la Repubblica, 24 settembre 2021
I 5 neoeletti che hanno abbandonato Salvini
ROMA — La Lega delle porte girevoli ha una solida, e non confortante, certezza: con l’eurodeputata Francesca Donato sono già cinque i parlamentari di Bruxelles che hanno lasciato il partito di via Bellerio in questa legislatura. E tutti e cinque erano stati eletti nel Centrosud. Tutti, insomma, facevano parte della nouvelle vague salviniana che, dal 2014 in poi, ha dato corpo alla strategia del segretario di sfondamento sotto la linea del Po.A uno a uno, i volti della trasfor-mazione in partito nazionale si sono eclissati. Una fuga che si è verificata nel breve giro di undici mesi: il primo ad andare via, nell’ottobre del 2020, il pugliese Andrea Caroppo, che proveniva dall’Ncd, il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, primo dei ministri dell’Interno cannoneggiati da Salvini. Quindi, in primavera, era toccato a Vincenzo Sofo, neo-sposo di Marion Le Pen di origini calabresi, peraltro un teorico della “nazionalizzazione” della Lega, che è passato a Fratelli d’Italia nel momento in cui il Carroccio è entrato a Palazzo Chigi.A giugno l’addio di Lucia Vuolo, nata a Pagani, che ha poi aderito a Forza Italia come il medico Luisa Regimenti, romana di genitori abruzzesi che nel Lazio era stata la più votata con 35 mila consensi. Quindi l’ultima uscita col botto, quella della No Vax Francesca Donato, palermitana d’adozione, che ha sbattuto la porta sostenendo che nella Lega ormai prevale la linea filo-draghiana di Giancarlo Giorgetti.Ora, al di là delle diverse motivazioni alla base delle scelte, questo smottamento (che ha tolto alla Lega il titolo di partito più rappresentato nell’emiciclo di Strasburgo) ha sollevato nuovamente, all’interno del partito, gli interrogativi sulla strategia di reclutamento del nuovo personale politico. Dando forza, nelle frenetiche conversazioni sottotraccia che animano questa fase della vita leghista, al malcontento di esponenti del potente asse nordista.Insomma, si rafforzano i dubbi che già avevano circondato il caso- Durigon, l’ex sottosegretario che voleva intitolare il parco Falcone Borsellino di Latina al fratello del Duce Arnaldo Mussolini e che è stato costretto a dimettersi fra le polemiche: «Ma noi con incallite No Vax e nostalgici del fascismo – si chiede un autorevole esponente della cosiddetta ala istituzionale della Lega – cosa c’entriamo? Esiste, da tempo, un problema di selezione della classe dirigente dentro il partito. E di conseguenza di Dna».C’è materiale per rendere più corposo il chiarimento post-amministrative che Salvini sicuramente promuoverà. Nessuno, da Giorgetti ai governatori del Nord, assicura di voler attentare alla leadership del senatore milanese. Ma la sensazione diffusa è che la conquista del Meridione, da parte dell’ultimo guerriero di Legnano, sia a un punto morto. Il nuovo assalto doveva passare da Napoli, uno dei centri più grandi interessati dalle elezioni, ma la lista della Lega è stata esclusa dalle consultazioni.Grandi speranze sono riposte nella Calabria, dove Salvini concorrerà per far eleggere un governatore non leghista (Roberto Occhiuto di Forza Italia), e dove dovrà cancellare il ricordo di recenti traumi. Fra i quali la frattura di Crotone, che ha visto andar via uno dei fondatori locali della Lega, l’ultracattolico Giancarlo Cerrelli, l’ex coordinatore cittadino Salvatore Caetano e l’unica consigliera Marisa Cavallo.In Sicilia la massiccia campagna acquisti – su tutti il senatore Francesco Scoma e l’ex capogruppo dell’ex capogruppo del Pd e di Iv Luca Sammartino (sotto processo per corruzione elettorale) – non ha mancato di suscitare reazioni: hanno lasciato il responsabile del dipartimento sicurezza, il vicequestore Marcello Rodano, e diversi consiglieri comunali del Catanese, mentre è autosospeso da tempo quasi l’intero gruppo dirigente della provincia di Trapani.I problemi, per Salvini, non mancano neppure nel Lazio: ad Aprilia, nel feudo di Durigon, si sono dimessi i consiglieri comunali Roberto Boi e Francesca Renzi. Mentre saluta nuove adesioni in Lombardia, il segretario è costretto insomma a guardare con preoccupazione a Sud, verso un granaio elettorale puntato ma mai raggiunto. E oggi sempre più minacciato da Fratelli d’Italia.