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 2021  settembre 26 Domenica calendario

La teoria del caos in 1.984 pagine

’apparizione in libreria, per il Saggiatore, di Donne e uomini di Joseph McElroy, ha qualcosa del monolito di 2001: Odissea nello spazio. Non solo perché il libro è letteralmente un monolito: ben 1.984 pagine nella traduzione italiana, che possiamo già dire miracolosa, di Andrew Tanzi, laddove l’originale, nella più sintetica lingua inglese, ne misura 1.192, comunque sufficienti a renderlo il romanzo più lungo mai scritto negli Stati Uniti.
Il fatto è che Donne e uomini, in tutta la sua mole non solo fisica ma anche concettuale, sembra giunto dal nulla: il libro è dell’87, ma questa è la sua prima traduzione italiana, e gli altri titoli dell’autore, con l’eccezione di Plus, uscito per SugarCo nel ’91, e della raccolta di saggi Exponential, pubblicata da Bollati Boringhieri nel 2003, da noi non sono mai arrivati; inoltre, Donne e uomini è stato per anni irreperibile anche in patria, guadagnandosi uno status di culto tra i cacciatori di libri usati. Infine, come il monolito di 2001: Odissea nello spazio, questo romanzo sembra parlare una lingua tutta sua, esprimere un’intelligenza superiore e avere dei propri, occulti obiettivi – una secret agenda, come direbbero gli americani. Ma i lettori non sono primati in cerca di un salto evolutivo, e dunque all’apparizione di un simile oggetto, al di là della fascinazione bibliofila che ogni «libro estremo» reca con sé, è legittimo chiedersi: ne vale la pena? Quasi duemila pagine sono un impegno di lettura consistente, tanto più se, come nel caso di McElroy, la prosa è ardita, con lunghe frasi alla Faulkner depositate in uno spazio anodino alla DeLillo, e la struttura lo è ancor di più, organizzandosi per continui salti temporali, punti di vista variegati e deliberatamente incerti, omissioni e anticipazioni.

La linea narrativa principale, come spesso accade in questi casi (la trama dell’Ulisse di Joyce, capofila del massimalismo modernista prima e postmodernista poi, è pur sempre «la giornata di un tizio a Dublino»), è piuttosto semplice: un uomo e una donna, legati da conoscenze comuni, abitano nello stesso palazzo a New York, si sfiorano in mille modi, ma non si incontrano mai. Lui, James Mayn, è un giornalista scientifico divorziato che confonde realtà e immaginazione ma ha smesso di sognare, come se i sogni fossero ormai tracimati nella sua realtà; lei, Grace Kimball, è un’attivista di origine nativoamericana che conduce workshop di autoconsapevolezza e sogna invece spesso; i protagonisti di quei sogni sono le persone della vita di lui.
Questi due personaggi e la moltitudine di comprimari che orbitano loro attorno, alcuni ordinari, altri più bizzarri – James ha un «doppio», una spia impegnata in operazioni in Cile; Grace riverbera in figure del mito come il «principe Navajo» – formano un attrattore principale da cui si dipartono, come spirali di Fibonacci, le vicende più diverse, per lo più ambientate nell’ultimo secolo americano: tra salti all’indietro e in avanti, il romanzo si snoda tra il 1874 e gli anni Settanta del Novecento.
È chiaro da subito che a McElroy le vicende interessano il giusto: quello che gli preme è trovare una rappresentazione dell’inconscio collettivo, disegnare il mondo come un «ecosistema infinito di menti», manifestare un’evidenza: siamo ciò che vediamo, pensiamo, sentiamo e immaginiamo, e così tutti gli altri, e da ciò l’idea di una realtà oggettiva decade in favore di un sistema caotico che genera e ingoia senso di continuo, in un turbine di apparizioni, enigmi e agnizioni.
Al di là dell’organizzazione interna del testo, che è modulato secondo un sistema spiraloide che ogni volta aggiunge livelli di significato, l’organizzazione esterna – potremmo dire editoriale – presenta 33 capitoli, di lunghezza variabile, che già dall’indice forniscono un’indicazione interpretativa: ci sono i capitoli con un titolo «normale» (maiuscola all’inizio, il resto minuscolo, ad esempio: Da un estremo all’altro, in cerca della terra); ci sono quelli con il titolo tutto in maiuscolo (come TRA NOI: RESPIRI E ALTRI VAGITI); e ci sono i capitoli col titolo tutto al minuscolo (il suono misterioso). I primi sono i capitoli «ordinari», quelli in cui si dipana la vicenda primaria; i secondi sono altrettanto fondamentali ma presentano punti di vista non ordinari, entità disincarnate che parlano e osservano da uno spazio metafisico; i terzi, infine, sono una sorta di racconti interni al libro, per lo più avulsi dalle linee narrative principali ma ricchi di indizi volti alla loro interpretazione, nonché di indicazioni sull’approccio epistemologico di McElroy.

