Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 24 Venerdì calendario

Quattro interviste a Marcello Dell’Utri («Ancora non ci credo»)



Felice Cavallaro e Riccardo Lo Verso per il Corriere

«C erto, sono soddisfatto, ma come faccio a non pensare al fango che mi è stato rovesciato addosso?», dice Marcello Dell’Utri. Usa parole dure: «Questo processo è stato una cosa mostruosa e andava annullato in primo grado. Ma il clima era diverso e i giudici non se la sono sentita di smontare l’impalcatura. Quest’altra corte ha evidentemente letto le carte bene. I miei avvocati (Tullio Padovani, Francesco Centonze e Francesco Bertorotta), hanno ridotto in polvere accuse pazzesche. Ma non basta avere l’avvocato bravo. Bisogna trovare chi la ragione te la dà. Io sono ancora scioccato per le palate di fango».

Il suo telefono squilla di continuo: «Gioiscono in tanti ora. A cominciare dal Cavaliere. Ha chiamato congratulandosi. Era importante. Anche per lui. Trattative? Ne ho fatte tante nella vita. Ma con gli imprenditori, non con la mafia. Al contrario di quanto pensava Ingroia e il resto della compagnia, servendosi dei soliti pentiti». Infine una stilettata: «Vorrei rilassarmi qui a Milano. Anche se ho perso la casa. Ma non i libri. Me ne sono rimasti quattro. Importanti come gli avvocati e le persone che non hanno mai creduto a queste c...».

La voce del generale Subranni è roca per un malanno. Non sa se gioire di questa assoluzione attesa, «ma arrivata troppo tardi». Si è ritirato con la moglie Rosalia, avvocato, nella casa di campagna a Licata. I faldoni del processo sono diventati il suo unico impegno. «E lì ha perso sé stesso», sussurra la moglie. «Dovevo spulciare le parole sputate contro di me, ma adesso io... io non ricordo...», cerca di spiegare il generale. Ha un moto di indignazione: «Accuse ridicole su una trattativa mai fatta». Che è sempre stata la tesi del suo avvocato, Cesare Placanica: «Forse prima di mettere in piedi certe ipotesi accusatorie bisognerebbe ponderare bene le conseguenze». Supranni, intanto, ripensa alle parole della vedova di Paolo Borsellino che lo accusò di essere addirittura «punciuto», come i mafiosi. «La signora sbagliò di grosso — replica —. Aveva voluto i nostri numeri da mia moglie, si sentivano, sempre gentile, poi improvvisamente tirò fuori questa storia...».

«Ho apprezzato di più un riferimento della figlia di Borsellino, Fiammetta — dice la moglie — quando ha parlato degli appalti, di un rapporto del Ros che, forse, bisognava guardare meglio». Il generale Mario Mori è di poche parole: «Sono soddisfatto per una verità che, a poco a poco e a fatica, è venuta a galla». «La trattativa è una bufala», aggiunge il suo legale, Basilio Milio. Anche Giuseppe De Donno, al telefono con l’avvocato Francesco Romito, si affida a una frase secca: «Soddisfatto per me e per l’Arma che non ha fatto niente di quanto contestato».





