Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2021
il Casanova più veneziano è quello girato dai russi
Giacomo Casanova (1725-1798) è uno dei più straordinari figli di Venezia, anche se fu bandito dalla propria città natale a causa dei ripetuti misfatti da lui compiuti durante la maggior parte della sua carriera. Finì addirittura in prigione, uscendone con la celebre messa in scena di una brillante e a suo modo spettacolare evasione, del tutto degna del suo autore.
Era figlio di modesti attori, ma da adulto non esitò a fregiarsi di titoli immaginari, quali Conte di Farussi o Chevalier de Seingalt. Era una mente geniale, che si reinventava di continuo: ora avvocato, poi soldato, chirurgo e frammassone, perfino con qualche fugace ambizione al sacerdozio. Ma soprattutto, dice, «ero nato apposta per l’opposto sesso. L’ho sempre amato, e ho fatto tutto quel che potevo per esserne ricambiato… coltivare il piacere dei sensi è stato il fulcro di tutta la mia vita». Non potendo rimettere piede a Venezia, viaggiò in lungo e in largo per l’Europa – spingendosi fino in Russia – esercitando il suo fascino e la sua seduzione su qualsiasi donna si imbattesse in lui: cameriere, nobildonne, monache, e a suo dire perfino imperatrici.
Ma il tempo è spietato, e a sessant’anni suonati Casanova aveva perso il suo bell’aspetto così come il fascino, la salute e il denaro, riducendosi a lavorare come bibliotecario per un piccolo nobiluomo in Boemia. Annoiato, pieno di acciacchi e malmostoso, si sentì dire dal medico che scrivere la storia della sua vita gli avrebbe fatto bene alla salute. Fu un saggio consiglio: «scrivo tredici ore al giorno -, confidò nella lettera a un amico -, e me la rido di gusto. Che bel piacere, ricordare i propri piaceri! La cosa mi diverte, perché non devo inventarmi nulla». Scritte in francese per un totale di 3700 pagine, le Memorie di Casanova non sono soltanto un capolavoro della letteratura e del genere autobiografico; sono anche un incomparabile documento della società europea nel diciottesimo secolo. Se ne pubblicarono estratti già intorno al 1820, ma è solo nel 1960 che si poterono finalmente leggere le confessioni più intime, senza alcuna censura. Nel 2010 il manoscritto autografo – cioè tutte le 3700 pagine, ancora in perfette condizioni – furono acquistate dalla Bibliothèque Nationale de France per la somma record di 9,6 milioni di dollari. Se non fosse per queste memorie, il nome di Casanova sarebbe stato dimenticato da tempo.
Prodighe come sono di sesso e di spettacolarità, le Memorie di Casanova sono un terreno ideale per il cinema. Dopo il primo film su di lui, diretto e interpretato dall’ungherese Alfréd Deéssy nel 1919, la sua figura si trova rievocata in almeno una settantina di film, con interpreti che vanno da Donald Sutherland a Richard Chamberlain e Heath Ledger.
Ma la versione datata 1927 che si vedrà il 9 ottobre (in replica il 10) alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, rimane tuttora la migliore. Per un’ironia della sorte, pur essendo stato girato in Francia, in Austria e in Italia (a Venezia durante il carnevale), il film è quasi interamente opera di artisti russi, già attivi nella sofisticata industria cinematografica del periodo zarista e poi, dopo la Rivoluzione del 1917, esiliati a Parigi, dove avevano costituito una loro società, la Albatros. Il loro piccolo teatro di posa a Montreuil era insufficiente per un progetto così ambizioso, e la produzione fu dunque affidata alla Société des Cinéromans. Anche il personale tecnico è in gran parte russo, sotto la geniale direzione di Aleksandr Volkov.
La Albatros poteva inoltre contare su un attore perfetto per il ruolo di Casanova: il grande Ivan Mosjoukine, che diede un contributo notevole anche alla sceneggiatura. Mosjoukine aveva studiato giurisprudenza all’Università di Mosca, ma nutriva un’irresistibile passione per il palcoscenico, e da lì passò quasi subito al cinema, diventando in breve tempo uno dei primi divi di fama internazionale. Il suo volto inusuale ma attraente, dal naso aquilino e lo sguardo magnetico, lo rende incredibilmente simile all’autentico Casanova. Il suo personaggio non è soltanto quello di un seduttore: c’è in lui una componente di nobile cavalleria che spesso serve, e salva, l’altro sesso. Pochi altri interpreti avrebbero potuto incantare e dominare il grande schermo in un film della durata di 158 minuti, in un susseguirsi di sorprese fra le quali spiccano alcune meravigliose sequenze a colori dall’incredibile maestria tecnica.
La ciliegina sulla torta alla serata di chiusura delle Giornate del Cinema Muto con il Casanova è la nuova partitura orchestrale del maestro Günter Buchwald. Ecco ciò che ha da dire sulla sfida del comporre musica per un film dalle atmosfere così cangianti (per non parlare delle insidiose implicazioni di un Casanova nell’epoca del me too): «Dal punto di vista musicale – scrive Günter Buchwald -, quasi tutti gli elementi vengono esposti nei primi quattro minuti dell’ouverture, come le perle di una collana. Vi sono cinque temi: primo movimento, azione, velocità, Italia; secondo, Casanova, quasi un attore comico, danza sempre sul filo di una spada; terzo, un tema d’amore hollywoodiano; quarto, i timpani in battute da ¾, il tumulto, motivi italiani intrecciati alla canzone napoletana nota come il Carnevale di Venezia; e quinto, lo zar Pietro come esempio di ogni tipo di follia e violenza.
Questi cinque temi compaiono lungo tutto il film, non come singoli leitmotiv ma come materiale musicale per eterne variazioni. Per questo ho intitolato la mia opera Variazioni sinfoniche. Sono grato a molti compositori: Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi, André Campra, Peter Tchaikovsky, Johann Strauß Jr., Sergei Prokofiev, la cui influenza si potrà scoprire da lievi indizi. Il mio unico segreto: ho imparato ancora una volta che “meno è meglio”, che la riduzione è un indispensabile strumento creativo; il difficile è stato estenderla per 159 minuti. L’ouverture è stata composta in un giorno; per i rimanenti 155 minuti ci sono voluti due anni».
Da ora in avanti non si potrà più immaginare questo Casanova senza la strepitosa musica di Buchwald.