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 2021  settembre 26 Domenica calendario

Gaetano Pesce alla conquista della Cina

Vado in Cina sognando di realizzare la mia "Torre Non Omogenea": un edificio dove ogni piano è realizzato da un architetto diverso. Servirà a fare il punto sull’architettura internazionale, certo. E a valorizzare diversità culturali e di linguaggio. Non so se si farà, ma sono molto interessati. Il Dragone, oggi, è come il Giappone degli anni 70, aperto alla creatività. Pronto a una nuova rivoluzione culturale ».
Instancabile Gaetano Pesce. Designer, architetto, artista, il "papà" delle poltrone Up, della lampada Braccio di Ferro e delle sedie Dalila – per citare solo alcune delle sue opere più famose – a 82 anni è più attivo che mai. E ti ammalia inanellando aneddoti e idee in un racconto che è un manifesto artistico in progress.
«Sto lavorando all’idea di irriconoscibilità. Esploro i miei confini creativi realizzando opere che non somigliano a nulla che ho già fatto. Non vivrò in eterno ma mi servono altri 10 anni per completare questa ricerca. Voglio scoprire altre facce della mia creatività. Ossessionati dalla coerenza, ciascuno di noi conosce poco di quanto possiede» dice nel frastuono di trapani e martelli usati dai collaboratori al lavoro nel laboratorio, ospitato negli immensi spazi del vecchio complesso portuale di Navy Yard, Brooklyn. Inzeppato di opere non finite in vista di Nobody’s Perfect (nessuno è perfetto): la grande personale appena inaugurata a Shenzhen, Cina che poi sarà a Pechino e a Shanghai, itinerante per i prossimi due anni.
Dall’Italia a New York. E ora la conquista della Cina...
«Ho accettato pensando ai giovani. L’arte è libertà e la creatività, la più grande esperienza dello spirito. Eccolo, il mio messaggio per loro attraverso i 48 pezzi esposti.
Certo, qualcuno dice che i miei lavori finiranno copiati. Ma non possono farle a poco prezzo, sono opere complicate, costose. E se pure copieranno, io sarò già andato avanti. Avrò fatto altro».
Una mostra monografica, guardando al futuro.
«Sono fortunato, la mia carriera è iniziata in un momento trionfale del design italiano: epoca purtroppo tramontata.
Poi mi sono trasferito a New York perché questa è la capitale del mondo, dove tutto accade e tutto incontri prima che altrove.
Conosco la Cina, ci ho insegnato. Un paese con una storia importante alle spalle che se ne sta costruendo una totalmente nuova. La mia mostra è solo un granello di sabbia, ma mi piace far parte della sua evoluzione».
La "Torre Non Omogenea" si farà?
«Lo spero. Un collezionista ha già acquistato tutte le opere in mostra per 2 milioni di dollari e c’è molto interesse verso la Torre. Vorrebbero erigerla coinvolgendo giovani architetti talentuosi di mezzo mondo.
D’altronde è un progetto profondamente simbolico. Il contrario delle facciate dei grattacieli tutti uguali, omologati, a noi noti. Una apertura alla diversità, importantissima».
C’è un opera in mostra cui tiene di più?
« L’uomo stanco. Una scaffalatura a forma di uomo ridotto a quattro zampe. Ha fatto grandi cose in passato e ora è esausto.
Sa solo di guardarsi indietro. La donna, invece, per secoli obbligata in spazi limitati, emerge, guarda al futuro. A lei ho dedicato un armadio. Sì, gli oggetti sono politici. Lo teorizzo da anni: bisogna tornare alla figura per raccontare storie, trasmettere i grandi temi della nostra epoca e della nostra cultura come facevano gli artisti di un tempo. La figuratività è profondamente impegnata. A patto di avere coraggio».
A chi si riferisce?
«L’Italia mi preoccupa. Unica, straordinaria, forte. Ma ingrigita. Troppe regole. È iper burocratizzata e la creatività ne patisce. Non ci sono più le grandi aziende di design che in passato diedero fiducia a gente come me, aiutandomi a sperimentare.
Comprate da chi pensa solo a far soldi, abbandonando la ricerca.
Il ministero della Cultura dovrebbe occuparsene. Imporre a chi compra i nostri marchi di investire sui giovani...»
La pandemia ha influito sul suo lavoro?
«Se hai una passione, l’isolamento non ti pesa, anzi: genera novità. Chiuso in casa ho capito cosa fa l’eremita. Riflette.
E crea. È così che ho iniziato a elaborare l’idea di incoerenza. Il nostro percorso non è dritto.
Non abbiamo sempre le stesse idee. Il tempo evolve, è contraddittorio. E noi con lui.
Essere incoerenti ci aiuta a capire la realtà, principale compito di artisti e intellettuali.
È l’ennesima forma di quella libertà che inseguo da sempre.
Unica regola nessuna regola.
Rompere gli schemi. Ecco il mio messaggio ai creativi cinesi».
E dopo la Cina?
«Ho molti inviti e idee. Ho appena realizzato qualcosa a cui tengo molto. Opere in onore del critico d’arte Germano Celant per una mostra che si terrà a Genova intitolata In ricordo di un amico. Quella a cui tengo di più s’intitola Crocefissione della manualità. Sono partito dalla sua idea di Arte Povera per esaltare il lavoro lontano dai computer.
Sono utili, per carità, invenzioni straordinarie: come il cacciavite, non puoi mica avvitare qualcosa a mano. Ma sono strumenti. Ne ho la conferma quando realizzo i prototipi: le mani creano più velocemente del pensiero.
Hanno una loro mente. Sì, c’è tanto da esplorare, ancora».