la Repubblica, 24 settembre 2021
De Bosis, l’antifascista che volò sui cieli di Roma
Una storia che muove diversi scenari, tra la ricostruzione di vicende lontane e la costruzione di una sceneggiatura credibile, in grado di mescolare eventi e finzioni. Il romanzo di Giovanni Grasso ( Icaro, il volo su Roma, edito da Rizzoli) può essere scomposto in diversi piani di lettura. Il primo richiama la parabola biografica di un antifascista sui generis come Lauro De Bosis.
Una figura riscoperta e valorizzata nel suo processo di presa di distanze dal regime e nella sua memoria appoggiata sulle due sponde dell’Atlantico. Nell’università di Harvard il suo nome rimane legato a cicli di lezioni annuali o a prestigiose borse post dottorato per chi si misura sulla cultura, la storia, la letteratura italiana.
Il protagonista del libro è un intellettuale, conoscitore della realtà statunitense con una formazione composita: laurea in chimica dall’Università di Roma nel 1922 per poi dedicarsi alacremente a un’intensa produzione letteraria. Una vocazione che lo accompagna nella scrittura e nella traduzione dell’Edipo proposta nel 1923 alla stadio Palatino.
Un’attività poliedrica che scorre in filigrana nelle pagine del volume per poi fissare alcuni momenti chiave: prima del progressivo distacco dal regime vengono le profonde radici di stampo risorgimentale, l’approfondimento delle scienze economiche e sociali, il richiamo per la politica come scelta di partecipazione e di attenzione per le sorti dell’Italia fascista e dunque la confessione, in una lettera a Giovanni Prezzolini (1926), di coltivare «delle insane aspirazioni politiche».
L’anno successivo la traduzione dell’Antigone di Sofocle segna la rottura con le forme e le finalità del regime: la paura per le libertà minacciate da chi impone comportamenti e stili di vita.
Il secondo piano di lettura del romanzo si muove tra New York e Roma attorno a una storia d’amore, quella tra Lauro e un’attrice, Ruth Draper.
La loro relazione diventa una finestra sulla realtà dell’America alla fine degli anni venti del Novecento. Sono pagine ricche di richiami a un contesto che va ben al di là dei due innamorati e delle traiettorie che s’intrecciano: la lotta al fascismo come filo conduttore di scoperte e rivelazioni.
Dall’esilio di tanti ai legami con l’Italia, dalle spinte alla modernizzazione tecnologica alle nuove frontiere della musica e della cultura statunitense. New York come culla di contraddizioni irrisolte, i cambiamenti inarrestabili a fianco ai freni di un proibizionismo dai mille risvolti. Un crinale incerto che prende le sembianze della grande depressione senza tuttavia indebolire la curiosità intellettuale dei protagonisti verso il nuovo mondo.
Il volume tiene insieme la storia di un amore travolgente con le scelte di chi si muove in diversi angoli del mondo in cerca di risposte alle sfide di un tempo difficile. E così si arriva al terzo piano di una lettura che mette in risalto l’epilogo drammatico di un eroe che cerca nel volo le risposte alle proprie inquietudini.
Prima l’addestramento, i primi tentativi in solitaria fino alla scelta di quell’itinerario sopra i cieli di Roma in una sera d’autunno. Un gesto estremo per lanciare volantini contro il regime, per diffondere le proprie idee, per lasciare un segno a bordo di un piccolo monoplano, il 2 ottobre 1931.
Il volo di Icaro beffa le difese del regime prima d’inabissarsi nel mar Tirreno, probabilmente per scarsità di carburante.
I volantini scendono sulle teste dei romani, parole di speranza per il sostegno all’Alleanza nazionale fondata dal pilota intellettuale; vani auspici di responsabilità per il re affinché possa riprendersi il ruolo «di campione delle libertà». Tutto finisce nel mare «che custodisce nelle sue viscere, come un immenso sarcofago le spoglie di Lauro con il suo piccolo aereo. Il mare lo ha voluto per sé».
L’epilogo congiunge i segmenti di un mosaico: «Per Icaro era stato meno crudele: dopo la tragica caduta, le onde avevano restituito le sue spoglie.
E in tanti avevano potuto piangere, pregare e portare fiori sulla sua tomba. Lauro una tomba non ce l’ha. Il mare è la sua tomba.
Ruth tira fuori dalla borsa un mazzo di violette. Lo sfiora con le labbra e lo lancia in acqua, con forza, il più distante possibile. Rimane a guardarlo fluttuare, spinto al largo dalla corrente. Finché un dio pietoso che abita quel mare lo raccoglie, portandolo giù, con sé, negli abissi».