la Repubblica, 24 settembre 2021
Ayùb, il sarto che canta di nascoto
Sebbene conoscessi Ayùb da anni, la prima volta che gli parlai fu quando venne a chiedermi di aiutarlo a ottenere una audizione in TV. Era la fine del 2001, i talebani che avevano bandito musica e fotografie erano caduti, svariate emittenti stavano sorgendo. Sarto di professione, il suo sogno era recitare, spiegò, ma aveva ripiegato sul canto perché, così zoppo, mai avrebbe ottenuto una parte. «Sono molto bravo», dichiarò senza imbarazzo, cominciando a cantare nel bel mezzo del reparto di fisioterapia. Lui e i suoi amici, costretti per anni a suonare di nascosto, potevano ora tentare la fortuna. Non riuscii a fare molto per lui, ma ogni volta che tornava per riparare o cambiare il tutore mi informavo sulle novità. Si esibivano regolarmente in feste e matrimoni, non il massimo, ma era contento. Si era specializzato nel repertorio completo di Ahmad Zaher, l’eroe musicale che negli anni ’60 aveva fatto innamorare l’intero Paese.
Ucciso dai comunisti nel 1978, la sua fama dura ancora oggi, con un mare di canzoni, compreso O sole mio in lingua Dari. «Quando canto mi sollevo da terra», diceva sognante, «e con gli applausi salgo in cielo».
Mi invitò a una festa in cui si esibiva. Non ci andai per non so quale ragione. Credo si offese, ma mi portò la registrazione. Quando, per complimentarmi, gli dissi che la sua voce ricordava quella di Awal Mir, un vecchio e famoso cantante dal timbro struggente e appassionato, il suo sguardo mi fece sentire un nostalgico superato dai tempi. Per farmi perdonare gli regalai un CD di Toto Cutugno, suo idolo. Ora tutto è cambiato. La musica è vietata nuovamente, la trasmettono solo radio e televisioni con sede all’estero. La gente riesce a sentirla con telefono o computer, ma concerti e esibizioni sono finiti. Non riesco ad immaginare un matrimonio afghano senza musica a bombarda. Che noia. C’era una scuola di musica classica, l’hanno chiusa. Gli ustàd, i musicisti tradizionali, devono tenere nascosti i loro bellissimi strumenti. È l’ennesimo incomprensibile divieto. Perché uccidere arte e gioia? E quanto rimpiango il concerto di Ayùb, perché l’ho mancato? Ma sono tanti a non darsi per vinti. L’Afghanistan è l’unico Paese al mondo senza musica. Non può durare. A bassa voce Ayùb rivela che il suo gruppo continua di nascosto. «Per sentirci vivi». Giuro che alla prima esibizione sarò in prima fila.
Intanto l’unica musica che si sente per le strade di Kabul è il ritornello “happy birthday to you” suonato dall’altoparlante gracchiante dei gelatai ambulanti che chiamano i clienti.
Per il momento almeno.