A far tirare il fiato al lettore ci pensano le ricche ambientazioni: la città di New York su tutte; l’America di provincia del secondo dopoguerra; il West (o meglio il Southwest) ai tempi della Frontiera; la Francia, il Cile, le basi della Nasa, il tutto descritto con meravigliosa vividezza. È sufficiente? A volte l’impressione è che, nonostante l’indubbia profondità intellettuale e la prosa a tratti sublime, i personaggi e le vicende non siano abbastanza interessanti da portare sulle spalle il peso di tutto il resto: in particolare Grace, che dovrebbe essere una sorta di summa della coscienza femminile universale, appare oggi come la caricatura di una femminista americana degli anni Settanta.
Se si è interessati a esperire una rappresentazione letteraria della teoria del caos, bene, è qui, pronta per essere letta. Se si cerca un’allegoria dei rapporti squisitamente economici che si formano nelle relazioni interpersonali (e in quelle tra umani e mondo), non se ne troverà una più raffinata. Se il nostro desiderio è di farci spiegare concetti scientificamente complessi da entità astratte, bene, si legga Donne e uomini. Se invece si cerca «solo» un grande romanzo massimalista, le cose forse cambiano. Donne e uomini può essere consigliato senza batter ciglio a chi ha amato L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, Underworld di Don DeLillo o Infinite Jest di David Foster Wallace, ma a chi non li ha ancora letti, e intende accostarsi a quel tipo di testi, difficilmente si consiglierebbe Donne e uomini: si consiglierebbero proprio L’arcobaleno della gravità, Underworld o Infinite Jest (o, per citare un altro grande romanzo massimalista pubblicato di recente proprio dal Saggiatore, Solenoide del romeno Mircea Cartarescu: in comune con McElroy ha la capacità di prendere in prestito parole e concetti dalle più diverse discipline scientifiche).
Il fatto è che McElroy arriva all’assoluto dell’America del suo tempo, ma un romanzo di queste proporzioni ha una sorta di patto implicito col lettore: arrivare anche a un qualche assoluto generale. In realtà, a ben guardare, McElroy arriva anche a un suo assoluto, ma ci arriva sottotraccia, chiedendo al lettore uno sforzo spropositato per trovarlo (viene da sorridere a dirlo, ma questo sarebbe un romanzo da rileggere) rispetto a ciò che, infine rivela. La sensazione è che, al netto del carico ideale, il romanzo cominci a girare verso metà, e ciò rischia di essere un peccato grave per un libro di quasi duemila pagine.
Resta il fatto che, al di là delle considerazioni di fruibilità, Donne e uomini è un monumento titanico alle possibilità dell’espressione umana attraverso il linguaggio, anzi del fatto che costruiamo il nostro mondo attraverso il linguaggio, e questo non è un merito che si può ignorare: Donne e uomini è un romanzo che non assomiglia a nessun altro, non solo per sua natura monolitica, e quindi merita un posto in ogni biblioteca letteraria di un certo livello, in attesa del momento giusto per affrontarlo.