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 2021  settembre 25 Sabato calendario

Intervista ad Alex Britti

Il successo arrivato quasi fuori tempo massimo, con Solo una volta (o tutta la vita) che entrò nella hit parade il giorno del suo 30esimo compleanno. Era estate e lui, totalmente sconosciuto fino a poche settimane prima, era appena rientrato in Italia dopo anni passati ad esibirsi nei club d’Europa suonando blues, la sua grande passione: in attesa della grande occasione, s’era messo a fare il chitarrista per Irene Grandi, già nel pieno del successo. I discografici che volevano fare di lui un tormentivendolo. Quel Sanremo da incorniciare, quello da dimenticare. La telefonata di Mina. Riavvolgendo il nastro della sua carriera trentennale, Alex Britti associa alle canzoni i ricordi e viceversa: «C’è una cosa che più di tutte mi fa male: essere considerato un cantante pop dice il 53enne musicista romano, che stasera suona alla Casa del Jazz con quartetto non rinnego quelle 700 mila copie vendute con Mi piaci e La vasca: ma c’è anche dell’altro, nella mia storia».
Lei la racconta nel libro Strade. Una vita con la chitarra in spalla (Sperling & Kupfer, 219 pp.), che esce il 28 settembre: è la solita autobiografia del musicista che superati i 50 anni si guarda indietro con nostalgia?
«No. È quasi un trattato che spiega cosa significa vivere con e per la musica. L’ho intitolato così perché chi fa la vita che ho fatto io, la strada la conosce bene. Parlo di vita on the road, mica di palazzine e periferia. Anche perché io sono nato a Monteverde Vecchio. La domenica andavo a suonare al Folkstudio di via Sacchi, proprio sotto casa. Avevo 13 anni».
Già faceva canzoni?
«Sì. Ci si presentava fuori dal locale e si aspettava il proprio turno. Per me era tutto un gioco».
Quando cominciò a non esserlo più?
«A 21 anni, quando me ne andai all’estero. A Roma suonavo tanto, ma non arrivavo a fine mese».
Non si faceva aiutare dai suoi genitori?
«No. Sono andato a vivere da solo appena compiuti i 18 anni. In famiglia c’era una situazione difficile».
Cioè?
«Avevo un papà impegnativo, mettiamola così. Cercavo di stare a casa il meno possibile. Mi facevo ospitare da fidanzate, amici. Il rapporto con lui non l’ho mai del tutto ricucito. Ci siamo riavvicinati solo quando si è ammalato ed è morto, nel 2014. Io avevo 46 anni. Mi avevano detto che non c’era più niente da fare e io, figlio unico, mi presi cura di lui».
Cosa le è rimasto di quel rapporto?
«Un insegnamento: non voglio che mio figlio (Edoardo, nato nel 2017 dall’unione con la compagna Nicole, ndr) provi lo stesso dolore che ho provato io».
All’estero come si manteneva?
«Suonavo ovunque. Per strada mai. Però ci dormivo, a volte, quando non avevo soldi per pagarmi l’albergo. Mi toglievo la cinta dei pantaloni e mi legavo alla valigia e alla custodia della chitarra: se avessero provato a rubare qualcosa, mi avrebbero trascinato via insieme ai bagagli».
È mai successo?
«All’estero no. In Italia sì, una volta. In treno, a Bologna. Mi svegliai, cominciai a tirare calci e pugni alla cieca. Scapparono».
La strada, a volte, può riservare anche qualche incidente. Le è mai successo?
«Sì. Per fortuna niente di così grave. Qualche rissa».
Parlavo di incidenti di percorso: depressione, crisi.
«Ah. Quello no. Anche perché non ho mai avuto grandi aspettative».
Quando capì che aveva finalmente svoltato?
«Quando le radio cominciarono a trasmettere a ripetizione Solo una volta o tutta la vita. Quell’estate io ero in tour con Irene Grandi. In macchina, tra una città e l’altra, cambiavamo stazione e la beccavamo ovunque. Vendette 100 mila copie, all’epoca i dischi si acquistavano davvero: alla fine smettemmo di stampare il singolo perché rischiava di oscurare l’album».
I discografici?
«Si sfregarono le mani. Mi chiesero di fare un’altra canzone come quella. Mi rifiutai: non volevo diventare un tormentivendolo. M’imposi e feci uscire Gelido. E a Sanremo, nel ’99, mi presentai con Oggi sono io, dalle sfumature r&b: vinsi tra i giovani».
Nel 2001 tornò al Festival, tra i big: non fu un successo. Cosa non funzionò?
«Sbagliai canzone. Sono contento oggi non la suono neppure dal vivo. In compenso, durante il Festival mi squillò il telefono. Ciao Alex, sono Massimiliano Pani, il figlio di Mina: mamma vorrebbe incidere una cover di Oggi sono io’. Per poco non svenni».
Non pubblica un album da quattro anni: ci ha rinunciato, oggi che non si vendono più?
«Sto cercando di capire come muovermi. Nell’ultimo periodo ho fatto uscire alcuni singoli e composto brani inediti che suono durante i concerti. Forse prima o poi mi deciderò a raccogliere tutto il materiale in un altro disco».