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 2021  gennaio 10 Domenica calendario

Intervista a Marilynne Robinson - su "Jack" (Einaudi)

La scrittura, per Marilynne Robinson, è un atto che richiede il coraggio di una rivelazione. I suoi romanzi racchiudono l’universo dei piccoli avvenimenti quotidiani, combinato a una fine indagine psicologica. Ci sono echi di un’antica tradizione puritana, il suo misurarsi con le Sacre Scritture e con i modelli classici.

Nell’esordio Le cure domestiche (1980), edito in Italia da Einaudi come tutta la sua produzione narrativa, Robinson ha narrato la storia di Ruth e Lucille, due sorelle rimaste orfane dopo il suicidio della madre, mettendo in scena personaggi affascinati dalle vite segrete delle persone e delle cose. Tra le mani di Marilynne Robinson — gigante della letteratura americana, premio Pulitzer nel 2005 per il romanzo Gilead — l’ordinario diventa sublime: la casa, per esempio, non è altro che il luogo e la metafora dell’anima.

Lo scorso autunno è uscito negli Stati Uniti Jack, il nuovo romanzo della scrittrice, il quarto della serie cominciata proprio con Gilead (2004) e continuata con Casa (2008) e Lila (2014). Il protagonista del libro, che verrà tradotto in Italia sempre da Einaudi, è il figlio del ministro presbiteriano Robert Boughton, la pecora nera della famiglia. Jack è un bugiardo, un ladro, un ubriacone. È scappato dopo avere sedotto una giovane donna, da cui ha avuto una figlia morta a tre anni. Il suo ritorno nel 1956 a Gilead — la cittadina immaginaria dell’Iowa che fa da sfondo alla serie e che dà il titolo al primo libro — per stare accanto al padre malato, è narrato da diverse prospettive negli altri romanzi. Il protagonista di Gilead, il reverendo John Ames, parlando di Jack si chiede come sia possibile che «un ragazzo abbia potuto causare tanta delusione senza avere mai dato alcun motivo di speranza». In Casa, la sorella di Jack, Glory, non riesce a farsi una ragione del suo modo «di essere così strano».

Al centro del nuovo romanzo ci sono i primi dieci anni d’esilio di Jack. Qui è narrato lo sbocciare della sua tormentata relazione con Della Miles, figlia del vescovo afroamericano di Memphis, insegnante in un liceo di Saint Louis, dove Jack è scappato dopo avere lasciato Gilead. Siamo nel Missouri degli Anni 40, nel pieno delle leggi segregazioniste Jim Crow. Le unioni interrazziali non sono tollerate.

In questo scambio di email con «la Lettura», Marilynne Robinson racconta come è nato Jack, definito dalla critica «una storia d’amore calvinista», ripercorre la sua carriera e si concentra sul drammatico momento politico americano. Come ha accolto la vittoria di Biden?

«Con gioia. Ho provato emozioni a cui non riesco a dare un nome. Trump è riuscito comunque a monopolizzare questo momento e a imbarazzare il Paese ancora una volta. È esasperante». Biden riuscirà a ricucire gli strappi causati dalla presidenza di Trump, non da ultimo l’istigazione della folla che poi ha assaltato il Campidoglio?

«Penso che Biden sia un’ottima scelta per guidare l’America fuori da un periodo complicato, forse la speranza migliore a cui potevamo aggrapparci. Ma la fazione repubblicana — non la considero più un partito — proverà in tutti i modi a sminuire il valore del suo lavoro e a ostacolarlo, guardando oltre le vere necessità del Paese per preparare la strada a una ricandidatura di Trump nel 2024. Oppure troverà una nuova figura che penserà a proteggere gli interessi della stessa fazione. I repubblicani sostengono di avere un legame privilegiato con il cristianesimo, di essere più patriottici, ma rifiutano per principio di rispettare chi ha diverse concezioni politiche o religiose. Senza contare il loro tetro entusiasmo per l’America bianca. Biden avrà fatto un buon lavoro se riporterà in questa società i valori del mutuo rispetto. Non c’è politico migliore di lui per provare a farlo».

Gli americani hanno scelto Biden soltanto come reazione a Trump?

«L’entusiasmo per la politica in America va e viene, a seconda di quello che c’è in gioco. In tempi più tranquilli, la partecipazione cala. È stato rassicurante vedere una grande affluenza alle ultime presidenziali. Era una risposta positiva alla gravità della situazione. Il problema ora saranno i fragili equilibri del Congresso, anche dopo il successo in Georgia. Un problema per Biden e per il Paese».

Parliamo del nuovo libro. Finora ha narrato la storia di Jack attraverso la prospettiva di altri personaggi. Questa volta è il protagonista. Che cosa l’ha spinta in questa direzione? In un’intervista alla «Paris Review» del 2008 disse che se avesse messo Jack al centro dell’azione lo avrebbe «perso»…

«Jack è una figura centrale per il tema trattato nella serie di Gilead: la continua influenza della storia nella memoria, nella cultura, nella giurisprudenza, nelle vite e nelle esperienze di chi la eredita; il modo in cui la storia dimora dentro di noi e continua attraverso le vite degli uomini; il modo in cui la storia viene dimenticata. Le società creano norme che esercitano una certa autorità, etica e morale, anche quando sono dannose e sbagliate. Jack, per sua natura, non riesce ad assimilare le norme sociali, nella buona e nella cattiva sorte. La sua prospettiva del mondo è molto interessante secondo me».

Non solo un protagonista inedito ma anche un’ambientazione nuova. Dal punto di vista temporale, «Jack» ha luogo prima degli eventi narrati in «Gilead» e «Casa». Il lettore sa già che cosa succederà dopo. Voleva offrire una nuova prospettiva della storia?

