Le piace come il mondo della musica è cambiato?
«In verità non mi piace: le "‘sostanze" della musica mi sembrano svanite. E anche quelle della poesia».
Lei è nato come autore e diventato cantautore e interprete più avanti negli anni. Oggi quanto conta per lei essere un cantante, un performer, rispetto alla sua dimensione di autore?
«Non mi sono mai sentito un vero cantante. Ogni volta, componendo una canzone nuova, immaginavo che fosse un cantante vero a eseguirla. E nonostante tutto le cose, anche oggi, sono rimaste le stesse».
Che rapporto ha con il pubblico dei suoi concerti? E come pensa sarà nel nuovo mondo digitale?
«Ho da molto tempo un pubblico molto sensibile ai miei concerti.
Spero, tuttavia, che nel nuovo mondo digitale non vada perduta questa conquistata complicità e la libertà di scelta individuale».
Ascolta musica? E se sì, come?
«Alla televisione ascolto molta musica classica su Sky classica Hd.
Per il resto, jazz delle origini su cd e lettore auricolare».
Lei ha sempre detto di amare il cinema. Quanto cinema c’è in un suo concerto, specialmente se filmato come questo?
«Un po’ di cinema magari sì, ma senza una vera sceneggiatura.
Questa appartiene alla composizione. Ci sono somiglianze, tra le due arti, nel maneggiare la sintesi. Una canzone che volesse ambire a essere perfetta non dovrebbe durare più di tre minuti. E anche in una canzone credo si possano usare le luci del cinema, gli sguardi del ci nema».
Quanto conta l’improvvisazione a un suo concerto?
«Ben poco. Sono concerti preparati e mandati a memoria. Lascio un po’ di spazio ai miei musicisti in qualche sortita solistica. Avviene duranteDiavolo rosso . D a un po’ di anni nei miei concerti mi concedo di aprire a metà del brano un lungo spazio sopra un accordo fisso in re minore, e in quello spazio alcuni miei musicisti hanno libertà di improvvisazione. Sono momenti di libertà che io regalo loro e che loro mi restituiscono con un grande virtuosismo e partecipazione. E possono accadere cose diverse, un clarinetto che accenna a Brahms o una citazione di una vecchia canzone americana, dei momenti di musica etnica come spunti gregoriani. È una condivisione di sentimenti».
Cosa c’è ancora da scoprire nelle canzoni?
Quanta fatica c’è nel cercare le "parole giuste" per dire quello che si vuol veramente cantare?
«La fatica c’è sempre stata. Ma, risentendo quanto, in tanti anni, ho scritto e registrato, non mi sento di rinnegare quasi niente e so che, volendo, c’è ancora qualcosa da scoprire».
Per concludere c’è l’inevitabile domanda sui progetti futuri.
«Chissà se "l’ispirazione" mi verrà ancora a cercare. Prima scrivevo tutti i giorni, oggi mi piace disegnare. improvvisare. Ma al momento non ho un progetto, ho tante cose nel cassetto e prima o poi dovrò fare ordine».