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 2021  settembre 26 Domenica calendario

Faccia a faccia con Mercurio

Mercurio ha sempre esercitato un’ambigua attrazione. È il pianeta più vicino al Sole, con condizioni estreme, interessanti ma difficili da affrontare. I suoi rapidi spostamenti in cielo furono già descritti dalle tavole degli Assiri ma osservarlo da Terra con i telescopi, a causa della sua orbita, è sempre stata un’impresa. Dante, nella Divina Commedia, ci collocò il luogo degli arcangeli e delle anime dedite alla gloria terrena. Gli scienziati, invece, dal momento che non offriva caratteristiche che potessero essere legate in qualche modo alla ricerca della vita, lo hanno sempre trascurato in favore di Marte e Venere anche quando, da anni ormai, le sonde spaziali hanno potuto indagarne la natura.
Il fascino del più piccolo pianeta del sistema solare, tuttavia, s’è conservato inalterato. Se ne occupò persino Albert Einstein, precisando alcune anomalie dell’orbita che alcuni ritenevano causate dalla presenza di un altro corpo celeste ancora più prossimo al Sole, il mitico Vulcano. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso s’è pensato che rivolgesse al Sole sempre la stessa faccia, come la Luna con la Terra. A chiarire l’enigma dei movimenti fu Giuseppe Colombo (1920-1984), il geniale meccanico celeste che divideva il suo tempo tra l’Università di Padova, l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Boston e il Jpl (Jet Propulsion Laboratory) della Nasa in California.

Nel 1965 Colombo descrisse i risultati delle sue ricerche sulla rivista «Nature» precisando che Mercurio compie tre rotazioni sul proprio asse ogni due rivoluzioni intorno al Sole. Di conseguenza la sua interminabile giornata si protrae per 176 giorni terrestri ed è lunga il doppio degli 88 giorni che segnano un’annata; un record che consente di riscaldare la superficie illuminata dal Sole fino a 450 gradi centigradi mentre la parte in ombra scende a meno 180 gradi. Eppure nei crateri del Polo Nord il radiotelescopio di Arecibo ha scoperto depositi di ghiaccio inalterati nel tempo.
Nel frattempo alla Nasa iniziarono a coltivare l’idea di scrutare il pianeta da vicino. Nacque così la missione Mariner 10, partita nel 1973. Colombo, in quel momento al Jpl, sfruttando l’azione gravitazionale di Venere calcolò per la prima volta un’orbita che avrebbe portato la sonda a visitare tre volte Mercurio invece di una sola, come previsto, triplicando il bottino scientifico. Il «New York Times» celebrò Colombo come lo scienziato italiano che aveva aiutato la Nasa a rendere più fruttuosa una complicata e costosa spedizione.

I risultati stupirono tutti: oltre a un panorama simile a quello lunare, butterato da crateri, la sonda svelò soprattutto l’esistenza di un campo magnetico che, anche se cento volte minore di quello terrestre, pose la domanda sulla sua costituzione interiore e sugli effetti dell’interazione con il Sole nella magnetosfera che lo circondava.
Dopo Mariner 10, comunque, Mercurio venne dimenticato per più di trent’anni, fino a quando nel 2004 la Nasa spedì la sonda Messenger, superando alcuni ostacoli tecnologici soprattutto per proteggere il velivolo in un ambiente notevolmente surriscaldato dalla radiazione solare. Gli astronomi europei nel frattempo si organizzarono, anche con il contributo degli scienziati giapponesi, per approfondire una ricerca che si rivelò sempre più entusiasmante. Questo portò al lancio nel 2018 di due sonde unite assieme, costruite dall’Esa europea e dalla Jaxa nipponica, avviando la missione BepiColombo, così battezzata per ricordare il grande scienziato che aveva rivelato molti segreti di Mercurio. Una volta giunte a destinazione nel 2025, le sonde si separeranno ruotando su orbite diverse: quella europea vicina al pianeta, la compagna orientale più lontana per indagare, grazie alla contemporanea azione, fenomeni altrimenti impossibili. 
Ma BepiColombo è in verità già all’opera. Il 1° ottobre compirà il primo di sei flyby: incontri ravvicinati con l’intrigante pianeta, sorvolato da appena 200 chilometri. Gli strumenti scientifici di cui è dotata la sonda Esa, compresi tre dei quattro guidati dagli scienziati italiani realizzati con l’agenzia spaziale Asi, inizieranno l’esplorazione. «Messenger ha fatto molto ma noi faremo di più», dice Luciano Iess della Sapienza di Roma, responsabile dell’esperimento More che assieme all’accelerometro Isa di Valerio Iafolla dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) indagherà l’interno del pianeta.
Non solo. «In questa occasione effettueremo delle verifiche per preparare future indagini – precisa Iess —. La sonda americana non ha chiarito se Mercurio abbia un nucleo solido all’interno del nucleo fluido e questo è un nostro obiettivo, perciò misureremo la gravità e la rotazione del pianeta. Durante il viaggio di crociera abbiamo registrato il ritardo dei segnali radio creati dalla massa del Sole a causa della deflessione dei raggi e verificato la relatività generale. L’intento è trovare una violazione, però già perfezionarne il valore sarà un risultato importante. I segnali raccolti sono incoraggianti. Nella ricerca sarà prezioso l’accelerometro per rilevare gli effetti della radiazione solare o delle forze centrifughe per fare emergere il puro dato della gravità».

A scandagliare l’ambiente intorno a Mercurio sarà l’esperimento Serena, un insieme di quattro strumenti che «ascoltano il respiro del pianeta rispetto al Sole», dice il suo responsabile Stefano Orsini dell’Inaf. Due si accenderanno durante il flyby per analizzare le particelle ionizzate che formano la rarefatta atmosfera. In parte arrivano dal Sole, altre sono frutto dell’interazione del vento solare con la superficie e dell’impatto con micrometeoriti. Il calore alimenta i fenomeni provocando emissioni di ioni di sodio, magnesio e calcio in fuga verso lo spazio. «Quando ci sono tempeste solari questi effetti si esasperano e il campo magnetico genera aurore analoghe a quelle nostre polari – nota Orsini —. Controllando ciò che succede su Mercurio e nel suo circondario, grazie anche alla sonda giapponese, possiamo predisporre opportune difese sulla Terra dove poco dopo arriveranno le raffiche della tempesta. Potremmo dire che il pianeta ci avvisa rispettando la sua origine mitologica di messaggero degli dei». 
Quando BepiColombo nel dicembre 2025 sosterà stabilmente in orbita, aprirà i tre occhi dell’esperimento Simbio-Sys mostrandoci i bollenti orizzonti ad alta risoluzione con un dettaglio di cinque metri e realizzando una mappa tridimensionale. Lo spettrometro completerà la ricognizione rivelando la composizione della superficie. «Tutti questi dati occuperanno la metà dell’intero flusso di informazioni che BepiColombo ci invierà togliendo molti veli al minuscolo corpo celeste – conclude Gabriele Cremonesi dell’Inaf, alla guida dei 90 ricercatori europei coinvolti nell’esperimento —. E il remoto luogo infernale a lungo dimenticato ci aiuterà a sciogliere alcuni enigmi che ancora avvolgono la nascita dei sistemi solari attorno alle stelle». La storia di Giuseppe (Bepi) Colombo continua.