il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2021
Intervista a Valerio Lundini
Alla fine dell’incontro la preoccupazione è seria, reale, spesso comune per chi nella vita ha come missione quella di strappare una risata. Ma con Valerio Lundini non c’è una maschera di vittimismo a celare una certezza di megalomania. No, lui è proprio sincero di fronte ai suoi dubbi. “Non è che sembro palloso?”.
Perché?
Non lo so, dopo un’intervista capita di trovarmi palloso.
Dice?
(Sospiro) Ho avuto e ho una vita normale. Genitori normali. Nessun problema adolescenziale, niente droga o alcool; (altro sospiro) non ho subito bullismo, violenze, attacchi vari. E ho pure molti amici.
Un piattume clamoroso.
Eh, lo so. (Pausa. Poi, affranto) Senta, nel caso la capisco: rispetto a questa intervista si senta libero di comportarsi come vuole. Non mi aspetto grandi spazi, la cancelli tranquillamente, purtroppo sono proprio così.
Valerio Lundini ha 35 anni e nella televisione e nell’Italia degli arzilli ottantenni è ancora da considerare un enfant prodige del piccolo schermo: il suo programma da seconda serata su Rai2 – Una pezza di Lundini – non ha segnato share da doppia cifra, ma piano piano si è tramutato in un classico caso di successo da passaparola.
La sua comicità non è gridata, non è anni Ottanta, ma è levigata sui tempi, sui toni bassi, sui sottintesi, sulla sua postura da ragioniere nei film di Luciano Salce, sul suo non ridere.
Ora è pronto?
Temo solo i virgolettati e il titolo.
Pure quelli…
Ogni tanto mi affibbiano frasi e concetti che proprio non mi appartengono, della serie: “Sono un cazzo di genio”.
Altro esempio.
Aspetti, questa è bella: “Piaccio solo perché sembro pazzo”. Non l’ho mai detta.
Pensata?
No! Perché implica che tu piaci alla gente: questa sicumera mi manca, e poi minimizzi sulla follia, non per la complicità del pubblico.
Da dove arriva Valerio Lundini?
Scuole elementari dalle suore, medie pessime e un liceo concluso con un normale 72.
Ha l’aspetto da secchione.
Colpa degli occhiali.
Pure la postura.
Non sono muscoloso, allora uno pensa che ho passato la vita sui libri. In realtà leggo pochissimo; l’altro giorno ho conosciuto Pio e Amedeo e agli occhi loro sembravo Berlinguer o una specie di radical chic. Faccio questo effetto.
È laureato in Lettere.
Perché dopo tre anni di inutili tentativi ho abbandonato Giurisprudenza, ho cambiato facoltà, più semplice, e ho allungato l’adolescenza.
La sua famiglia.
Vorrei definirla “normale”, ma credo che tutti possano inquadrare la propria allo stesso modo, a meno che uno non provenga da un circo; comunque entrambi impiegati statali, sereni, senza grossi traumi.
Quasi tutti i suoi colleghi hanno testato le proprie capacità con parenti o compagni di scuola.
Da piccolo mi dedicavo alle imitazioni… (Pausa. Viene distratto da una persona).
L’hanno riconosciuta.
No, mi hanno chiesto il biglietto del treno (è in stazione).
Guardi che l’hanno riconosciuta.
(Pausa) Ah, è vero, mi ha chiamato Valerio.
Le capita spesso di venire fermato.
Abbastanza; in alcuni contesti è piacevole e simpatico, in altri no, soprattutto quando vado a vedere spettacoli, concerti o eventi importanti: lì è fastidioso.
Come mai?
Se non sono sul palco alle prese con un mio spettacolo, m’imbarazza stare al centro dell’attenzione; soffro “l’effetto-compleanno”, quando la gente ti guarda e si aspetta qualcosa.
Per Lillo la massima creatività arriva quando è depresso…
In generale è vero, ma con me lo sprone arriva dalla noia, quando devo trovare o generare un intrattenimento lì dove l’intrattenimento non c’è.
Torniamo alla scuola: non era il capobanda.
Solo in alcuni casi, poi con i miei compagni di liceo avevo l’hobby di girare film stupidi; insomma, non avevo la furia o la convinzione di intraprendere questa strada.
E poi?
Con il tempo mi sono reso conto che mi arrivavano molte idee, e quelle stesse idee in seguito le vedevo realizzate nei film o nelle trasmissioni altrui.
Quindi?
Ho iniziato a scrivere le mie intuizioni, a volte a girarle, in modo tale da lasciare una testimonianza e poter affermare: “Mi hanno rubato l’idea!”
Il suo primo spettacolo.
Da solo? Quattro anni fa.
Recente.
Sì, ma dal 2007 suono il pianoforte in una band in stile Profilax, Latte e i suoi derivati o Elio e le Storie Tese.
Ci sono stati ospiti che hanno rifiutato di partecipare alla sua trasmissione?
(Sorride) Un noto intellettuale si è negato con la frase “non ho senso dell’umorismo”. Che poi per me sarebbe stato il massimo. Piuttosto temo quelli che arrivano e pretendono di fare i simpatici.
Tra i suoi fan c’è Berrettini.