Alberto Custodero per la Repubblica


MILANO — È stato un processo mostruoso, era da annullare in primo grado. Averlo debellato è una prova di democrazia, finalmente. Le sofferenze le ho patite, gli stenti subiti, ma ora bisogna andare avanti e fare cose buone». Marcello Dell’Utri ha passato la giornata al telefono a rispondere alle tante persone che hanno voluto congratularsi per l’assoluzione. Non trattiene la gioia per una sentenza che non esita a definire «una svolta non solo per me ma anche per la giustizia italiana. «L’assoluzione è la migliore risposta a tutti quelli che spargevano odio», afferma con un tono duro. Poi scherza: «Sono contento di essere arrivato uno», dice, rievocando la famosa frase attribuita a Gustav Thoeni.
Dell’Utri, a fine 2019 è tornato libero dopo una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ora incassa una assoluzione "per non avere commesso il fatto": cosa pensa della Giustizia?
«Ho recuperato un po’ fiducia nella magistratura: per fortuna ci sono ancora dei magistrati che guardano le cose, leggono le carte e ascoltano i difensori. Era impossibile non riconoscere l’assurdità dell’impianto accusatorio».
Qual è stato il suo primo pensiero quando ha saputo dell’esito della sentenza?
«È andato a tutti quelli che mi hanno sostenuto in questi anni, le persone e tutti gli amici che hanno creduto nella mia innocenza. Mi voglio invece dimenticare tutti gli altri, quelli che odiano».
I giudici di secondo grado non hanno ritenuto che lei, ex politico fedelissimo di Silvio Berlusconi, fosse il collegamento fra la politica e Cosa nostra in quella che viene ritenuta la seconda fase della trattativa del 1993 e 1994. Si aspettava l’assoluzione?
«Sono commosso, mi si è tolto un peso dal cuore, onestamente non me l’aspettavo. Ma me la sognavo. Intendiamoci, poteva accadere anche il contrario, il buon senso diceva che avrebbero dovuto assolvere e annullare questo processo, però purtroppo il buon senso nella giustizia non sempre funziona».
Come ha trascorso questi anni in attesa della conclusione di questo processo sulla trattativa Stato-mafia? In primo grado era stato condannato a 12 anni.
«Sono sempre stato tranquillo, altrimenti non sarei qui. Ho vissuto un film ma la trama era inventata totalmente. Io questo processo non l’ho neanche seguito. Mi sono sentito come un turco alla predica, di cosa stanno parlando? Ma avevo paura potessero credere a queste cose inventate servendosi dei soliti pentiti che hanno bisogno di dire cose per avere vantaggi per conto loro, servendosi di molta stampa che affianca le procure e soprattutto la procura di Palermo.
Ripeto, non potevo essere certo dell’assoluzione, ma la speravo intimamente».
Eppure nel processo era accusato di avere avuto un ruolo di primo piano in una trattativa che prima era stata iniziata dai carabinieri.
«Non so esattamente di cosa fossi accusato. Credo fosse per aver ricevuto minacce dai mafiosi, che dovevo riferire a Berlusconi, minacciandolo a sua volta se non avesse provveduto a fare leggi a favore dei mafiosi. Tutta una cosa allucinante, Nel governo di Berlusconi ci sono state solo leggi contro i mafiosi».
Come spiega allora la condanna in primo grado?
«Il clima allora era tale che non bisognava vedere le carte. Io credo che oggi questa Corte abbia lavorato con criterio, cognizione e coscienza. I miei avvocati hanno smontato il processo dalle fondamenta, ho ascoltato le arringhe e non era possibile non riconoscere l’assurdità dell’impianto accusatorio».
Cosa farà in futuro, tornerà in politica?
«Ma non scherziamo».
E cosa farà, allora?
«Mi occuperò della mia collezione di libri conservati nella Fondazione di Milano. Sto per allestire la più grande biblioteca siciliana, che è mia intenzione donare un giorno alla Sicilia».

Paolo Colonnello per La Stampa

«Sono felice, commosso, mi tolgo un gran peso». La voce è ancora squillante ma l’accento palermitano è sempre più attenuato. Il "peso", come lo chiama lui, era gravosissimo: 12 anni di carcere in primo grado, annullati ieri pomeriggio dalla Corte d’Appello di Palermo, «per non aver commesso il fatto». Certo, Marcello Dell’Utri, 80 anni compiuti un paio di settimane fa, non è più l’uomo di una volta, quello ruggente e un po’ sprezzante ritratto nelle foto degli anni d’oro, quando inventò Forza Italia, i club di fans per sostenere Silvio Berlusconi e diede vita a quella formidabile impalcatura di consenso ante litteram ottenuta attraverso l’esercito dei venditori di Publitalia, la sua creatura più riuscita, in fondo.
Già condannato in via definitiva come concorrente esterno di associazione mafiosa («Un reato che non esiste, inventato per me» raccontò in una lontana intervista), l’ex senatore con quattro anni passati in carcere nel silenzio più assoluto e uno agli arresti domiciliari, è ora un uomo incanutito con i segni del tempo e del destino ben visibili in volto.
Dell’Utri ieri ha atteso la sentenza di Palermo che l’ha mandato assolto dall’accusa di violenza o minaccia ai corpi dello Stato, giornalisticamente tradotta in "trattativa Stato-mafia", dalla sua abitazione di Milano Due. Aspettando la telefonata fatidica dell’avvocato Salvatore Centonze, il legale che lo ha accompagnato nell’ultimo decennio di battaglie giudiziarie, tra i libri che ricoprono le pareti di uno studio che si affaccia sul primo foliage settembrino del quartiere satellite per ricchi che fu la vera utopia del Cavaliere.
E adesso?
«Adesso niente, oggi è il giorno della gioia, dell’allegria. Anche se mi hanno riversato tanto di quel fango addosso…Ma ormai è finita, anche se gli stent rimangono...».
Che significa?
«Che in tutti questi anni, ho subito due infarti e ho dovuto farmi operare. Chi mi ripaga di questo danno? Nessuno. Ma non mi voglio lamentare, nossignore».
Vorrebbe far causa allo Stato?
«Ma figuriamoci. E a chi poi? Lo Stato sono anch’io. No, basta così».
Una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e adesso un’assoluzione dall’accusa di aver portato le richieste della mafia a Berlusconi. Qualcosa stride, non le pare?
«È sempre stata la stampa a dire che ero un mafioso. Io non l’ho mai pensato di me stesso e dunque direi che questa assoluzione mette in dubbio anche la precedente condanna».
Ci saranno ricorsi?
«Senta, io sono stanco di queste cose. Stanco, capisce? ».
Passeggiate ai giardinetti d’ora in poi, da bravo pensionato?
«Macché, vivo tra i miei adorati libri. Sopra, sotto, a fianco, dietro di me: ovunque sono sommerso da libri. Ogni giorno lo passo nella mia adorata biblioteca. Vado in via Senato e lì mi rinchiudo».
Carcerato tra i tomi. C’è qualcuno che deve ringraziare?
«Certo: i miei avvocati e la mia famiglia innanzitutto che in questi anni ha sopportato quanto me questo calvario. E tutti quelli che hanno creduto nella mia innocenza nonostante tutto, nonostante il fango che mi è stato gettato addosso".
Silvio Berlusconi lo ha sentito?
«La ringrazio per la telefonata...».
Un ultima domanda: qual è il libro che leggerà per festeggiare l’assoluzione?
«Pinocchio, il mio adorato Pinocchio. Il più bel libro che ci sia».



