua libreria torinese) nel dicembre 1971 nasce il numero zero della rivista Fuori, la prima dedicata all’omosessualità nella storia d’Italia. Lì, tra i volumi sugli scaffali, passò a curiosare Allen Ginsberg (il poeta della Beat generation) con Fernanda Pivano e Ettore Sottsass nel 1965. Sei anni dopo, il libraio Angelo Pezzana ha un problema: per fare un giornale gay serve un direttore iscritto all’ordine. Ma in un Paese timorato, quale giornalista metterà mai la faccia su una rivista così sfacciata? Marcello Baraghini invece accetta volentieri e dunque merita una digressione: gay non è, ma si batte per la libertà di stampa insieme ai radicali di Marco Pannella. Nel tempo offrirà il suo nome come scudo ad oltre 300 testate (e invece di una medaglia rimedierà una sanzione nel 2016).
Senza Baraghini, molti titoli sarebbero rimasti clandestini, come il Fuori. Invece il numero di prova viene spedito ad amici e attivisti gay. “E due mesi dopo il movimento contava già 40 gruppi locali nelle maggiori città – ricorda Pezzana -, mentre il mensile debuttò in edicola ad aprile del 1972”. Solo un mese prima, l’8 marzo, una rispettabile accademica aveva avuto l’ardore di dichiararsi pubblicamente lesbica, a Piazza Navona a Roma in occasione della Festa della donna. Si chiama Mariasilvia Spolato e milita nel gruppo romano di Fuori. Pagherà un prezzo salatissimo per il suo coming out, perdendo cattedra universitaria, famiglia, amici, e guadagnando una vita da senzatetto. Morirà nel 2018 ad 83 anni, in una casa di riposo a Bolzano.
Spolato non era l’unica donna del movimento. Emma Allais curava sulla rivista la striscia satirica a fumetti Gay flowers (due margherite a disquisire dei problemi di genere). Un numero uscì col titolo Fuori donna, scritto solo da lesbiche. “Con noi c’erano tante donne – ricorda Pezzana – ma forse avevano più spunti in comune con le femministe che con gli omosessuali”. Anche le lesbiche avevano vita dura, ma verso di loro il pregiudizio era meno ostile. “Perché la donna era ritenuta inferiore all’uomo – dice Pezzana – quindi meno pericolosa per la società, anche se gay”. A misurare lo stigma fu un’indagine della Demoskopea di Giampaolo Fabris, condotta con il Fuori per il comune di Torino nel 1983. Fu un esperimento, “ma anche oggi sarebbe utile una ricerca per capire gli atteggiamenti verso l’omosessualità”, auspica Pezzana. Molti ostacoli sono caduti, ma il pregiudizio resta, secondo lui: la destra maschilista ammette solo famiglie etero fondate sul matrimonio; i clericali offrono tolleranza, al più, mica rispetto; la sinistra invece è aperta sulla scena e retrograda dietro le quinte, furbescamente. Proprio come nei 70, quando “per la destra eravamo sporcaccioni, per i cattolici peccatori e per i comunisti una sovrastruttura della borghesia”.
Fuori era un movimento rivoluzionario solo sulla carta. Pezzana ai Soviet non ha mai creduto e il Pci di Berlinguer volava distante da certi temi: “Noi tentavamo il dialogo con Botteghe oscure ma loro erano ostili”. Con Marco Pannella invece matura l’intesa: nel 1974 tutte le sedi del partito radicale si aprono ai militanti del Fuori. Inaccettabile, per l’ala rivoluzionaria, che fa i bagagli e lascia il movimento gay. È l’inizio della fine. La rivista cessa le pubblicazioni ad aprile 1982 e si congeda dai lettori: “Guai sopravvivere a sé stessi. Si rischierebbe di scomparire”.