la Repubblica, 24 settembre 2021
Un po’ di cose sulle cravatte
Immortale: un dettaglio che dovrebbe fare riflettere sulla sua presunta inutilità. La cravatta, spesso ridotta a ovvio simbolo fallico privo di vere funzioni, accessorio misteriosamente maschile considerato che noi maschi ci vantiamo sempre del nostro pragmatismo ma non si sa bene che ci facciamo con la cravatta se non interpretare il nostro ruolo virile, celebra la propria rivincita ogni volta che è data per morta, potremmo dire: un nodo irrisolto. «Assolutamente attuale», dice convinto Paolo Aquilini, curatore con Fulvio Alvisi della mostra La spina dorsale di un uomo. Storia della cravatta, una delle due collaterali di Mercanteinfiera, «Se non fosse stata ben viva non gli avremmo dedicato una mostra. E non solo: sta tornando di gran moda quella per signora, come negli anni Venti. Un accessorio unisex, quindi, perfetta per questo nuovo millennio».
L’immortalità della cravatta probabilmente dipende da una sua qualità estremamente contemporanea: la flessibilità con cui si adatta allo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Se il suo nome viene fatto risalire alle truppe croate (cravatta/croatta) della guerra dei Trent’anni o a quelle a seguito dell’imperatore Ferdinando II di Germania, la sua origine è più antica: è attestata già in una ballata del XIV secondo: Faite restraindre sa cravate, di Eustache Deschamps. Ma soprattutto il suo viaggio nel tempo è multiforme: per i croati era il semplice fazzoletto ricevuto dalle fidanzate rimaste a casa come pegno di fedeltà e annodato intorno al collo, nel Seicento è ancora sciarpa o fusciacca in cerca di identità, intanto conquista la corte del re Sole che istituisce anche la carica di cravattaio, dignitario incaricato di aiutare il sovrano a scegliere e annodare l’accessorio; si propaga in Inghilterra, e tra Sei e Settecento con Elisabetta Carlotta di Boemia diventa anche femminile, in pelliccia o seta; nel Settecento spesso diventa lo strumento per avvolgere i colletti, talvolta altissimi e che cingono le guance. Una continua metamorfosi che gli garantisce eterna giovinezza, e a proposito di giovinezza non si può ignorare il rito di passaggio del nodo della cravatta: smettere i pantaloni corti e indossare la cravatta significava diventare adulti, e un tempo i padri insegnavano ai figli l’arte dei nodi. Ma anche adesso che i giovani in genere non portano la cravatta, arriva prima o poi un momento in cui la vorranno o dovranno indossarla, e a quel punto dovranno cimentarsi con il nodo interrogando magari un tutorial su YouTube, una sfida di destrezza che da sempre eccita anche i matematici. Citiamo gli ultimi due casi: i ricercatori Thomas Fink e Yong Mao dell’università di Cambridge nel 1999 hanno identificato 85 modi per annodare la cravatta, ma di recente sono stati surclassati da Mikael Vejdemo-Johansson, matematico del Kth Royal Institute of Technology di Stoccolma, che cambiando alcuni parametri ne ha individuati 177.147.
Un mondo multiforme, quindi, quello della controversa cravatta, che viene ben rappresentato in mostra. «Oltre a modelli, schizzi e documenti, portiamo quaranta cravatte come il numero di edizioni di Mercanteinfiera che ci ospita», spiega Aquilini, che è direttore del Museo della Seta di Como, «dalla regimental a quella fantasia, a rappresentare il gusto contemporaneo. Ma ci sbizzarriamo anche con la storia: c’è un trattato dei primi dell’Ottocento, ci sono le cravatte impossibili, per esempio quella di plastica di Enrico Baj, che poi era un invito per la mostra del 1969 La cravatta di Jackson Pollock e altre plastiche», e che adesso viene venduta all’asta intorno ai 400 euro, «e le cravatte di legno, o le fustelle, che con la loro struttura metallica sembrano trappole per orsi, ma servivano solo per tagliare l’interno cravatta, elemento chiave per la costruzione dell’accessorio».
Una mostra, quindi, che unisce il divertimento all’esemplificazione e alla ricostruzione filologica, e che ha anche un secondo obiettivo: «Vogliamo sostenere la candidatura di Como a città creativa Unesco per il tessile. Abbiamo pensato che farlo con questa mostra a Parma, che è citta creativa Unesco per la gastronomia fosse l’occasione migliore. Potremmo anche pensare a un oggetto che unisce le due competenze: una cravatta di prosciutto crudo, con un tortellino di culatello come nodo».