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 2021  settembre 27 Lunedì calendario

Dormire nelle dimore storiche Fai per 328 euro a notte

Chissà se nel 1983, quando gli eredi della famiglia Doria Pamphilj donarono l’intero complesso abbaziale di San Fruttuoso, ormai residenza nobiliare, al Fondo Ambiente Italiano (Fai), avrebbero pensato che trent’anni dopo sarebbe stato disponibile in affitto su AirBnB in modalità “self-catering” (sarebbe a dire, cucina propria) per 328 euro€ a notte. Difficile dirlo, dato che al tempo il Fai, fondazione nata nel 1975 sul modello del National Trust inglese, non si proponeva come affittacamere, ma solo per restaurare e aprire al pubblico, abbiente o meno, luoghi e siti storici a rischio abbandono, con finalità educativo-museali.
Ma i tempi cambiano, la crisi del turismo globale mette in difficoltà di bilanci di chiunque lavori con la cultura, e il Fondo Ambiente Italiano non fa eccezione. Così dal 21 settembre a mezzo stampa – ma, curiosamente, senza comunicazione nel proprio sito – sappiamo che sarà possibile dormire nei beni del Fai, prenotando attraverso la piattaforma AirBnB. Non solo l’abbazia di San Fruttuoso, ma anche una mansarda in una villa rinascimentale al centro dei Colli Euganei; un monastero medievale, divenuto residenza nobiliare, a Tivoli; un lussuoso appartamento nel centro di Firenze, già residenza di poeti inglesi.
Nonostante il portale di AirBnB ne parli come di beni FAI, la realtà è più complessa. Solo due di questi quattro sono immobili di proprietà del FAI, arrivati alla fondazione attraverso donazioni. Un terzo è gestito dal Fai per conto dei proprietari, un quarto è gestito da altri: da “The Landmark Trust Italia”, per conto di un college inglese, proprietario dei locali. In effetti dagli annunci posti su AirBnB, emerge che non è il Fai ad affittare, ma The Landmark Trust: un fondo britannico specializzato nell’acquisto, restauro e messa a nuovo come strutture ricettive di immobili storici. Il Fai mette i locali, in due casi, negli altri mette solo il marchio di qualità, in uno scambio reciproco con un trust straniero ben poco noto nel nostro Paese. L’azione del trust è infatti prettamente di taglio britannico, dove le leggi, maggiormente permissive, rendono più semplice la ristrutturazione e i cambi d’uso dei beni culturali. In Italia il Codice dei Beni Culturali spiega, all’articolo 20, che “i beni culturali non possono essere danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico”: in breve, per trasformare un luogo storico in albergo servono permessi non sempre semplici da ottenere. Forse per questo The Landmark Trust, che esiste dal 1965, in Italia ha acquistato e rimesso a nuovo una sola villa, in provincia di Vicenza, negli anni 80. Ora però nel suo sito elenca 5 proprietà nel Belpaese, e di tutto rispetto: peccato che due di quelle cinque siano proprio i beni Fai citati sopra, ottenuti dal Fondo Ambiente con la promessa implicita di farne altro, non alberghi e appartamenti in affitto. Landmark Trust spiega al Fatto che l’accordo con AirBnB è una scelta del Fai, e che la collaborazione tra i due enti si struttura come uno scambio di competenze e reti: nel caso dell’affitto di beni Fai, la divisione dei proventi è 50/50 (negli altri casi gli introiti sono per il trust britannico). Tutti fondi che vengono investiti nella gestione, nel restauro e nell’acquisto di nuovi immobili storici.
Chiaro il vantaggio per il trust britannico, che ottiene la cogestione di immobili di pregio senza acquisti, ma anche per il Fai, che può contare su un’entrata in più. Meno chiaro il perché nei portali ci sia tanta confusione tra le proprietà dell’uno e dell’altro ente. La collaborazione è attiva dal 2013, in forma di partenariato, seppur fino a giovedì e all’annuncio della collaborazione con AirBnB avesse ottenuto poca visibilità. “La collaborazione si basa su una complementarietà che ci permette uno scambio proficuo e di successo” spiegava la portavoce del trust nel 2018, quando aprivano al pubblico le case vacanza all’interno dei beni Fai. Il tutto pensato per un pubblico estero, soprattutto britannico, abbiente: anche nelle (poche) pagine in italiano del sito di The Landmark Trust, i prezzi sono indicati in sterline. Ospiti poco invasivi, ma anche troppo pochi: come spiegano fonti Fai al Fatto, la scarsa affluenza di pubblico conseguente la crisi del turismo ha portato la Fondazione a considerare anche Airbnb per aumentare le visite. Una svolta di cui in pubblico si è parlato poco.
Interrogati sul tema del coinvolgimento dei soci nella scelta di entrare nel mercato delle case vacanze, dal Fai fanno sapere che “gli iscritti sono stati più volte invitati a godere di questa ulteriore esperienza” offerti nei due beni coinvolti “con generale e incondizionato apprezzamento”.
Peccato ciò accadesse prima del coinvolgimento della piattaforma californiana, sotto pressione in tutta Europa per la facilità con cui permette di eludere le tassazioni nazionali e facilita la messa in affitto di immobili senza tutti i regolari permessi, piattaforma diventata negli anni il simbolo di un turismo di massa che ha contribuito a “trasformare le principali città del mondo in parchi a tema per turisti e resort per ricchi”, usando le parole di Sarah Gainsforth, autrice di AirBnB città merce (Deriveapprodi 2020).
Se il Fondo Ambiente Italiano punta a quel genere di turismo – ricco, elitario, ma pur sempre di massa – per far fronte alla crisi economica, è probabile che incontrerà diversi problemi sulla sua strada. A partire dalla necessità di giustificare pubblicamente una collaborazione che appare ben poco in linea con la tutela del patrimonio culturale diffuso.