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 2021  settembre 26 Domenica calendario

Le strade più famose della letteratura

Il luogo in cui è ambientata un’opera letteraria è tra i suoi elementi costitutivi più importanti e per questo motivo in genere è subito ben definito dallo scrittore, se non già nel titolo, almeno nella prima pagina. È un pilastro su cui si regge l’intero edificio, come è evidente anche nelle due maggiori opere letterarie italiane: la Commedia di Dante (« ...mi ritrovai per una selva oscura») e I promessi sposi di Alessandro Manzoni («Quel ramo del lago di Como...»).
Perché il luogo delle storie è così importante? Serve a chi legge per orientarsi, dà il tono e l’atmosfera alla pagina, e lo si può considerare un personaggio a sé, con una sua personalità e un suo carattere. Ma soprattutto, è uno di quei tratti che definiscono il rapporto dell’opera letteraria con il «suo» tempo e con tutti i tempi possibili: anzi è uno spaziotempo, quasi come in fisica, un elemento della durata della letteratura e della sua consistenza nel mondo.
Nella conversazione sulla durata della letteratura uscita su «la Lettura» #507 del 15 agosto, con lo scrittore Emanuele Trevi, l’editor Antonio Franchini, l’editore Eugenia Dubini e il traduttore Daniele Petruccioli, gli interlocutori hanno discusso sulla capacità di persistenza della letteratura. Su quanto dura un romanzo, in sostanza, nel mondo. Ma quanto dura, viceversa, il mondo raccontato in un romanzo? Capire quanto rimane di un quartiere, di una strada, di un panorama che uno scrittore ha scelto come paradigma di un’epoca, può dire molto di quel mondo e dell’attuale, e far capire dove arriva la capacità fotografica della letteratura. E osservare i «luoghi da romanzo» trasformati dal passare del tempo e della storia, o rimasti tali e quali, aggiunge qualcosa anche al romanzo in sé. Aggiunge, in qualche modo, anche il lettore.

Strade, vie, piazze
Proprio le vie di transito, le strade, le piazze, sono nella toponomastica letteraia tra gli elementi più diffusi: non sempre però sono i più mutevoli. Non pare molto cambiato nel tempo il Nevskij prospekt a San Pietroburgo, che dà il titolo alla novella La Prospettiva Nevskij di Nikolaj Gogol’. Il viale, che cambiò il volto della città come gli Champs-Élysées a Parigi e il Ring a Vienna, nacque nel 1718 con il decreto firmato dallo zar Pietro I: quando Gogol’ iniziò il racconto, nel 1831, la strada era il centro della città, di giorno affollata di funzionari (non dopo le quattro di pomeriggio, chiosa lo scrittore) e di sera animata ma più oscura e adatta a incontri avventurosi: quelli che capitano ai due giovani di cui Gogol’ racconta gli amori, clandestini e destinati a una brutta fine. Mentre la città ha cambiato nome più volte (San Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado e, dopo il referendum del 1991, di nuovo San Pietroburgo), la via ha sofferto poche mutazioni (è stata Prospettiva 25 Ottobre in epoca sovietica). Oggi non ha perso smalto: è la grande arteria trafficata in cui si riversano i turisti, i clienti dei moltissimi negozi, e (ancora oggi) i funzionari degli uffici della zona.
Conteneva già una riflessione sulle periferie e sull’adolescenza, oltre che sulla guerra, il romanzo I ragazzi della via Pál, dell’ungherese Ferenc Molnár, uscito nel 1906, che descriveva i giochi bellici tra bande di ragazzini nella Budapest di fine Ottocento, al confine dei sobborghi. Una riflessione che oggi si fa più acuta: non ci sono più gli spiazzi e i campetti in cui i piccoli combattenti di Molnár installavano i loro arsenali, i corpi di guardia e le fortezze e finivano per trasformare in tragedia un gioco che scimmiottava le guerre degli adulti. Già János Boka, il comandante dei ragazzi di via Pál, scopre nel romanzo che sullo spiazzo del gioco sarà presto costruito un palazzo: oggi la strada è fittamente edificata e abitata, un groviglio di palazzoni, anche se resistono tracce come il Giardino botanico delle Camicie Rosse (gli avversari dei ragazzi della via) e cinque statue in bronzo ricordano i bambini-eroi che giocano sul marciapiede.
Le strade dei romanzi, più che cambiare, accentuano la loro vocazione: accade alla Via Gemito di Domenico Starnone (Feltrinelli), nel romanzo del 2001 con cui lo scrittore vinse il premio Strega. Il padre del protagonista è un ferroviere che si diletta d’arte, uomo manesco, insicuro e velleitario, che al primo cenno di celebrità come pittore trasferisce la famiglia dalla «scassata» via Zara alla borghese via Gemito, al Vomero, in un palazzo «dei ferrovieri»; «una casa tutta sua» per la mamma, un «bottino» fortunato per il figlio, scrive Starnone. Nemmeno lì però il padre è soddisfatto: «Mio padre si torceva d’invidia e schiattava di rabbia pensando: “Perché m’è toccato di pittare qui, nel palazzo dei ferrovieri, in via Gemito 64?”». E le botte in casa e le liti continueranno. Oggi via Gemito non è così cambiata, forse è più borghese di quanto non fosse negli anni Cinquanta: si trova nel quartiere del Vomero, in posizione perpendicolare a due celebri vie della Napoli bene, piene di negozi e locali, via Cilea e via Scarlatti. Anche il palazzo non è mutato, ma l’indirizzo sì: il numero 64 della strada di Starnone si trova oggi nella piazza Quattro Giornate, uno slargo nella via, con lo stesso numero civico 64.

