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 2021  settembre 25 Sabato calendario

Un’altra intervista a Jonathan Franzen

Il nuovo, attesissimo romanzo di Jonathan Franzen, intitolato Crossroads (Crocevia), è in uscita in Italia per Einaudi con un’ottima traduzione di Silvia Pareschi, ed è stato definito «un capolavoro» da Booklist, «magistrale e irresistibile» da Publishers Weekly, mentre Book Forum ha chiosato: «se Le Correzioni era già un capolavoro, questo è il suo libro migliore».
Giunto al quinto romanzo, Franzen ha annunciato che Crossroads, ambientato nei sobborghi di Chicago nel 1971, è il primo volume di una trilogia intitolata A Key to all Mythologies, dedicata alla famiglia Hildebrandt, guidata da Russ, reverendo protestante, sposato infelicemente con una donna di nome Marion. Il religioso è infatuato di Frances, una sua parrocchiana, il primo figlio Clem vuole andare volontario in Vietnam e la figlia Becky viene messa incinta da uno sbandato ed entra a far parte della comunità religiosa Crossroads, di cui fa parte anche il terzo figlio Perry, che abusa di liquori e droghe.
Questo importante romanzo, struggente e a tratti ironico, si svolge tra il Natale e la Pasqua, e racconta gli aneliti di personaggi che cercano qualcosa che cambi le loro esistenze, ma giunti allo snodo fondamentale delle rispettive vite devono fare i conti con i propri limiti e le proprie fragilità.
L’ambientazione è ancora una volta il Midwest dal quale proviene lo scrittore, e il tono è segnato da un misto di ironia e angoscia nei confronti di un mondo che conosce alla perfezione, e nei confronti del quale prova un profondo senso di empatia, se non di pietà. È interessante notare che A Keys to all Mythologies è il titolo del libro di Edward Casaubon in Middlemarch di George Eliot. «È una scelta ironica» spiega Franzen, di passaggio sulla East Coast, «perché Casaubon non termina mai il suo libro. Ma, più seriamente, si riferisce alla cornice nella quale è inquadrata la trilogia».
Nel romanzo colpisce l’ambientazione religiosa: lei è credente?
«Nonsono un ateoaggressivo, e la Bibbiaè unlibroper memolto importante.Sonoun fandei Vangelie anche dellaprima parte degli Atti degli apostoli».
Perché solo la prima parte?
«Paoloera ungrande organizzatore, ma pensoche si sia allontanatoda ciò che era radicale nel ministero originale e da cosa significasse in origine essere cristiano».
In “Discomfort Zone” lei parla di una comunità religiosa della sua gioventù, chiamata Fellowship: nasce da lì quella che dà il titolo a Crossroads?
«Vorrei poterlo negare, ma è così: nesonostatomembroper sei anni, facendo i ritiri e i campeggi estivi. Andavo a messa e alla scuoladomenicale. Nonostante fossi intellettualmente distante, è stata un’esperienza formativa, specie sul piano della politica. Lì ho conosciuto per laprima volta il femminismo e la giustizia sociale».
Russ proviene da una famiglia mennonita.
«Ho aperto il frigorifero cinque volteprimadi questo romanzo.
C’eraunarrosto, LeCorrezioni, poi unpollo, Freedom, equindiun pesce, Purity. Oraho cercato di preparareun pastoconquello che era rimasto, iniziando con piccole cose: ho incontrato unpaio di volteunapersonache miè piaciutaimmediatamenteeho scopertoche eraun mennonita.
Nonavevouna grande considerazioneper quello che hannofatto all’ambiente in New MexicoeinSudAmerica,ma poi sonorimasto colpito quandoho capito che l’essenza degli Anabattisti è un’incarnazione sempliceedestremamente letterale del Vangelo».
Da dove nasce Marion? Ha un passato di droghe e un aborto.
«Èl’ultimo personaggio che ho sviluppato: avevo l’idea di una donnamolto devotaal maritoe senzauna grande vita interiore.
