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 2021  settembre 26 Domenica calendario

Il caso editoriale creato da Gilles Gressani

Il caso editoriale al tempo della pandemia, in Francia, l’ha creato un italiano che in Italia per ora non molti conoscono. Gilles Gressani, 30 anni, è nato e cresciuto a Villeneuve, una frazione di mezza montagna a una quindicina di chilometri da Aosta. Ha perso la madre che era ancora un bambino, è cresciuto assieme a un padre funzionario della comunità montana del Gran Paradiso e oggi, da pensionato, guida escursionistica con i turisti. Gilles Gressani viene dalla periferia d’Italia. Viene da un punto nella mappa fuori dalle reti di quelli che credono istintivamente – senza neppure dirselo, senza pensarci – di avere diritto a qualcosa di più e a qualcosa di diverso.
Eppure durante l’adolescenza fa una cosa che per altri è inimmaginabile: frequenta la biblioteca comunale del capoluogo. «La provincia – dice oggi da Parigi – è un ottimo posto in cui formarti. È un po’ come l’ermo colle di Leopardi: ti crea una visione dell’infinito che è limitata, ma ti può strutturare. Se leggi tutti i libri nello scaffale di filosofia della biblioteca di Aosta e tutti i libri di scienze politiche, allora più o meno hai i classici».
Lui aveva anche idee insolitamente chiare, per un teenager della provincia italiana alla vigilia della Grande recessione: per l’ultimo anno delle superiori si trasferisce in un liceo vicino a Nizza convenzionato al suo; lo fa perché dopo il diploma vuole poter essere ammesso alle Classes Préparatoires, che per un biennio allenano l’élite studentesca francese agli esami d’accesso per le Grandes écoles. Gressani prende l’ascensore sociale del palazzo accanto, forse perché quello in cui sta crescendo lui è guasto. Certo, se l’ascensore italiano prende la ruggine, anche quello francese magari non sarà perfetto. Ma almeno viaggia. E fa viaggiare persino chi viene dal niente e da fuori con talento e voglia di sgobbare. Così il ragazzo arrivato dalla provincia di Aosta vive e studia per due anni nell’imponente e austero istituto Louis-le-Grand, nel cuore del quartiere latino a Parigi. 
Da lì conquista l’accesso all’École normale supérieure, dove il primo mese gli sfugge un’imperfezione: interpellato da un professore in aula, risponde dicendo Tartouffe invece di Tartuffe con la «u» chiusa. «Mi è valso per un paio di mesi di essere indicato come “l’italiano”», ricorda.

Questo non gli impedirà di coprire un percorso universitario che denota una determinazione notevole. Il cursus honorum da normalien completato voracemente. La specializzazione in Geopolitica, poi un master di Filosofia politica e un secondo in Scienze politiche in Francia, quindi un periodo di ricerca nel dipartimento di Political Science della Columbia University a New York, fino al 2018. Proprio osservare le differenze culturali fra l’America e l’Europa getta i semi per quello che sarebbe diventato «Le Grand Continent», la rivista solo digitale che Gressani fonda con pochi amici della Normale nel 2019, che dirige dal primo giorno e diventa, con le clausure da pandemia, un punto di riferimento in Francia per i ceti colti o semplicemente curiosi di generazioni diverse: da un lato gli alti funzionari, i manager affermati o gli accademici a fine carriera, dall’altro gli studenti anche degli ultimi anni di liceo o dei primissimi di università. Ogni mese almeno 250 mila persone tornano sul sito di «Le Grand Continent» dopo esserci stati almeno una volta, mentre alle newsletter della redazione sono iscritte decine di migliaia di persone e ormai un’ampia porzione dell’élite culturale e politica francese e internazionale contribuisce con i propri scritti alla rivista di Gressani: fra gli altri il premio Nobel per l’economia Jean Tirole, l’ex capoeconomista del Fondo monetario internazionale Olivier Blanchard, un ex consigliere di Emmanuel Macron come Jean Pisani-Ferry, lo storico italiano Carlo Ginzburg, Henry Kissinger, Mario Vargas Llosa, la premio Nobel polacca per la letteratura Olga Tokarczuk. E poiché «Le Grand Continent» ambisce a «strutturare il dibattito europeo» – secondo l’espressione di Gressani – pubblica molte voci non francesi e lo fa simultaneamente in italiano, tedesco, spagnolo, polacco e in alcuni casi in inglese, oltre che nella lingua di Molière. È successo anche quando, a novembre scorso, il presidente della Repubblica ha scelto «Le Grand Continent» per una delle sue interviste più ampie e approfondite (ripresa in tutta Europa e anche dal «Corriere»).
Però è appunto il confronto con gli Stati Uniti che probabilmente ha dato l’innesco a Gressani e alla sua cerchia di amici formati dalla Scuola normale di Parigi. Perché lui ha subito notato le differenze e misurato il potenziale inespresso che esiste in Europa, anche nel mercato editoriale. «A New York si fa “Foreign Affairs”, che ha 200 mila abbonati – nota Gressani – ma non è che gli europei siano più poveri o più stupidi o meno interessati all’informazione degli americani. Anche da noi c’è spazio per leggere e raccontare la realtà andando ai nodi di fondo delle questioni strutturali, non attraverso le polemiche sterili di giornata».
Forse la differenza con gli Stati Uniti è di tipo antropologico sì, ma in un senso più sottile. Lo è prima di tutto dal punto di vista territoriale, perché nessun luogo d’Europa genera da solo una simile densità di intelligenze e conoscenze nello spazio di poche centinaia di metri. «A Washington nella stessa strada hai la Brookings Institution, le agenzie federali, l’università. Tutto è là, è come un pozzo di petrolio venezuelano: fai un buco e tiri fuori il greggio», dice Gressani. E continua: «In Europa invece bisogna fare una sorta di fracking intellettuale, devi andare a cercare le sacche di materia preziosa là dove si trovano e tirarle fuori, metterle in rete. Molti autori sono allo stesso livello degli americani, semplicemente non sono altrettanto interconnessi fra loro. All’inizio il nostro valore aggiunto è stato scovare e mettere in evidenza certe competenze che nessuno attivava».
Poi però il confronto con gli Stati Uniti forma la visione di Gressani anche in maniera potenzialmente più controversa. Una volta Gideon Rose, che sta per entrare nella sessantina e ha diretto «Foreign Affairs» per un decennio fino a pochi mesi fa, gli ha confessato che per lanciare la parte digitale della sua rivista aveva dovuto circondarsi di gente con un terzo dei suoi anni. Semplicemente, aveva dovuto fidarsi di loro e lasciarli fare. Ora, anche la Francia ha una grande tradizione di riviste di cultura: da «Esprit» a «Le Débat», la pubblicazione dell’editore Gallimard fondata e diretta da oltre quarant’anni dal grande storico Pierre Nora. Ma il cambio di generazione non c’era mai stato, prima di «Le Grand Continent». E ora che Nora si avvicina ai novanta, attrae l’attenzione della stampa internazionale soprattutto perché è il nuovo compagno di Anne Sinclair, l’ex moglie di Dominique Strauss-Kahn.

