il venerdì, 23 settembre 2021
Su "Oliva Denaro" di Viola Ardone (Einaudi)
Tanti piccoli "no" possono fare una rivoluzione. Nel caso di "Oliva", Franca e le altre, si trattò di "no" grandi come colossi di pietra che divorarono pregiudizi e leggi arcaiche, liberando le donne dallo stupro legalizzato. Fu il loro rifiuto a far cancellare dal codice penale l’articolo 544, quello che permetteva di estinguere il reato di violenza sessuale con il matrimonio riparatore. La barbarie giuridica s’interruppe nel 1981, esattamente quarant’anni fa. E solo nel 1996 lo stupro venne riconosciuto come reato contro la persona. Non il Pleistocene, ma una storia recente. Che ci racconta tanto della storia presente.
"La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia", dice la madre di Oliva, il nuovo personaggio letterario inventato da Viola Ardone, la professoressa napoletana che ama ripercorrere pagine della nostra vicenda nazionale attraverso episodi esemplari. Il suo ultimo lavoro narrativo, Oliva Denaro, in libreria dal 28 settembre, ci porta in una Sicilia rurale dei primi anni Sessanta, dove alle donne è chiesto di rigare dritto e restare onorate, altrimenti le aspetta una vita da "sbrigugnata", come sentenziano le "maleforbici" che sagomano i costumi della comunità. Oliva è intelligente, va bene a scuola, ma non è una ribelle, in fondo s’adatta, e poi è secca e spigolosa, ha pure i capelli neri come una cornacchia, e si fa vedere in giro con Saro, il figlio zoppo di don Vito Musumeci: come può avere i grilli per la testa?
Un pomeriggio d’estate viene rapita, per cinque giorni nascosta in un casolare, stuprata da quel "malacarne" di Pino Paternò, il figlio dello strozzino con cui aveva ballato una sera in piazza. In quell’Italia contadina e molto povera non era certo il primo tra i corteggiatori respinti che si metteva a escogitare il ratto. Il sequestro poteva essere anche uno stratagemma concordato con la famiglia della futura sposa.
Ma Oliva non aveva concordato un bel nulla. E nonostante il parere favorevole di don Ignazio e del maresciallo, alla proposta di "paciata" avanzata dai Paternò gira letteralmente i tacchi, mettendo il suo dolore al servizio delle altre donne.
Nelle traversie di Oliva non è difficile scorgere il gran rifiuto di Franca Viola, la prima donna che disse no al matrimonio riparatore denunciando il suo sequestratore. "In realtà ho voluto dare voce alle donne che ancora prima di Franca Viola, tra la Sicilia e la Calabria, ebbero il coraggio di rifiutare quella pratica" racconta Ardone. "Protagoniste di una guerra silenziosa, non ebbero né giustizia né riconoscimento pubblico. Come racconta Enzo Ciconte nel suo Storia dello stupro e di donne ribelli, i loro processi si conclusero con pene irrisorie per l’aggressore. Ma, seppure sconfitte dal proprio tempo, dimostrarono di essere dalla parte giusta della storia".
Pur sconfinando a tratti in un’intenzione pedagogica, il romanzo mostra con straordinaria efficacia i turbamenti di Oliva, che matura la sua scelta in modo incerto, a tratti casuale, incespicando tra i mille ostacoli opposti dalla cultura patriarcale di cui è figlia. Non è ideologica Oliva, né provvista di coscienza politica, sideralmente lontana dall’amica Liliana, cresciuta in una famiglia comunista. È un’adolescente come tante altre, non ancora consapevole di sé stessa, della sua sessualità, della sua fisicità mai giusta. Non sa mai quello che va bene per lei. E anche quando viene violata, non ha gli strumenti per comprendere l’abisso in cui sta precipitando, perché del suo corpo non è mai stata padrona, di quel suo corpo costantemente sorvegliato, giudicato, punito.
Non l’ho perso adesso il mio corpo, ripete la protagonista, il mio corpo non è mai stato mio. "Quella dello stupro è stata forse la pagina più difficile da scrivere" dice Ardone. "Ho cercato di immaginare quale potesse essere la reazione di una ragazza che non aveva mai conosciuto l’amore, quindi l’emozione di essere baciata e accarezzata: non poteva avere un termine di paragone dinanzi a quella invasione violenta e turpe che infrangeva la sua intimità".
Ma una donna che non si sa difendere diventa complice. Questo è il pregiudizio dell’epoca (solo dell’epoca?). E a salvare Oliva dai sensi di colpa interviene Maddalena Criscuolo, la militante dell’Udi già incontrata in Il treno dei bambini, fortunatissimo esordio narrativo di Ardone sull’infanzia strappata alla miseria nel dopoguerra. "Mi piaceva ci fosse un personaggio ponte tra i due romanzi. Pur trattando storie diverse, entrambi raccontano un Paese che combatte per i diritti dei più deboli".
È una storia ambientata nei primi anni Sessanta, quella narrata da Oliva Denaro, ma che per molti aspetti ci riporta all’oggi, allo sguardo malevolo verso le vittime di molestia, ai processi per stupro che colpevolizzano chi denuncia, a una condizione femminile mai completamente libera "dal peso di essere donna".
"Il mio racconto nasce dal presente" dice Ardone. "Sono tornata indietro di qualche decennio per capire da cosa nascano certi pregiudizi. E ho voluto raccontare uno smarrimento che, al di là di condizioni storiche modificate, ho conosciuto anche io da adolescente, ed è comune a tutte le ragazzine di ogni epoca nel divenire donne: ricevere un’avance fastidiosa e non saperla decodificare, provare vergogna e contemporaneamente senso di colpa. Sono stata io a provocarla? Il mio vestito troppo stretto? Le labbra troppo rosse? L’inquietudine di Oliva è anche la nostra".
Il romanzo si chiude nel 1981, vent’anni dopo i fatti accaduti, in un dialogo a distanza tra Oliva e il padre Salvo, il genitore mite che l’aveva aiutata a sfidare le leggi dell’onore e del disonore. Insegnante realizzata e moglie amata dell’amico d’infanzia, la donna sceglie di tornare nella pasticceria Paternò, quella del suo aggressore, per acquistare la cassata che lui le aveva offerto tempo prima e lei aveva scandalosamente rifiutato. Non c’è rabbia nello sguardo di Oliva, solo un senso di pena verso un uomo debole, vigliacco, invecchiato male.
"In fondo è anche lui una vittima" sostiene Ardone. "Vittima dell’ignoranza, di una mentalità antiquata, di una mascolinità da dimostrare a tutti i costi. Volevo restituire alla protagonista la sua dignità di donna libera, forte, finalmente sottratta a una condizione vittimaria. Il vero perdente è lui, Pino Paternò. Sconfitto nel suo destino di predatore. E sconfitto dalla storia".