Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2021
Andar per funghi con John Cage
Più che la sete di conoscenza, poté il (vero) digiuno, potremmo parafrasare. Al tempo, le cose andavano così, e ci fidiamo dell’autore, che lo ricorda in una nota. Siamo nel 1934, California, gli anni della Grande Depressione, che Steinbeck farà trangugiare, amarissimi, ai connazionali, nelle pagine del capolavoro Furore.
John Cage (1912-1992) si arrabbatta con lavori d’occasione: alto, allampanato, il sorriso già disarmante; magrissimo. «Non avevo niente da mangiare e sapevo che i funghi erano commestibili, ma alcuni erano mortali». Bisogna imparare a distinguerli. Va nei boschi di Carmel e ne trova alcuni. Il suo secondo passo non è però la cucina, ma la biblioteca comunale. «Capii che quello che avevo trovato non era mortale. E non mangiai altro per una settimana». Il libro sul quale inizia a costruirsi una conoscenza, che diventerà professionale, è How To Know Mushrooms and Toadstools, del 1933, che incoraggia gli americani a non sprecare quel bendidio gratuito che spunta in campi, foreste e aiuole delle loro città. La sua copia annotata, e quella di un altro manuale del 1907, è tuttora tra i cimeli del Cage Trust.
E fa bella mostra di sé, quasi prologo di una mirabolante avventura, naturalistica e filosofica, intellettuale e fisica, che mai più avrebbe abbandonato il compositore, ad un fantastico libro (la cui conoscenza debbo a uno scrutatore di eccentricità come l’imprenditore e giornalista Corrado Beldì) edito, con i santi crismi – cioè, prima di tutto, è un oggetto bellisimo – da Atelier Editions. Il volume, doppio, in elegante cofanetto di un bel verde bosco, si intitola John Cage: A Mycological Foray (la prima edizione è già esaurita: scovatela in “antiquariato”, anche se il titolo è di fine 2020, a partire da 65$) e contiene un testo ispirato su funghi (e musica) del medesimo Cage, un saggio approfondito di Kingston Trinder sulle incursioni micologiche di Cage e la trascrizione di Mushrooms Variations, composizione del 1983 che prevedeva tra l’altro la lettura di una sorta di lungo poema. Nel secondo tomo, la sontuosa riproposizione, in portfolio, di un libro che Cage aveva realizzato nel 1972 in sole 75 copie con l’artista Lois Long, autrice delle litografie di 15 specie a grandezza naturale e Alexander H. Smith, botanico. Cage, per quelle pagine, aveva composto dieci litografie di scritti e idee, sovrapponendo però il tutto secondo le uscite dell’I-Ching, testo a lui caro e spesso utilizzato anche in musica. Se ne ottiene un pasticcio di parole, «difficili da leggere», per stessa ammissione di Cage, il cui effetto è simile allo spiazzamento che lo aveva reso così celebre, e influente (epperò forse mai del tutto compreso), nel mondo della musica. Un importante apparato di fotografie, raccolte, talora scattate, e, più spesso, raffiguranti Cage, eleganza naturale e del tutto a suo agio, più che nei concerti, forse, in queste sue incursioni a funghi, completa il “manufatto”.
Del resto, uno dei punti di incontro più bizzarri, tra i funghi e la musica, che già come argomenti non è che siano proprio contigui (ma i due volumi Silenzio e Musicage editi dal Saggiatore, fondamentali per capire Cage, svelano, tra tanto altro, le connessioni che lui ci vedeva), si era avuto – e sembra incredibile a raccontarlo – con la partecipazione di Cage a «Lascia o Raddoppia?» nel 1959. Il compositore si presentò come concorrente sui funghi e riuscì a vincere il premio massimo, 5 milioni di lire, che usò per comprare un piano nuovo per la casa di campagna di Stony Point, dalla quale partiva per i suoi vagabondaggi a funghi (e ne prendeva molti: per anni guadagnò, più che con la musica, rifornendo di prelibati porcini e altre trovate i grandi ristoranti di New York) e un furgone. La partecipazione al quiz tv è intrisa anche di mistero. Ospite a Milano di Luciano Berio, si dice che Cage fu “inserito” velocemente in trasmissione per buoni uffici di illustri amici in Rai; più difficile da provare la diceria che vuole che Umberto Eco, o Roberto Leydi, riuscirono a procurarsi in anticipo le risposte del domandone finale di Mike Bongiorno e passargliele. I soldi, a Cage, servivano, e gli amici italiani lo sapevano. L’avventura tv di Cage, seguita passo passo dai giornali dell’epoca, fu segnata anche dalle composizioni che eseguì in ogni puntata, lasciando interdetti gli ascoltatori italiani; per primo Mike Bongiorno.
Al momento dei saluti finali, un memorabile scambio con il presentatore. «Bravissimo Cage. Beh, il signor Cage ci ha dimostrato indubbiamente che se ne intendeva di funghi… quindi non è stato solo un personaggio che è venuto su questo palcoscenico per fare delle esibizioni strambe di musica strambissima, quindi è veramente un personaggio preparato». Cage, sorridente e timido, si congeda: «Un ringraziamento a… funghi, e alla Rai e a tutti genti d’Italia». «A tutta la gente d’Italia. Bravo signor Cage arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?» chiede Mike. «Mia musica resta», risponde, profetico, Cage. E Bongiorno, veloce: «Ah, lei va via e la sua musica resta qui, ma era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui». Battuta geniale, a suo modo: forse non è di quelle gaffe che avrebbe immortalato Eco nella Fenomenologia di Mike Bongiorno, ma che la dice lunga sul rapporto di Cage con lo spettatore e ascoltatore medio. Ma ci aveva visto lungo lui: la sua musica “resta”, e “resta” la sua personalità, inimitabile, anche grazie alla strana e serissima infatuazione per i funghi: una delle più interessanti del secolo scorso. Epoca, nonostante tutto, di grandi geni e idee. Quelle idee che, diceva Cage, «sono da trovare come i funghi selvatici nella foresta. E non arrivano a te già chiare, ma sono cose nascoste. Bisogna solo cercarle».
Silenzio. Anche per più di 4, rivoluzionari, minuti. E 33 secondi.