la Repubblica, 25 settembre 2021
Infischiarsene dei social
Capita che intellettuali e politici ammettano di non avere detto quello che pensavano, su un determinato argomento, perché avevano paura della reazione dei social. Ultimo caso notevole quello di Maud Maron, candidata dem a New York, che ha detto di avere rinunciato a prendere posizione in favore della scrittrice J.K. Rowling, massacrata dagli ultras della cultura gender per avere sostenuto che il sesso non è solo un portato culturale, è anche un dato di fatto biologico. Maron aveva paura, difendendo la Rowling, di essere accusata di transfobia, se non di fascismo.
Senza entrare nel dettaglio, oso enunciare un principio generale. Intellettuali, scrittori e in misura meno urgente e meno assoluta anche i politici, sbagliano gravemente, e a proprio danno, a concedere ai social un potere così rilevante. Se proprio non riescono a starne fuori (soluzione ideale), dovrebbero almeno relativizzare, e di molto, la force de frappe di singoli straparlanti e dei manipoli organizzati.
In una parola: infischiarsene.
Non per snobismo o arroganza. Per libertà di spirito, perché non si parla e non si scrive per piacere (o dispiacere) agli altri. Si parla e si scrive per dare faticosamente forma alla propria esperienza e alle proprie idee. La scrittura è un esercizio individuale e troppi, con l’avvento dei social, scrivono avvertendo alle proprie spalle lo sguardo della folla che giudica ogni parola. È autocensura, mortificazione del proprio punto di vista, perfino viltà: già altre forme di pressione e di influenza gravano sull’intellettuale (la committenza, la convenienza politica, le ambizioni accademiche) perché se ne possa aggiungere un’altra, così intimidatoria, così sbrigativa, così sommaria. Il futuro del pensiero è social free.