Visto da questo mondo un po’ senile, l’entrata in scena e il successo di «Le Grand Continent» dev’essere apparso un atto brutale: pura disruption nel cuore di una delle classi dirigenti intellettuali più strutturate d’Europa. «Non voglio fare del giovanilismo a buon mercato – afferma con equilibrio Gressani – ma c’è una generazione che non è esattamente riuscita a fare il lavoro di ricambio generazionale che sarebbe servito. Oggi non puoi pensare di fare una rivista senza essere prima di tutto un ecosistema digitale. In questo momento è possibile fare molto perché nel nostro spazio c’è pochissima concorrenza. Ma noi non vogliamo distruggere, vogliamo costruire».
Già, ma costruire cosa precisamente? Anche con le migliori credenziali, un gruppo d’intellettuali a stento trentenni sarà sempre circondato dal sospetto di voler sminuzzare e liquidare la complessità del mondo in pochi tweet. Gressani non se ne sottrae: «È un esercizio che ogni generazione deve fare, da Petrarca a oggi: come far sì che il classico, il libro, la concentrazione, l’accumulazione di conoscenza del tempo passato possa tradursi nella contemporaneità? I dibattiti attorno alla scrittura di sonetti in lingua volgare nel Medioevo non erano molto diversi da quelli di oggi sulle piattaforme web. Anche allora qualcuno diceva che niente è più possibile, tutto è finito e ormai hanno vinto i barbari... In realtà si tratta solo di trovare il modo di tradurre le cose nella lingua del momento».
Tradurre è ciò che un uomo come Gressani fa da tutta la vita. Quando torna a casa dai suoi a Villeneuve parla italiano («ho bisogno di stare con i miei cugini, uscire dalla bolla di Parigi per restare ancorato alla realtà esterna»), ma con sua nonna parlava il patois francoprovenzale della Valle d’Aosta. Non c’è niente di più sleale che chiedere a uno così di confrontare la Francia all’Italia. Ma lui sta al gioco: «Non è che siano società così diverse, sia nello spazio offerto ai giovani sia nell’innovazione. Ma Parigi resta più globale di Roma, c’è una densità che da sola non c’è in nessuna città italiana perché in Italia il potere è più diffuso. Non è tutto a Milano, non è tutto a Roma, non è tutto in nessun luogo da solo». Ma è proprio questo carattere denso e aperto della capitale francese «a rendere credibile un’iniziativa come la nostra che sia una commistione fra qualcosa di molto culturale, molto intellettuale e molto innovativo. Del resto l’intellettualizzazione dei problemi in Francia è più spontanea, mentre questioni simili in Italia vengono derubricate a lotta fra fazioni».