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 2021  settembre 24 Venerdì calendario

Il discorso del premier a Confindustria

All’assemblea di Confindustria Mario Draghi lancia un nuovo patto per l’Italia destinato a salvaguardare l’equità sociale e le generazioni future. Si può confrontare la sua proposta a quella di Ciampi che nel luglio ’93, da presidente del Consiglio, siglò un patto con le parti sociali per portare il Paese verso un percorso di risanamento delle finanze pubbliche; oppure si può rivolgere lo sguardo alla Germania, la patria di quelle «buone relazioni industriali», che Draghi cita come «pilastro» dell’unità tra i produttori. Ma in ogni caso, che si viaggi nel tempo o nello spazio, la proposta avanzata ieri dal premier nell’Italia che cerca di uscire dalla pandemia segna un cambio di passo per almeno tre ragioni.
La prima è di ordine strettamente economico. Il docente di economia internazionale ed ex banchiere centrale, come è ovvio, non considera quel che accade in Italia come un fenomeno a sé stante, ma lo inserisce nel quadro di un momento particolare: la crisi dei commerci mondiali e le tentazioni protezionistiche, i colli di bottiglia della globalizzazione che strozzano gli scambi, il ruolo forte della Cina e quello da definire degli Usa, le fiammate di inflazione che già si vedono all’orizzonte e le conseguenti strette della politica monetaria in arrivo, il prevedibile, seppur graduale, rallentamento della spesa pubblica che oggi stimola l’economia.
Sono tutti elementi che aumentano le incognite e di fronte ai quali bisogna agire il prima possibile. Nelle parole dello stesso Draghi «occorre essere uniti per non aggiungere incertezza interna a quella esterna». Dunque un patto che abbia anche una funzione difensiva nei confronti delle turbolenze esterne.
La seconda ragione è che l’incertezza internazionale vista dall’Italia non è però quella che si vede e si vive in Paesi, anche vicini, che sono in condizioni migliori. Su di noi pesa un’eredità storica negativa – come Draghi ha ricordato ieri agli industriali – che ci rende più fragili rispetto ai principali partner. E proprio per questo il patto propone un cambio di passo. Anche in questo caso sono i numeri a parlare: il premier ricorda che dal 1999 al 2019 il reddito pro capite degli italiani è rimasto fermo. Un ventennio sprecato, anzi peggio, perché «nello stesso periodo, la produttività totale dei fattori è diminuita di più del 4%, mentre in Germania è aumentata di oltre il 10% e in Francia di quasi il 7%».
Per uscire da questa situazione – anche sfruttando i fondi del Pnrr che però non dureranno in eterno – e rimettere il Paese lungo una strada di crescita che aumenti una produttività stagnante e spinga il Pil oltre l’effetto ottico del +6% nel 2021, in gran parte recupero del tonfo subito l’anno precedente, Draghi sottolinea la necessità che le parti sociali superino le divisioni e stringano un’alleanza anche sulle riforme che si aspettano da tempo, a partire da quella sulla concorrenza.
La terza ragione per cui l’intervento del premier cambia le carte in tavola è quella che più alimenterà il dibattito politico.
L’abbraccio pubblico che gli industriali hanno riservato al presidente del Consiglio non eletto e alla guida di un governo di unità nazionale ieri è parso talvolta tracimare in un vero e proprio culto della personalità. Questo può e deve suscitare qualche interrogativo. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi non ha risparmiato le critiche ai partiti e ai loro leader, specie quelli che in questo momento – il riferimento a Matteo Salvini non è casuale – flirtano con il mondo No Vax; lo stesso Draghi si è concesso qualche battuta («un governo che cerca di non fare danni è molto»), che se pronunciata da altri avrebbe avuto un sapore populista. Ma i partiti, votati dagli elettori, e i governi da loro composti sono quelli con cui inevitabilmente prima o poi bisognerà fare i conti. Dietro l’unanimità quasi generale – da Letta a Meloni – che ieri ha accolto la proposta di Draghi c’è probabilmente una presa di coscienza comune che una situazione eccezionale richiede risposte adeguate. Ma il rischio di questo unanimismo è anche che i contenuti di un patto si annacquino presto. Ci vorrà forse non scontro, ma di sicuro confronto, per dare contenuti condivisi e utili a un contratto comune che si propone di far cambiare velocità all’Italia.