La Stampa, 25 settembre 2021
L’Italia è un legno sorto
Noto con sollievo l’improvviso diffondersi di una teoria che negli ultimi anni non ha goduto di ampia stima: la verità processuale non coincide con la verità storica, nemmeno se le procure hanno spesso dato l’impressione di mettere alla sbarra, anziché singoli imputati, interi partiti e repubbliche e epoche, progetto piuttosto esorbitante e vagamente eversivo. E però, come nel caso della Trattativa, se le sentenze arrivano a decenni dai fatti e dall’apertura delle indagini, la giustizia di per sé non è giustizia, ma qualcosa che assomiglia a un bignami. In questi giorni noi stiamo dibattendo di eventi che risalgono a trent’anni fa e ne dibattiamo perché una sentenza è arrivata ora, trent’anni dopo (e manca ancora la Cassazione). Nell’attesa abbiamo trasformato in verità storica nemmeno la verità processuale ma un’ipotesi, quella dell’accusa. Così per trent’anni abbiamo raccontato la storia del nostro paese come una storia criminale, e le nostre istituzioni come istituzioni criminali: un terrapiattismo politico su cui populisti, demagoghi e arlecchini vari hanno edificato le casematte da dove hanno lanciato rivoluzioni dell’onestà e psicotici governi del cambiamento. Invece l’Italia è un paese che, come tutti gli altri, ha in sé l’opaco e pure l’inconfessabile per la ovvia ragione che la casa di cristallo è una favoletta inadatta a reggere alla prova di uno streaming. La verità processuale non è la verità storica, e infatti non dovrebbe esserci bisogno di una sentenza per sapere che l’Italia è un legno storto, non un legno marcio. Se è andata in questo modo è perché il grillismo arrivò molto prima di Grillo.