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 2021  settembre 25 Sabato calendario

Quella volta che una formica ebbe la meglio sugli Usa


Eravamo rimasti che «anche le formiche, nel loro piccolo...». E invece qui si apprende che non hanno solo l’incazzatura facile, ma sono guerrafondaie, monarchiche assolute, schiaviste, poco rispettose dei morti e pronte a sacrificare anziani e fragili. Nessuna calunnia, tutto documentato da quasi cent’anni di studi da parte di Edward O. Wilson, biologo emerito di Harvard, due volte premio Pulitzer per la saggistica e, ça va sans dire, insigne mirmecologo, ovvero studioso di formiche.Chi ama questo tipo di letteratura scientifica conosce già alcuni dei suoi libri più famosi, per chi invece casca nel formicaio per la prima volta questo è il testo giusto per incominciare. Come da titolo sono Storie dal mondo delle formiche, ogni capitolo il racconto di un’avventura con le sue «piccole amiche» come le chiama in un punto. Ma sia chiaro, non tutti i mirmecologi nutrono la stessa tenerezza. «Le ho trovate quelle bastarde!» urla un suo esimio collega neozelandese, finita una spedizione difficile (lo racconta in un altro passo).Infatti ad accomunare 26 capitoli per circa 200 agili pagine è proprio la continua «ricerca» che caratterizza la vita dei naturalisti in generale e di Wilson in particolare, oggi ultranovantenne. E la totale commistione di «arte e vita», lavoro e passione, gioia e frustrazione, fa sì che il racconto sembri una conversazione amicale che il vecchio professore ci regala a bassa voce, dalla sedia a dondolo sulla veranda della sua casa in Alabama.Gli episodi – sulla vita delle formiche ma anche su quelle di chi le studia – sono tanti, e ciascuno resterà colpito da una cosa o dall’altra. Fra le storie più drammatiche, che dal piccolo mondo rasoterra degli insetti incrociano e sconvolgono anche quello alto degli uomini, c’è il «Vietnam dell’entomologia» come lo ha chiamato lo stesso Wilson. Siamo negli anni Cinquanta e la superpotenza Usa mieteva successi nello spazio e nella medicina, come avrebbe potuto non far lo stesso contro... una formica? Fece male i conti, perché il nome del nemico era Solenopsis invicta e – il latino non è un’opinione – questa «formica di fuoco» era nota come «invincibile» e invasiva. Non a caso stava divorando prati, piantagioni e pascoli di mezza America. Wilson ai tempi era ancora studente ma già con una certa fama di esperto di formiche. Così venne convocato da un ufficio governativo per studiare i movimenti di quei famigerati insetti e assieme ad altri colleghi sconsigliò alle autorità di usare «mezzi convenzionali», ovvero gli insetticidi, semplicemente perché sarebbe stato inutile. Ma il trionfalismo dell’industria chimica snobbò le perplessità dei giovani studiosi e il dipartimento dell’Agricoltura pianificò di spruzzare l’intero areale della formica per «spazzarla via in un colpo solo». Non andò così. La formica non fu debellata mentre altri organismi – mammiferi, uccelli, altri insetti – furono duramente colpiti, e corsero rischi pure gli uomini che vivevano nelle zone trattate perché quelle sostanze erano veleno per il fegato e il cervello.Quel che Wilson & C. volevano far capire ai loro sordi interlocutori era che se dopo aver impregnato il terreno di pesticidi fosse sopravvissuta anche solo una colonia di Solenopsis invicta, «questa si sarebbe comportata come qualunque colonia avveduta nella stessa situazione»: ovvero produrre centinaia di regine alate, ognuna in grado di volare per chilometri e dar vita a una nuova nidiata. Cosa che la formica «avvedutamente» fece condannando la strategia Usa a un fallimento totale e in parte letale, da cui la definizione di «Vietnam».Però in qualche modo la cosa portò anche del buono, perché proprio in quegli anni la biologa Rachel Carson stava raccogliendo materiale sull’uso dei pesticidi e la vicenda della formica di fuoco la impressionò. Pochi anni dopo pubblicò Silent spring (Primavera silenziosa), libro di straordinario successo che sconvolse l’opinione pubblica e rese la sua autrice una delle fondatrici del movimento ambientalista americano e mondiale.Oltre le storie che riguardano direttamente le formiche – e ce ne sono tante – sorprendono quelle dei mirmecologi che a loro hanno dedicato la vita, a volte rischiandola. Tipo William Brown che per inseguire una formica rossa a Mauritius quasi fu folgorato da un fulmine e poi rimase appeso a un arbusto in un burrone. Quanto alle formiche, ovviamente le cose curiose su di loro sono un sacco. Il fatto per esempio che abbiano un linguaggio, il Formic; che vivano in metropoli complesse paragonabili a New York; che – in tempi di sbornia post olimpica può interessare – ci siano maratonete e velociste. Quanto alle specie più interessanti, vale la pena di conoscere le qualità della Matabele, che vediamo in tutta la sua bellicosità sul controfrontespizio del libro e che prende il nome da una tribù guerriera dello Zimbabwe. Con lei Wilson ha avuto un corpo a corpo e «sulla scala del dolore» ha collocato la sensazione della sua puntura a quella di un calabrone, «anzi di due o tre calabroni insieme».Infine, ancora due cose sull’autore, la «formica» più interessante di tutte. Si scopre che anche lui ha i suoi must come un influencer qualsiasi, e fra questi c’e la Dupont n° 5 che è la sua pinzetta preferita; e poi che se gli chiedeste in che epoca e luogo vorrebbe rinascere se potesse, non vi direbbe nel Rinascimento o nella Francia del re Sole, ma nell’era in cui potrebbe incontrare la formica primordiale. Quella preistorica che forse era simile alla vespa e, mentre i dinosauri son scomparsi, lei si è evoluta e vive e lotta insieme – e a volte contro – di noi. —