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 2021  settembre 25 Sabato calendario

Quei 4 milioni di sottopagati persi nel Far West dei contratti pirata


Da noi, in ossequio alla direttiva europea sul salario minimo, la soglia verrebbe fissata a 9 euro l’ora, un valore compreso tra il 60% del salario mediano ed il 50% del salario medio, ovvero tra 7,65 e 10,59 euro. Sotto i 9 euro, secondo i dati più recenti elaborati dall’Inps, in Italia c’è quasi un lavoratore dipendente su tre, ovvero 4 milioni 578 mila persone (29,7%) su 15,4 milioni. Ma se si tiene conto anche della tredicesima, il totale scende a 2 milioni e 840 mila (18,4%): 2 milioni e 86 mila dipendenti privati (14,8% del totale), 262 mila lavoratori agricoli (24,9%) e ben 552 mila lavoratori domestici, ovvero l’80% del totale di questa categoria. Di questi, 1,37 milioni vivono al Nord (16% degli occupati), 641 mila al Centro (20,2%), 825 mila al Sud e nelle Isole (22,5%).
I rapporti con retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi, secondo il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, si concentrano soprattutto tra gli apprendisti (59,5%) e gli operai (26,2%), nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (27,1%), del noleggio e agenzie di viaggio (34,3%), nelle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (29,2%) e nelle altre attività di servizi (61,6%), tra le donne (23,1%) e tra i giovani sotto i 29 anni (32,6%).
Il salario minimo, è l’opinione corrente, dovrebbe servire a garantire uno stipendio accettabile a quanti oggi non sono tutelati dai contratti azionali di categoria (che in italia coprono più dell’80% del totale degli occupati) ma dati alla mano non è così.
«In alcuni settori, infatti, i minimi salariali fissati nei cosiddetti contratti leader non sembrano adeguati, “sufficienti”, alla luce delle disposizioni costituzionali e degli indicatori internazionali» ha scritto Nunzia Catalfo nella presentazione del disegno di legge che i 5 Stelle hanno depositato ad aprile in Senato e che ora rilanciano. Per citare solo alcuni esempi, l’ex ministro del Lavoro segnalava il contratto collettivo nazionale di lavoro del turismo (dove il trattamento orario minimo è pari a 7,48 euro), quello delle cooperative nei servizi socio-assistenziali (7,18), il Ccnl dei pubblici esercizi e della ristorazione (7,28) e quello del tessile abbigliamento (7,09) fino ad arrivare ai 4 euro e 60 del comparto dei servizi fiduciari (vigilanza privata).
In molti casi la colpa di salari tanto bassi, che in certe situazioni spingono sotto la soglia di povertà chi li percepisce, è dei contratti «pirata» (che rappresentano un’ampia fetta degli oltre 900 accordi depositati al Cnel) il cui unico scopo è fare dumping salariale. Fenomeno che tutti dicono di voler contrastare, ma per lo più a parole. Tant’è che si parla sempre di una legge per misurare la rappresentanza sindacale ma poi non se ne fa nulla.
Con un salario minimo legale di 9 euro lordi all’ora l’Italia si piazzerebbe a metà della classifica europea (in tutto sono 22 paesi su 26 che hanno adottato il salario minimo), con il Lussemburgo che svetta con 12,38 euro l’ora e la Bulgaria all’ultimo posto con 1,87. Francia, Olanda e Irlanda sono appena sopra quota 10, Belgio e Germania poco sotto (ma i tedeschi vogliono portala a breve quota 12). Si va quindi da un minimo di 332 euro ad un massimo di 2.200/mese.
Secondo Confindustria, lo ha ribadito l’altro giorno il presidente Bonomi, in un paese ad alta sindacalizzazione come il nostro il salario minino non serve. Ma è indubbio che il mondo delle imprese, in larga parte, veda con preoccupazione interventi possono far aumentare in maniera considerevole il costo del lavoro. Secondo stime dell’Inapp, fatte però su una platea di 2,6 milioni di persone, portare a 9 euro la paga oraria lorda di circa 1,9 milioni di lavoratori a tempo pieno comporterebbe 5,2 miliardi di costi in più, che aggiunti al miliardo e mezzo che andrebbe versato in più ai 680.000 lavoratori part-time farebbe lievitare il totale a quota 6,7 miliardi. Ovviamente troppo per le imprese.
Ma molti esperti e i sindacati confederali segnalano invece il rischio opposto, ovvero che una volta fissati dei minimi orari per legge a molte imprese potrebbe convenire abbandonare i contratti nazionali di categoria per applicare i minimi di legge. Ovviamente per loro molto vantaggiosi. —