«Sì, volevo che i lettori guardassero il mondo attraverso gli occhi di Jack. Lui osserva gli eventi da una certa distanza e li percepisce in modo diverso da chi è immerso nelle proprie consuetudini, da chi è influenzato dalla vocazione».

Quale potere esercita la memoria nella vita di Jack?

«I ricordi di Jack non lo abbandonano mai: sono echi della sua infanzia e della sua giovinezza, hanno il volto di suo padre. Se cresci nella casa di un ministro del culto ti vengono inculcate nella testa certe idee, destinate a formare un particolare tipo di carattere. Il padre di Jack fallisce nell’educazione di Jack. Al tempo stesso, tuttavia, riesce in un’impresa sorprendente. La trasmissione di una cultura religiosa consiste per la maggior parte nella sua interiorizzazione come memoria, da una generazione all’altra».

C’è spazio per una redenzione nella vita di Jack?

«Jack è consapevole del proprio destino. Crede di sentire il peso della paura che il padre prova per lui. La dottrina di Calvino non prevede che un essere umano sappia se un’altra persona, o sé stesso, sarà destinato alla salvezza. Una delle conseguenze dell’idea di predestinazione è che il nostro destino è deciso prima del tempo e non si manifesta in modo visibile durante la nostra vita. Tommaso d’Aquino, che si schiera a favore della predestinazione nella sua Summa, cita questi versi dalle Scritture: “Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù”. Ma se guardiamo alle loro vite — Esaù diventa un uomo di grande ricchezza nella sua terra, Giacobbe un vagabondo, in fuga da tutto, con una serie di figli problematici —, un osservatore oggettivo trarrebbe considerazioni sbagliate su chi Dio ha amato e su chi ha odiato».

Che ruolo ha avuto la fede nella sua vita e nella sua carriera di scrittrice?

«Sono religiosa. Amo le tradizioni del pensiero cristiano, sono una studiosa di Calvino. Non ho mai scritto nulla senza il desiderio di esplorare ciò che per me è degno di interesse. Trovo impossibile escludere la religione dalle mie opere».

La storia d’amore tra Della e Jack è funestata dal razzismo, uno dei peccati originali dell’America. Che cosa voleva esplorare narrando il rapporto tra un uomo bianco e una donna nera?

«Considero la schiavitù il peccato originale dell’Europa. Il Nuovo Mondo è stato sfruttato dalle nazioni europee, che hanno introdotto un’economia basata sul lavoro forzato, di cui hanno fatto le spese le popolazioni native, gli schiavi provenienti dall’Africa, i detenuti e gli indigenti. È stato un grande contagio di sofferenza, un’eredità pesante con cui le ex colonie ancora si misurano. Il razzismo è la causa delle nostre divisioni e del carico di paure che si sono insinuate nelle nostre coscienze, paure così profonde che le riconosciamo soltanto gradualmente. Jack non è vittima di queste ansie e di questi antagonismi istituzionalizzati. È il lato positivo del suo carattere asociale. Per lui una donna affascinante rimane prima di tutto una donna affascinante».

Con i suoi romanzi ha offerto anche un preciso ritratto del Midwest degli Stati Uniti. Che volto ha la sua America?

«Sono andata a vivere in Iowa perché mi hanno invitato a insegnare all’Iowa Writers’ Workshop, un programma leggendario tra gli scrittori americani. Durante gli anni dell’insegnamento ho approfondito con passione la storia di questa regione e ho imparato ad amare il suo paesaggio. Narrare il Midwest nei miei libri è la conseguenza di questa nuova consapevolezza, soprattutto degli sforzi di questa regione nella battaglia contro la schiavitù (il presidente Ulysses S. Grant chiamò l’Iowa la “stella splendente” dell’abolizionismo, ndr). Per me l’obiettivo rimane sempre uno: offrire un mondo credibile agli occhi del lettore».

Jack e Della condividono la passione per la poesia: qual è oggi il suo ruolo, in tempi in cui cerchiamo un conforto?

«La poesia è sempre preziosa. Dante, Shakespeare, Milton, Whitman hanno scritto in tempi difficili e turbolenti, così come il profeta Isaia e l’evangelista Giovanni. Forse questo utilizzo alto della lingua, la cosa più umana di tutte, insieme al fatto che ascoltandola condividiamo un’esperienza umana unica, ci ricorda che dobbiamo amare il mondo. Ma a rifletterci meglio, ogni tempo è stato difficile».

È cambiata la sua idea di letteratura da «Le cure domestiche» a «Jack»?

«Non ho mai avuto una concezione troppo rigida della letteratura. Per me è un modo per esplorare la memoria, la percezione, le idee... Per me la letteratura ha la forma dell’esplorazione».

Chi sono i grandi scrittori della sua vita?

«Emerson, Melville, Dickinson, Thoreau, Wallace Stevens, William Faulkner».

Ha una routine di scrittura?

«Quando scrivo, posso continuare per ore. Quando non scrivo, leggo».

A quale ricordo della sua carriera è più affezionata?

«Ricordo la prima volta che ho sentito la voce del reverendo John Ames dentro di me. Ricordo migliaia di momenti al lavoro mentre scrivo i miei libri. Il ricordo che si staglia su tutti è quando ho ricevuto la National Humanities Medal dal meraviglioso presidente Obama».

«Jack» sarà l’ultimo romanzo della serie iniziata con «Gilead»?

«Ancora non lo so».

Al centro delle sue opere ci sono delicati e complessi rapporti famigliari. Da dove trae origine questa ispirazione? Quali memorie personali affollano i suoi libri?

«Per rispondere a questa domanda servirebbe un libro».