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 2021  settembre 24 Venerdì calendario

Intervista a Jonathan Franzen


La madre di Jonathan Franzen sapeva come ferirlo. «Occorre una grande perspicacia», dice lo scrittore, 62 anni, dalla sua casa di Santa Cruz in California. «Devi aver osservato la persona da colpire con grande attenzione e devi aver individuato dove potresti provocargli il male maggiore. Senza contare, poi, la sfida retorica di assestare il colpo doloroso senza lasciare nessuna impronta» dice. Sua madre Irene, una casalinga morta di cancro nel 1999, continua ad avere una notevole influenza nella vita dello scrittore. La rabbia che ha covato a lungo si è manifestata in ogni situazione possibile, dalla collera al volante da lui stesso ammessa all’odio dichiarato per i social media, e ha caratterizzato i cinque romanzi precedenti, dal debutto con La ventisettesima città nel 1988 a Purity nel 2015.
Il nuovo romanzo, Crossroads, parte da premesse diverse. Non lo ha scritto esattamente per la madre che, a suo dire, negli ultimi anni di vita sarebbe diventata una persona completa e meravigliosa, ma se ne allontana in modo significativo, mantenendo la tipologia di storia che le sarebbe potuta piacere con un approccio più cordiale verso i personaggi. «In passato, nei suoi anni infelici, mia madre era molto esplicita quando diceva che avrebbe voluto che diventassi un giornalista, perché la fiction mente» dice. «Io non so se le sarebbe piaciuto uno dei miei altri libri, ma secondo me Crossroads l’avrebbe gradito. Penso che avrebbe apprezzato il fatto che non faccio del male a nessuno, che amo tutti i personaggi, non prendo in giro nessuno. Li considero per quelli che sono».
Cercare di non denigrare, di non prendere in giro, in termini più semplici di essere una persona più cortese e più empatica, dice Franzen, è diventato uno dei suoi obiettivi fondamentali. Come un Candido moderno che cura il proprio giardino, fa un passo indietro, resta a casa con la sua compagna Kathryn Chetkovich, guarda Buffy l’ammazzavampiri, gioca a tennis singolo il venerdì e in doppio la domenica, cercando di perfezionare il suo modo di tagliare la palla di dritto. Si è scollegato da Twitter e non rilascia interviste per i media statunitensi da circa tre anni.
Avendo venduto nel 2008 l’appartamento di cui era proprietario da tempo nel quartiere di Yorkville nell’Upper East Side di New York, Franzen si sente però un poco in trappola. Quando gli abbiamo chiesto se abbia mai preso in considerazione l’idea di trasferirsi da Santa Cruz in Germania – ha studiato tedesco a Swarthmore e traduce letteratura tedesca – dice che non ne sarebbe capace, a causa della brutta opinione che si è fatto di quel Paese per come tratta l’ambiente. «Hanno ucciso tutti i loro insetti e distrutto la loro biodiversità in modo molto più completo che in Cina. L’Unione Europea è un posto terribile».
Il progetto di una trilogia
Di recente Franzen non ha colto l’occasione di esprimere le sue opinioni riguardo alla libertà di parola e i social media. Quando George Packer, un amico scrittore, gli ha inviato un’email l’estate scorsa per chiedergli se volesse firmare una lettera aperta pubblicata da Harper’s «per chiedere un libero scambio di informazioni e di idee» ritenuto «di giorno in giorno sempre più oppresso» da «inviti a ritorsioni tempestive in reazione alle trasgressioni di pensiero e di parola percepite» – ha rifiutato. «Ho pensato che avrebbe potuto essere interpretato per certi aspetti come un attacco a Black Lives Matter proprio nel momento in cui non andava fatto. I discorsi sfumati si stanno facendo sempre più gelidi. Penso anche che finché la gente non sarà rinchiusa alla Lubjanka per aver detto la cosa sbagliata alla persona sbagliata, il rischio probabilmente è esagerato». Invece, ha investito il suo tempo a scrivere la seconda parte della trilogia che ha in mente, A Key to All Mythologies, che Crossroads in uscita il 5 ottobre inaugura. Il nome della trilogia si ispira all’impresa malriuscita che ossessionava Edward Casaubon, il pedante erudito di Middlemarch di George Eliot, il cui volume mai ultimato si intitolava appunto La chiave di tutte le mitologie.
«Se sei un romanziere poco più che sessantenne e decidi di imbarcarti nel progetto di una trilogia, è un po’ come mostrare il dito medio alle Parche» dice Franzen. Una trilogia, per altro, potrebbe essere considerata anche come una freccia scagliata a Stoccolma. «Il premio Nobel? A me?» chiede, prima di lanciarsi a far congetture e ad affermare che, probabilmente, quelli del 2016 a Bob Dylan e del 2020 a Louise Glück hanno «posto fine a tutti i premi destinati agli americani, almeno per il resto della mia vita».
