La Stampa, 25 settembre 2021
Dopo la gogna per i ladri i Talebani reintroducono anche amputazioni, decapitazioni, lapidazioni
L’immagine da incubo è quella dello stadio di Kabul. Gli spettatori ammassati, protesi verso il campo. Le donne coperte dal burqa, bendate. E poi la mano che scaglia la prima pietra. Quella di un famigliare, di solito, padre, fratello, marito. E poi le altre pietre, la morte. Non ci siamo ancora, a vent’anni dalla caduta del regno del terrore del mullah Omar. E a sei settimane dal ritorno trionfale dei taleban nella capitale afghana. Un mese e mezzo però è bastato a mandare in frantumi tante promesse. Il nuovo volto dell’Emirato islamico assomiglia sempre più a quello vecchio e questa volta si parla di reintroduzione delle pene corporali, in linea con la sharia, la legge che governa l’Afghanistan degli studenti coranici. Ad annunciare il ritorno delle amputazioni, decapitazioni, lapidazioni è stato Nooruddin Turabi. Non un mullah qualsiasi, ma uno dei loro giuristi più ascoltati. Lo ha detto all’agenzia americana Associated Press e ha respinto ogni critica. «Tutti ci criticavano allora – ha ribattuto -. Ma noi non abbiamo mai criticato le leggi e le pene in vigore negli altri Paesi E ci attendiamo lo stesso». Per Turabi le esecuzioni allo stadio fanno parte dell’islam e «noi basiamo le nostri leggi sul Corano, allora come adesso». Su questo, va detto, non ci sono mai state ambiguità. La sharia sarà la legge. Il problema è quale sharia. Quella taleban si basa anche su tradizioni ancestrali della cultura pashtun ed è una interpretazione estrema, che ha unito conservatorismo locale, la tradizione wahhabita del Golfo e gli insegnamenti del teorico indo-pachistano dello jihadismo, Abu Alaa Maududi, l’ispiratore massimo dei taleban. Ne è venuta fuori una visione medievale e inflessibile. L’aspetto tribale è soprattutto nel coinvolgimento delle famiglie delle vittime. A loro spetta l’ultima parola, specie nelle condanne a morte. E hanno il diritto, a volte il dovere, di portare a termine l’esecuzione. In caso di adulterio, o crimini simili, sono invece i famigliari del colpevole a farsi carico dell’applicazione della pena.
Adesso sarà il governo, appena completato con l’inserimento di alcuni rappresentanti delle minoranze tagika, uzbeka e hazara su pressione del Qatar, a decidere se e come reintrodurre le pene corporali. Fatto sta che il cammino ritroso procede persino più spedito della fulminea marcia su Kabul di luglio e agosto. Il governo “inclusivo” è composto soltanto da taleban e alleati, e in gran parte da pashtun. Il clan degli Haqqani, con i leader Serajuddin e Khalil ricercati dall’Onu e dall’Fbi, è dominante. Le donne, nonostante le promesse, sono state espulse dai posti di lavoro privati, dalle municipali della capitale. Non possono più praticare lo sport e atlete e allenatrici sono in fuga, in esilio. All’università sono comparse le classi separate. Alle secondarie è andata peggio. Non hanno più riaperto per alunne, in attesa che vengano realizzate scuole femminili.
Un’impresa impossibile in un Paese sull’orlo della bancarotta finanziaria, con molti ospedali rimasti senza elettricità, mentre il governo non ha più i soldi in cassa neppure per pagare i dipendenti pubblici. Anas Haqqani, il volto presentabile del clan, per lo meno senza una taglia sulla sua testa, ha chiesto al presidente americano Joe Biden di sbloccare i fondi bloccati negli Stati Uniti, nove miliardi di dollari. Ma anche avvertito che le pressioni economiche «non ci faranno cambiare strada». E la strada sembra averla tracciata il mullah Turabi, l’ultraconservatore, con la sua nostalgia delle esecuzioni allo stadio, mentre un altro big del regime, Mohammad Yaqoob, ha ammesso che sì, ci sono state vendette e uccisioni degli uomini delle forze di sicurezza del precedente governo, dopo che era stata annunciata un’amnistia generale.
Fatti che pesano, più delle immagini “distensive” che il loro media office, quello sì modernizzato, continua a diffondere, come i guerriglieri in gita in barca su un lago o sulle giostre. Fumo negli occhi