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 2021  settembre 25 Sabato calendario

Intervista a Umberto Mancino

Nicola Mancino, cosa ha provato quando ha saputo dell’esito della sentenza Stato-mafia?
«Ho pensato che il verdetto cancellava d’un colpo ciò che la Procura di Palermo aveva costruito in dieci anni di indagini. È crollato un intero castello d’accusa».
Se l’aspettava?
«Sì e no, però trovo che abbia ragione il maestro Giovanni Fiandaca: i suoi allievi pubblici ministeri hanno preso una cantonata».
Il professor Fiandaca sostiene anche che l’aula di giustizia è troppo piccola per una vicenda così grande.
«Concordo, anche se l’aula di appello io non l’ho mai vista, perché in primo grado, il 18 aprile 2018, venni assolto con formula piena».
Lei incontrò Paolo Borsellino il giorno del suo insediamento al Viminale come ministro dell’Interno, nel giugno del 1992?
«Venne con il procuratore Aliquò, così sostenne quest’ultimo al processo. Ma ci fu tra noi un saluto, nulla di più».
L’ipotesi accusatoria è che in quell’incontro si accennò alla trattativa.
«Impossibile. Fu un colloquio di circostanza. Del resto le pare possibile che io, proprio nel giorno del mio insediamento, come prima mossa abbia convocato Paolo Borsellino che fino a quel momento non avevo mai conosciuto?».
Il pm Nino Di Matteo in aula l’accusò di omertà istituzionale.
«L’ho sempre ritenuto un giudizio ingeneroso. Di Matteo fu molto duro nei miei confronti, dopodiché non fece ricorso in appello in seguito alla mia assoluzione».
Le pare una contraddizione?
«Non c’è dubbio. Ma prese senz’altro la decisione più giusta».
Nelle motivazioni i giudici sostengono che lei tentò di sottrarsi al confronto con l’allora ministro Claudio Martelli, che sosteneva di averle espresso dubbi sul comportamento dei Ros in quell’estate del 1992.
«Martelli non è stato leale con me.
Il confronto poi ci fu, e in quell’occasione ho contestato la sua tesi. Ribadisco qui di non avere mai saputo dei sospetti sui Ros nella presunta trattativa con la mafia».
Antonino Ingroia parla di sentenza double face: “La trattativa ci fu, ma i Ros agirono a fin di bene”. Cosa ne pensa?
«Penso che la trattativa non ci fu.
Mi rifiuto di credere, da un punto di vista culturale e politico, che lo Stato potesse cedere alla mafia. Ciò premesso, prima di esprimere dei giudizi bisognerebbe sempre leggere le motivazioni».
Il processo non si doveva fare?
«No, non andava celebrato. Voglio anche precisare che la trattativa non ha mai riguardato la mia persona. Ho sempre fatto il mio dovere io».
Cosa rivelano le tante polemiche sulla trattativa Stato -mafia?
«Che bisogna aspettare le sentenze. Anche il segretario del Pd ha espresso sorpresa per il rovesciamento del verdetto di primo grado. Ma nel nostro Paese, fino a prova contraria, ci sono tre gradi di giudizio».
Cosa ha rappresentato umanamente per lei l’esperienza da imputato?
«Sono stato vittima di un teorema che doveva mortificare lo Stato e un suo uomo. Sono stato volutamente additato ad emblema di una trattativa inesistente, relegato perciò per anni in un angolo. Non mi invitavano più neanche al Senato».
Ma poi le sue ragioni sono state riconosciute.
«Sì, alla fine mi è stata resa giustizia. Ma che sofferenza!»
Cosa accadde esattamente nell’estate del 1992?
«Lo Stato venne colto di sorpresa.
Col senno di poi dobbiamo ammettere che non era preparato.
Dobbiamo aggiungere che da allora la lotta alla mafia è stata efficace».
Resta il fatto che lo Stato non seppe proteggere le vite di Falcone e Borsellino. Come lo spiega?
«Sì, ma erano eventi non prevedibili».
La classe dirigente della Prima Repubblica fece abbastanza contro la mafia?
«Per me sì. In quella stagione inoltre c’erano già al governo uomini come Carlo Azeglio Ciampi e Giovanni Conso, che rappresentavano delle garanzie di democrazia».
Ha mai pensato di fare causa allo Stato?
«Qualche tentazione l’ho avuta. Poi ho pensato che sarebbe stato come fare causa contro me stesso, perché ero e sono un uomo dello Stato. E in fin dei conti per me era più che sufficiente l’assoluzione piena maturata in tribunale».
Firmerà i referendum sulla giustizia?
«No, non lo farò».
Perché?
«Ritengo che una materia così complessa come la giustizia, che pure ha bisogno di riforme, debba essere affrontata in Parlamento».
Tra pochi giorni compirà 90 anni. Come li festeggerà?
«In modo semplice, in famiglia.
Sono felice di tagliare questo traguardo».
È soddisfatto di quel che ha raggiunto nella vita?
«Perché mai non dovrei esserlo?»