Negozi, librerie, pub
Charing Cross Road a Londra era ed è una via famosa per le sue librerie, moderne e d’antiquariato, tra le quali fino al 1970 si trovava anche il negozio Marks & Co.: fin dal 1949, la scrittrice newyorkese Helene Hanff intrecciò una fitta corrispondenza con la libreria, e con l’impiegato Frank Doel in particolare, scambiando con lui all’inizio informazioni sulle rarità librarie e poi missive sempre più amichevoli e intime. Dallo scambio epistolare venne un libro, 84 Charing Cross Road, pubblicato da Hanff nel 1970, anno della morte di Doel e della chiusura della libreria. Oggi la zona è ancora in parte abitata dai libri, ma al civico 84 c’è una paninoteca e tutt’intorno fioriscono gli esercizi commerciali del centro, locali, negozi, pizzerie italiane e caffetterie.
Sempre a Londra si trovano alcuni pub, locande e hotel citati ne Il circolo Pickwick, romanzo d’esordio di Charles Dickens. Scritto nel 1836 e ambientato nel 1827 circa, raccoglie le impressioni che i membri del circolo mettono via durante «i loro viaggi e le loro investigazioni, le loro osservazioni sui caratteri e sui costumi»: correndo di quartiere in villaggio, tra fattorie, locande, case di amici, i soci del circolo incontrano ogni genere di personaggio, gente sussiegosa o umile, curati o imbroglioni, tra scene di caccia al piccione, duelli e fughe d’amore. Proprio Dickens scrive: «Vi sono a Londra parecchie vecchie locande, destinate un tempo ad essere quartiere generale di famose diligenze». I tempi sono cambiati, continua, e «oggi queste locande hanno degenerato e servono soltanto alle vetture campagnole». Data la natura conoscitiva e ludica del viaggio, inevitabilmente le locande e i pub nel libro sono tanti: uno, lo Spaniards Inn, esiste dal 1585, è famoso non solo per il passaggio dei soci di Pickwick ma anche per l’assiduità di artisti e poeti (John Keats vi scrisse Ode to a Nightingale). Si trova ad Hampstead, tra i quartieri più esclusivi di Londra, e oggi è diventato una meta turistica, come molte altre insegne dickensiane, il George and Vulture in Lombard Street, il Leather Bottle a Cobham o il Bull Hotel a Rochester. Non sono cambiati, ma spesso sono passati attraverso abbellimenti e restauri: sono diventati più turistici che mai.

