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 2021  settembre 26 Domenica calendario

Intervista al neuroscienziato Giancarlo Comi

«Ma il bello viene adesso». Giancarlo Comi parla di neuroscienze e usa una metafora: «Per moltissimo tempo, migliaia di anni, siamo stati su una montagna a osservare un panorama meraviglioso». Però. «Che alberi sono quelli laggiù? Che tipo di costruzioni?». Nebbia. «C’erano intuizioni, non risposte certe: mancava il cannocchiale adatto. Ecco, adesso il cannocchiale lo possediamo». E abbiamo appena cominciato a usarlo. 
«Vediamo esattamente in che modo interagiscono le cellule del cervello, eppure rimane misterioso come ciò si traduca nel pensiero cosciente: l’ambito di ricerca più denso di scoperte, nel futuro, è qui». Docente, fondatore ed ex direttore dell’Istituto di Neurologia sperimentale dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, Comi è un luminare nel campo delle malattie neurodegenerative («anche nella distruzione dell’armonia del cervello emerge la sua organizzazione») e guida il Comitato scientifico di Human Brains, percorso con cui la Fondazione Prada divulga i temi della ricerca scientifica. «Una grande avventura», per la presidente Miuccia Prada. Che spiega: «Per un’istituzione nata da interessi per le arti visive occuparsi di scienza è una sfida: dobbiamo dare voce e forma alle idee degli studiosi». Dopo la «fase uno» del 2020 in cantiere ci sono un’esposizione nel contesto della Biennale d’arte di Venezia 2022 e – la prima il 30 settembre – una serie di conversazioni online con ricercatori internazionali e filosofi.

Professore, neuromodulazione e plasticità cerebrale agganciano il pubblico? 
«Human Brains nasce dall’idea di Miuccia Prada di usare il registro divulgativo per avvicinare tutti a un campo chiave per il futuro. Parlare del cervello, dei suoi aspetti funzionali e patologici, è parlare dell’uomo. Un focus non casuale mentre la scienza mostra una certa difficoltà a trovare un proprio ruolo». 
In che senso? 
«Siamo in lotta contro le fake news, la scienza per definizione vuole produrre right news: non è semplice farle arrivare, da sempre. Con la pandemia è solo diventato più evidente. C’è poi un punto di partenza che vorrei sottolineare... Non è scontato che discutendo di pensiero si punti sul cervello». 
Perché a lungo, anche nella filosofia, si è puntato sul cuore. 
«La storia del pensiero è stata un viaggio per giungere qui: un viaggio in corso». 
Ancora oggi si dice ragionare con il cuore, o con la pancia.
«O avere fegato. Adesso magari lo diamo per assodato, ma per fare sì che il pensiero venisse ricondotto alla scatola cranica ci abbiamo messo tremila anni. Non è solo questione di modi di dire».
Anche di tecnologia. 
«Lo sviluppo in questo senso è cruciale, con un balzo negli ultimi 50 anni. Da una ventina riusciamo a vedere la materia grigia nella sua struttura, osservare il cervello mentre funziona con particolari tecniche di risonanza magnetica». 
A che punto è lo studio del cervello?
«I pensatori del passato hanno avuto enormi intuizioni, però non erano nelle condizioni di verificare o confermare le loro ipotesi. Torno alla metafora della montagna: solo da fine Ottocento siamo scesi dalla vetta. Ora abbiamo iniziato a muoverci dentro il paesaggio».
In che modo? 
«Per esempio possiamo vedere quali zone si attivano quando il soggetto si emoziona, analizza, progetta. Freud disse che molto del nostro essere nasce nei primi anni di vita. Lo studio della plasticità cerebrale conferma la tesi: il cervello è davvero come una spugna, si impregna delle esperienze a cui viene esposto. La plasticità cerebrale è alla base di tutto: io apprendo perché ciò a cui sono esposto modifica connessioni biologiche, ne taglia alcune e ne attiva altre. È come la vita sociale, con rapporti che iniziano, si interrompono: ci rendono diversi. La plasticità nervosa decade nel tempo: è massima all’inizio della vita, si attenua con l’avanzare degli anni, ma non cessa neppure in età avanzata; è sostenuta da una quantità inimmaginabile di connessioni tra neuroni, in continua evoluzione». 
Ma come si fa a «vedere» un cervello mentre pensa? 
«La risonanza magnetica funzionale mostra come e quali zone si “accendono” a seconda delle attività in corso. È una questione di energia. Le zone si “accendono” perché consumano carburante indispensabile per la loro attività. È come esaminare i livelli di operatività di un Paese basandosi sui consumi di energia elettrica. Quando penso, se penso in un certo modo, si attiva una certa zona e consuma ossigeno. Allora capiamo che il lavoro avviene lì».

Emisfero sinistro: razionalità. Emisfero destro: emozione e creatività. Bufala o realtà? 
«Il cervello è per la professionalizzazione: si organizza con circuiti e aggregati funzionali che sottendono a vari ambiti, come il linguaggio, la matematica, le emozioni. Uno dei dibattiti del nostro percorso riguarda la lateralizzazione emisferica e i meccanismi dell’attenzione, ossia come l’essere umano si orienta di fronte a pensieri potenziali per poi occuparsene. Gli studi hanno mostrato che è soprattutto il cervello destro ad avere il compito di sostenere l’attenzione. Una prova arriva dalla medicina: con una lesione a destra, nel soggetto diminuisce la capacità di stare all’erta rispetto a ciò che succede attorno al corpo. Il linguaggio tendenzialmente si trova a sinistra». 
Tendenzialmente, ma non sempre.
«Quando diciamo che l’emisfero sinistro si occupa del linguaggio non significa che la parte destra non partecipi. Il cervello è come dovrebbe essere la società: vive in armonia. Quando un’azione viene intrapresa, quando un’attività inizia, tutti ne sono informati». 
Molto democratico. 
«Mettiamola così: nel cervello tutti quelli che hanno a che vedere con una certa attività danno in qualche modo una mano. Gli studi sui traumi offrono anche qui conferme: se si verifica un danno in una zona, aree dedicate ad altro possono contribuire e convergere tentando di svolgere la funzione compromessa». 
Si occupa di neuroscienze da decenni. Cosa riesce ancora a sorprenderla?
«Ciò che trovo più affascinante è questa modalità di funzionamento: compiti specifici sono affidati a certe cellule, ma contemporaneamente si attiva una rete che fa sì che tutte le altre sviluppino risposte se c’è un problema. Resta la domanda: come, nella nostra testa, le reazioni biologiche si trasformano in ciò che ha permesso all’essere di evolvere? Cosa trasforma una catena biologica in pensiero cosciente? Vediamo come interagiscono le cellule, non la costruzione del pensiero cosciente: è un mistero da svelare».