Confesso: l’ho conosciuto poco prima di averlo come ospite in trasmissione; (silenzio) non so nulla di sport (Berrettini è un tennista, ndr), ma è molto simpatico e siamo diventati amici.
Non segue alcuno sport?
So che Totti giocava nella Roma, Nesta nella Lazio, Del Piero nella Juve e che gli scudetti vanno a Inter e Juve.
Basta.
So poco. Mi annoio.
A scuola partecipava a educazione fisica?
Sì, ma non ricordo molto, giusto che indossavo una tuta e qualcosa accadeva.
In Italia se un ragazzo non segue il pallone viene etichettato come “strano”.
Ho la percezione che questa roba stia diminuendo; mi dispiace solo perché hai un argomento in meno di conversazione, si perde una chiave per rompere il ghiaccio in determinati mondi. Infatti non me ne vanto.
Quindi ha tentato.
Ho guardato trasmissioni dedicate al pallone e ho pensato: mi piacerebbe seguire questo programma.
Le sue passioni da ragazzo.
Realizzavo fumetti e ancor oggi mi ci dedico, però non sono prolifico, magari disegno sui cartoni della pizza, sui foglietti mentre sono al telefono, ma è differente rispetto alle storie complete; poi guardavo tantissima televisione, amavo i Simpson o i programmi pomeridiani.
Le auto?
Ma zero! (Pausa, tono basso) C’è un aspetto che invidio a tanti artisti: quando hanno storie incredibili del loro passato (altra pausa). Tempo fa parlavo con Gipi (celeberrimo fumettista, ndr): lui racconta storiacce drammatiche di periferia, situazioni che non vorrei mai aver vissuto, che ugualmente mi obbligano a riflettere.
E…
Come dicevo, da ragazzino stavo a casa, al massimo guardavo Claudio Lippi; anche gli aspetti che approfondivo potevano toccare gli Oasis (gruppo musicale, ndr) e allora acquistavo tutto di loro, conoscevo le canzoni, ma allo stesso modo non ho studiato altre band. Se lei ora mi domanda dei Pink Floyd vado di scena muta.
Non è ossessivo.
Dei Simpson mi segnavo pure i nomi degli autori puntata per puntata: mi affascinava la macchina produttiva; rispetto alla musica, oltre agli Oasis, il rock anni 50 o lo swing.
La prendevano per nerd?
Sento persone raccontare: “Leggevo i fumetti e mi trattavano da strano”. Ecco, non so dove abbiano vissuto perché da me non c’erano problemi simili.
Le sue medie sono state dorate.
Però a quel tempo qualunque attività non dedicata alla masturbazione o alle feste equivaleva alla definizione di omosessuale ergo non avere il pene; (ripensa a prima) non mi appartiene l’immagine del nerd bullizzato perché ama l’Uomo Ragno.
Andava alle manifestazioni?
No.
Neanche a quelle.
Ho una vita noiosissima! Forse ho dimenticato le cose interessanti, ma la verità è che ho iniziato a divertirmi a 35 anni.
Cos’è il divertimento?
Occuparsi di cose diverse: un po’ suono, un po’ scrivo, un po’ disegno.
Cosa la imbarazza?
Come le ho detto all’inizio, stare al centro dell’attenzione senza avere nulla da dire, poi vedere altre persone che drammaticamente si prendono sul serio, magari gli attori impegnati quando guardano il cielo alla fine di un pezzo; o i cantanti che ringraziano con la voce finta-sfinita. (Silenzio) Parte del mio lavoro nasce dal desiderio di smitizzare tutto questo.
Basta?
Mi fa schifo assistere alla gente che si bacia nei film.
I porno li vede?
Cerco di evitarli, ce ne sono troppi e tolgono linfa vitale. Ma ogni tanto capita.
Quando si rivede?
Ma così diventa un’intervista pornografica!
Non quando rivede i porno, quando si rivede lei in tv.
(Sospiro di sollievo) Se sono cose mie al cento per cento mi diverto; se invece sono ospite di una trasmissione un po’ mi do fastidio, temo di sembrare antipatico.
In particolare?
Penso a chi mi guarda e magari dice: “E questo sarebbe il comico? Ma fattela ’na risata”.
Non ride?
Evito, mi viene un’espressione strana.
Da famoso è mutato l’approccio del prossimo con lei?
Mi imbarazza ammetterlo, ma succede; (pausa) molti mi conoscono per il programma, dove appaio surreale: un giorno cammino per Roma, metto male il piede e mi rompo la caviglia; due ragazzi mi sentono imprecare e pensano che sto scherzando, invece chiedevo di chiamare l’ambulanza e cercare del ghiaccio. Si avvicinano. Mi guardano. E soddisfatti esclamano: “No, vabbè, fai troppo ride’!”.
Li ha mandati a quel paese?
Ho evitato, non avevo energie.
Anche lei ha storie drammatiche.
Bene, sono contento.
Parteciperebbe al Grande Fratello Vip?
No, e che sto un mese in una casa con degli sconosciuti? Ma chi li conosce.
Scaramantico?
No.
Gioca alla lotteria?
No. (Tono arreso) Non do nessuna soddisfazione.
Che fa con i soldi?
Pago le multe; (contento) ah, voglio andare a Londra a vedere i musical.
Chi è lei?
Uno di Roma con la erre moscia che fa cose divertenti.