Stefano Zurlo per il Giornale
Senatore Marcello dell’Utri...
«Ancora non ci credo».
Se l’aspettava?
«In effetti è l’unica domanda da farsi».
Sì, ma che cosa risponde?
Si sente che è sollevato. Dirà che questa sentenza è stata una «svolta»; che in fondo in fondo era «tranquillo altrimenti... Non sarei qui»; che però di «tornare in politica non ci penso nemmeno, preferisco i miei libri». Lui, uno dei più grandi collezionisti di volumi antichi e non. Sono passate meno di due ore dalla lettura del verdetto della Corte d’Assise di Palermo. Marcello Dell’Utri assapora la sentenza che lo toglie dalla ragnatela vischiosa dei rapporti fra Cosa Nostra e lo Stato. Ci sarà tempo per leggere le motivazioni, intanto la pronuncia segna il flop di una delle più ambiziose indagini della storia giudiziaria italiana. «Ero accusato di aver ricevuto minacce da mafiosi che avrei dovuto riferire a Berlusconi minacciandolo a sua volta se non avesse provveduto a fare leggi a favore dei mafiosi. Una cosa allucinante, pensi che durante il governo Berlusconi ci sono state soltanto leggi contro i mafiosi».
Insomma, era convinto di farcela?
«Ci speravo, ma non ero sicuro di essere assolto. In questo Paese non basta avere avvocati bravissimi come i miei avvocati, che in aula avevano smontato tutta questa storia».
Lei arrivava da una condanna di primo grado.
«No, non mi parli del primo grado, ero nauseato».
Il clima è cambiato? Oppure i giudici sono stati coraggiosi?
«Su questo non dico niente. Dico che udienza dopo udienza stavo come un turco alla predica».
Come chi?
«Provi a pensare a un turco che va in chiesa e sta lì ad ascoltare. Cosa vuole che capisca?».
Lei che cosa capiva?
«Non capivo niente, o, meglio, non capivo di cosa parlavano. Dicevano che avevo incontrato questo, poi avevo incontrato quello, poi non so che cosa altro. Un film, totalmente inventato».
C’erano delle accuse formulate dai pubblici ministeri di Palermo.
«Qui non c’era il fatto. C’era un mostro, davvero ancora non ci credo. Era scontato che la condanna dovesse cadere, ma non ero sicuro che venisse giù. Era impossibile non riconoscere l’assurdità dell’impianto accusatorio. Il buonsenso diceva che avrebbero dovuto assolvermi e annullare questo processo, ma il buonsenso nella giustizia non sempre funziona».
Forse il vento soffia da un’altra parte.
«Sono stati dieci anni di fango. E sono contento per me, per la mia famiglia e pure per gli sconosciuti che mi hanno sostenuto. Aggiungo che sono disposto a dimenticare quello che mi hanno rovesciato addosso i giornali e le televisioni».
Le parole lasciano spazio ad una smorfia, fra l’amaro e il sarcastico. Poi, il fondatore di Publitalia, l’amico di gioventù di Silvio Berlusconi, riprende a parlare e si capisce che è emozionato. «Sì, voglio davvero dire grazie ai tanti che non so nemmeno chi siano, ma mi sono stati vicini in questa storia interminabile».
Che libro leggerà per festeggiare l’assoluzione?
«Questa sera (ieri per chi legge, nda) non ho tempo per dedicarmi alla lettura».
Non c’è un filosofo adeguato?
«No, ci vuole un buon vino. E io ho scelto l’Amarone».