Quartieri, zone, città
Ancora Londra. Altro luogo letterario è Belgravia: nel 1840, ai tempi in cui si svolge l’omonimo romanzo di Julian Fellowes (diventato anche una miniserie tv), era una zona residenziale della grande nobiltà caratterizzata dalle tipiche, elegantissime facciate in stucco bianco, in un’oasi di insolita tranquillità per una metropoli, senza imprese e negozi ad affollare le strade e le vite. Già nel Novecento, però, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, le grandi dinastie nobiliari di campagna che usavano i palazzi di Belgravia come residenze di città, hanno cominciato a venderle: oggi Belgravia è la zona dei palazzi delle ambasciate, ma è anche un quartiere su cui hanno investito i magnati russi e sauditi, forse gli unici che possono permettersi di acquistare casa a circa 50 mila sterline al metro quadrato.
Tra le zone, invece, popolari, su cui si è concentrato l’immaginario letterario italiano, a Milano c’è la Ghisolfa. Più noto del quartiere è oggi il ponte che scavalca i binari della ferrovia: Il ponte della Ghisolfa è anche il titolo di una importante raccolta di racconti di Giovanni Testori, in cui si delinea l’Italia di Rocco e i suoi fratelli, del Dopoguerra e degli anni Cinquanta prima del boom. Lo sguardo di Testori cerca gli angoli più nascosti e più aspri: bettole della mala, officine in cui si ritrovano i ciclisti che aspirano al professionismo, palestre in cui i pugili si allenano dopo il lavoro di manovali, case degli emigranti. Alla sera, un pasto piuttosto magro che Testori descrive in modo asciutto: «Minestra, pane, taleggio e un bicchiere», chissà se di vino o d’acqua. Oggi, forse, nella stessa zona il pasto è un po’ meno povero, e soprattutto più variegato: forse kebab, cus-cus o riso, in un quartiere rimasto in certa misura popolare ma diventato multietnico, pieno di negozi e molto vivace.
Altro luogo di un’Italia remota nel tempo è quello narrato da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli, iniziato nel 1943, pubblicato nel 1945. «Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo», scrive Levi, giungendo nel paese di Aliano (Matera) cui è destinato durante il ventennio fascista e dove trascorre gli anni di confino. Dopo la città di Eboli (Salerno), intende lo scrittore, quando la strada si stacca dalla costa popolosa e si addentra nelle campagne montuose dell’entroterra, a Levi appare all’improvviso un mondo separato, una distanza che sembra incolmabile tra il mondo contadino meridionale e le «matematiche pianure» del Nord o le istituzioni della lontana Roma. La città di Eboli, che per Levi era un limite estremo, è oggi un centro produttivo di 40 mila abitanti, cui lo Stato è più vicino (tanto che ha commissariato il Comune nel 2020; le elezioni si svolgeranno il 3 e 4 ottobre), e una comunità che ha riscoperto l’interesse culturale del centro storico. E Aliano, che soffre gli effetti dello spopolamento come molti paesi delle campagne, è un luogo ricco di storia: oltre al Parco letterario Carlo Levi, ospita il Premio Levi e ha appena proposto in agosto la nuova edizione del Festival della paesologia La Luna e i Calanchi, ideato nel 2012 dal poeta Franco Arminio.
Altri quartieri trasformati: con ironia un po’ dura Vasco Pratolini descrive il quartiere di San Frediano a Firenze, nell’incipit del romanzo Le ragazze di Sanfrediano, edito nel 1952. Quartiere «diladdarno», cioè al di là dell’Arno, secondo Pratolini «è quel mucchio di case» che forma «il quartiere più malsano della città». «Le case sono antiche per le loro pietre, e più per il loro squallore», continua, e la «gente di Sanfrediano» rappresenta «la parte più becera e più vivace dei fiorentini». Bob, il protagonista, è vittima di una pesante burla da parte delle ragazze del quartiere, «trecciaiole, pantalonaie, stiratrici, impagliatrici», scrive Pratolini. Prese di mira dall’aitante seduttore, si vendicano svergognandolo in pubblico e convincendolo a mettere la testa a posto. Settant’anni dopo, il quartiere, centralissimo accanto all’Arno, è affollato di ristoranti, locali, wine bar, botteghe di specialità e artigianato, ed è considerato tra i più cool della città.

Pianeta, ghiacci, natura
Due esempi per tutti. Nel libro Into the wild di Jon Krakauer (Nelle t erre estreme, Rizzoli, 1997), con il titolo originale divenuto anche film per la regia di Sean Penn, si narra la storia vera di Christopher McCandless, che tentò di sopravvivere in un pulmino isolato nello sperduto territorio di Denali, in Alaska, e morì di stenti, avvelenato dalle erbe di cui si nutriva. Il pulmino è diventato meta di un forsennato turismo ed è stato causa di numerosi altri incidenti: perciò le autorità lo hanno rimosso nel 2020.
Nel 1864 Jules Verne pose sul favoloso ghiacciaio Snæfellsjökull in Islanda, che ricopre il vulcano Snæfell, il punto d’imbocco impervio del suo Viaggio al centro della Terra. Ecco un caso in cui la durata di un libro supera (tristemente) quella del suo mondo: il ghiacciaio è considerato a rischio dalla comunità scientifica, che ne prevede la scomparsa in un paio di decenni a causa del riscaldamento climatico. E se le peggiori previsioni si avvereranno, dello Snæfellsjökull resteranno solo le testimonianze letterarie.