Sapevo chesuo figlio Perry aveva problemi mentalie dovevo capire dadove venissero. È un personaggio di fantasia, ma qualcosaproviene daunaragazza cattolica da cui ero attratto in gioventù, epoi daun’altra che ho frequentato anni dopo, anche lei cattolica e mentalmente fragile: se Marion fosse andata al college sarebbestata quel tipo di donna.
Io ero interessato al cattolicesimo, andavoin chiesa con lei e c’è stato unmomentoincuihocercato nella religione una risposta al mio profondo disagio. All’epoca il mio matrimonio si stava sfasciando, miopadrestava morendo,il mio secondoromanzo erastato un fiasco,e non avevo un dollaro in tasca. Mi sono ispirato a Dostoevskij e FlanneryO’Connor, i quali hanno realizzato grande arte religiosa, dicendomi “se sono riusciti a creare arte attraverso la loro fede religiosa, forse c’è qualcosaancheperme”.Nonha funzionatoma qualchetraccia è rimasta».
Cosa ha attirato un uomo come Russ?
«Russè moltoinnocente,edè un giovanemennonita alla ricerca di una nuova fede,e trovaquesta donnacattolica giovane, intensa e bella:comepuò noninnamorarsi? Maleinonèinnocente.Non può ritornarenella sua comunità e ha bisogno di qualcuno che la aiuti a capire dove andare.Tra i due è lei la persona forte e intelligente, e ha unrapporto più direttocon Dio.
Infine credo che Russ viva la propriaadolescenza in ritardo».
Si definisce “un clown fatuo, obsoleto e repellente”.
«Lo fadopo aver preso delladroga per la prima volta, e in occasioni comequellespessosiamo duri connoi stessi.Per me Russnonè unclown,malovedocomeun personaggiocomico. Seun reverendodi 47anniimpazzisce perunasuaparrocchiana è meglio che sia ridicolo altrimenti diventaun personaggiodi Updike».
Per lei sarebbe un complimento?
«Veramenteno,abbiamoun approccio diverso.
Mi considero uno scrittore comico,e se haiun protagonista di 47 anni bianco, specie nella situazione politica odierna, è bene non prenderlo troppo sul serio.
Deve essere quasi ridicolo, e lui ne ècosciente, ma non riesce a togliersi dalla mente Frances».
A me sembra tragico, più che comico.
«Cisono elementi tragici, ma comehoscritto in unmio saggio, nelmomento in cui ho iniziatoa trovaremestesso comicoho iniziato a perdonarmi.
Russ è unpatriarca, e in genere non sono personaggisimpatetici: dovevo amarlo, però, e l’unico modo erarenderlo ridicolo. Solo dopoaver stabilito questo potevo prenderloseriamente».
Leggendo il libro si ricava l’impressione che sia impossibile liberarsi dalla religione.
«Dipendeda cosaintendeper religione: credo che untermine più costruttivo sia mitologia, religione implica generalmente qualcosadi organizzato. Come hanno detto gli esistenzialisti, viviamoin una posizione assurda, conun’eternità prima di noi e un’eternità dopo, in un universo inconcepibilmente vastonel qualesiamo del tutto insignificanti. L’ego è assolutamentenulla. Eppure dobbiamovivere, e cercare un sensonel mondo,perché inostri cervelli ci chiedono storie che diano senso alle cose.
Puoi scegliere una religione o qualcos’altro, ma l’ateismo puòessere unaltro tipo di religione, specie nelle mani degli aggressivi atei inglesi, la cui posizioneinfondononèmeno assurdae meno costruita di quella dei mistici. Anche la giustizia sociale che, abbandonatala religione,alcuni adottanocome principio morale, è una storia che ci raccontiamo: puoi crederci appassionatamente, esprimere argomenti filosofici odi parteper promuoverla, ma alla fine è solo qualcosa in cui credi o non credi.
Quellosu cui fondiamo le nostre vitenon può essere dimostrato, ma solo affermato, e sviluppato in qualcosache ha la struttura del mito».