Il Messaggero, 25 settembre 2021
Lady Huawei può tornare in Cina
NEW YORK Segnali di distensione fra Washington e Pechino. Dopo tre anni di arresti domiciliari in Canada, su mandato di cattura statunitense, la reginetta del mondo corporate cinese Meng Wanzhou è tornata in libertà. La 49enne figlia di Ren Zhengfei, fondatore del gigante delle telecomunicazioni Huawei Technologies, ha ieri accettato di non contestare o criticare pubblicamente le accuse mossegli dagli americani, nonostante abbia ripetuto di essere innocente. Grazie all’impegno assunto ieri dalla signora in un tribunale di Brooklyn, nel quale è apparsa in collegamento video da Vancouver, il Dipartimento della Giustizia ha dichiarato decaduto il mandato di cattura e la richiesta di estradizione e il tribunale canadese ha subito deciso di revocare gli arresti domiciliari. Se Meng manterrà l’impegno assunto, le imputazioni verranno del tutto cancellate entro il dicembre 2022.
LE SANZIONI
La signora Meng, Cfo della Huawei, era stata arrestata all’aeroporto di Vancouver il primo dicembre del 2018, con l’accusa di aver frodato la banca Hsbc, nascondendo gli affari della sua azienda in Iran, in violazione delle sanzioni Usa. L’arresto era apparso a molti un passo troppo drastico da parte dell’Amministrazione Trump, ed esagerato rispetto al reale rischio per la sicurezza nazionale Usa. Per di più aveva trascinato nel mezzo della rovente contesa commerciale fra Washington e Pechino anche una recalcitrante Ottawa, che da allora ha dovuto subire il contrattacco cinese. Immediatamente dopo il fermo di Meng Wanzhou, le autorità cinesi hanno arrestato due cittadini canadesi, Michael Kovrig e Michael Spavor, un ex diplomatico e un uomo d’affari, accusando entrambi di spionaggio, nonostante non siano state presentate prove di questa loro attività. Se la signora Meng è stata trattenuta agli arresti domiciliari in una elegante villa da 14 milioni di dollari, i due sono rimasti segregati in una prigione cinese dove non possono vedere i propri familiari e anche gli avvocati li vedono solo su zoom una volta al mese. Tutti si aspettano ora che i canadesi vengano liberati. Lo scorso dicembre 2020, Meng Wanzhou aveva rifiutato un accordo in cui avrebbe dovuto dichiararsi colpevole. Ma da allora la presidenza Usa è cambiata, e se Joe Biden pare intenzionato a continuare a far muro contro l’espansionismo cinese, è chiaro che non intende seguire i metodi bellicosi di Trump. Quattro giorni fa nel discorso di apertura dell’Assemblea Generale dell’Onu il presidente ha ribadito la sua intenzione di seguire la via della «diplomazia incessante». E ai suoi toni più morbidi hanno fatto eco simili toni da parte del cinese Xi Jinping. Oggi qualcuno avanza l’ipotesi che i due leader avessero già dato il loro benestare all’accordo sulla reginetta di Huawei, e che sapessero che la diplomazia aveva già prodotto un passo avanti. Ed è possibile che sia così, dato che l’ambasciatore canadese in Cina, Dominic Barton, il trait-d’union fra Usa e Cina, era venuto a Washington lo scorso luglio e aveva consultato i massimi livelli al ministero della Giustizia, degli Esteri, e della Difesa.