Crossroads parla della vita di una famiglia della classe media di una piccola città che si scontra con le sue stesse convinzioni morali. Russ Hildebrandt, pastore della cittadina immaginaria di New Prospect in Illinois negli anni 70, ha perso la popolarità di cui godeva tra gli adolescenti del posto con l’arrivo di un pastore hippy più giovane di nome Rick Ambrose, capo del gruppo giovanile Crossroads della cittadina. Quest’ultimo sfrutta metodi che richiamano vagamente alla memoria le tattiche radicali di EST, i seminari di consapevolezza esperienziale per i gruppi numerosi di Werner Erhard. Poiché l’interesse di sua moglie Marion nei suoi confronti va scemando, Russ cede alla lussuria e inizia a rincorrere una delle sue parrocchiane, una giovane vedova che ha perso il marito in un incidente aereo.
«Ero un aspirante scienziato»
Nel frattempo, i figli adolescenti di Russ e Marion devono far fronte ai loro dilemmi etici: Perry lotta contro una tossicodipendenza mantenuta segreta; suo fratello maggiore Clem si strugge per cercare di decidere se rimanere al college o smettere di spedire cartoline di rinvio per la leva e andare a combattere nella guerra del Vietnam; e la loro sorella Becky deve decidere come spendere (o condividere) un’inattesa eredità di famiglia. La trilogia si concluderà ai nostri giorni e coprirà le vicende dei figli e dei nipoti Hildebrandt.
Crossroads è percorso dal tema «per certi aspetti inconfessabile» della religione, dice Franzen, secondo lui particolarmente importante oggi. «Si respinge la realtà, si respinge la scienza, si respinge tutto. Lo fanno le autorità governative o quelle del mondo scientifico o intellettuale… Viviamo in un’epoca super-religiosa, in una sorta di fine dei tempi, e non posso fare a meno di riferirmi alla cupa prospettiva della catastrofe climatica» dice. «Stanno impazzendo tutti».
Nato a Western Springs, in Illinois, e cresciuto in un sobborgo di St. Louis, Franzen è stato un assiduo frequentatore del gruppo giovanile della First Congregational Church of Webster Groves. È entrato nel gruppo «Fellowship» guidato da Bob Hutton, un giovane pastore alla moda e con i capelli lunghi che assomigliava a Charles Manson adolescente e al quale si rivolgevano molte ragazze per avere consigli (non diversamente da ciò che accade a Rick Ambrose nel romanzo).
«Appartenere a quel gruppo giovanile della mia Chiesa cristiana molto liberale è stata un’esperienza molto formativa, che andava a contrastare il mio lato nerd e quello intellettuale. Ero un giovane aspirante scienziato e trascorrevo la maggior parte del mio tempo a leggere. Lì, invece, almeno una volta alla settimana, ero costretto a interagire con i miei coetanei».
«Nell’adolescenza tutto dipende da come ci si atteggia. È tutto un “lasciatemi provare questo e lasciatemi provare quello”, perché l’ultima cosa che desideri è mettere in luce il tuo vero te stesso», dice Franzen. L’infatuazione, all’inizio della sua carriera, per il poeta tedesco Rainer Maria Rilke nasce proprio da questo. L’unico romanzo di Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge del 1910, parla proprio di maschere e di Io mutevoli.
Quei momenti irrisolti
Oggi Franzen considera simili finzioni come le vestigia di un passato lontano (il romanzo di Rilke è «un libro perfetto per un ventenne»). Sebbene non scritta dall’autore, la quarta di copertina promozionale sul retro di Crossroads definisce Franzen «lo scrittore di punta della sua generazione», frase che ha dato il via alle battute di alcuni autori suoi amici come Rebecca Makkai e Lincoln Michel sui social media. Le correzioni ha venduto oltre 1,6 milioni di copie negli Stati Uniti; Libertà oltre 1,2 milioni; Purity circa 290 mila copie. Altalenante è stato anche l’interesse per gli adattamenti sul grande schermo.
Franzen ha brandito a lungo la fiction come un mezzo per guardare indietro alla sua vita da una nuova prospettiva. «Mi sono reso conto che l’unico modo per andare avanti consiste nell’andare indietro e nell’affrontare i momenti della propria vita passata rimasti irrisolti» ha detto alla Paris Review. Sembra che questo modo di lavorare lo abbia aiutato anche a capire sua madre. Entrare nella testa dei personaggi – in particolare in Crossroads, dove dice di aver cercato di conoscerli per quello che sono, invece che emettere giudizi – lo ha aiutato a essere più comprensivo. «Sono diventato maggiormente capace di inquadrarla in modo chiaro per quella che era e di capire che buona genitrice è stata. Capire è perdonare e io l’ho capita davvero».
Crossroads potrebbe addirittura essere considerato un inno alla madre. L’intellettualismo instillatogli dal padre può non essere scomparso ancora del tutto, ma la sua traiettoria di scrittore – iniziata con un racconto scritto al liceo sul filosofo greco Pitagora, e che sembra ora dover raggiungere l’acme con la trilogia – con Crossroads ha spiccato un balzo in avanti. «È occorso un viaggio di quasi 55 anni per arrivare al punto in cui cerco di iniziare a scrivere qualcosa che sia realismo puro», dice Franzen. «I concetti sono facili. Arrivano spontaneamente. Ma dentro di me ho anche altro, che mi arriva da mia madre, ed è un riguardo particolare per i rapporti personali e un riguardo per i personaggi. Mi metterò in gioco: posso solo dire che Crossroads è la vittoria, a lungo procrastinata, di mia madre su mio padre». —
Traduzione di Anna Bissanti