Il Sole 24 Ore, 24 settembre 2021
Il punto sulle elezioni in Giappone
È passato più di un anno da quando Shinzo Abe si è dimesso da premier, ma il Giappone vive ancora nella sua ombra. L’esperienza del successore, Yoshihide Suga, si è conclusa senza lasciare il segno, se non in negativo, per l’inadeguata risposta alla pandemia e per i Giochi di Tokyo, tenuti nel contesto meno favorevole.
Le sue dimissioni, il 3 settembre, sono state salutate da un rally di Borsa: arrivato al potere senza opposizione all’interno di un Partito liberaldemocratico (Lpd) improvvisamente orfano del suo carismatico leader, Suga era forte di indici di gradimento altissimi (74%). Ha cercato di muoversi in continuità con le politiche ultra-espansive del predecessore, senza però conquistare i cuori. Su di lui si sono concentrate le critiche per i ritardi nella campagna di vaccinazione, arrivata solo nelle ultime settimane a numeri consoni a una potenza come Tokyo (con ciclo completo per il 55% della popolazione). Nel frattempo, il Paese è scivolato in una crisi sanitaria forse evitabile, con il Governo costretto a dichiarare stati di emergenza a ripetizione, proprio alla vigilia delle Olimpiadi, tenute nonostante lo scarso gradimento dei giapponesi. Una scommessa persa. I consensi di Suga sono così precipitati a livelli insostenibili, attorno al 30%.
La fine precoce del suo Esecutivo, dopo nemmeno un anno dall’insediamento, riporta in vita un fantasma che sembrava essere stato esorcizzato dalla lunga era Abe, quello dei Governi col fiato corto. Solo per stare in epoca recente, dopo Junichiro Koizumi, in carica dal 2001 al 2006, il Giappone ha cambiato un premier all’anno fino al 2012, quando al timone è arrivato appunto Abe (che aveva già guidato un Esecutivo tra il 2006 e il 2007).
Una instabilità figlia delle lotte a volte aspre tra le correnti dell’Ldp, che si consumano però in un contesto di sostanziale immobilismo politico, visto che il Partito liberaldemocratico resta la costante quasi inamovibile del Paese, sempre al potere dalla sua fondazione nel 1955, ad eccezione di una parentesi tra il 1993 e il 1994 e, più di recente, tra il 2009 e il 2012. E al potere l’Ldp ci resterà anche dopo aver superato quest’ultima crisi interna, proiettato com’è a vincere anche le elezioni generali che si terranno a novembre.
Intanto, però, il 29 settembre parlamentari e militanti dell’Ldp dovranno scegliere il loro nuovo presidente, e premier in pectore. Chiusa la parentesi Suga, il partito e il Paese si trovano così ancora una volta a fare i conti con l’eredità di Abe, che resta un riferimento e una voce pesante. Non a caso, uno dei fattori che caratterizzano i pretendenti è la maggiore o minore vicinanza alle sue politiche.
I candidati in gara sono quattro, con novità non banali per le tradizioni del Paese. Il favorito è Taro Kono (58 anni), un anticonformista nel panorama giapponese. Ministro in carica per le vaccinazioni, è riuscito a separare la sua immagine dal giudizio negativo che ha colpito il Governo sulla gestione della pandemia. Liberale sulle questioni sociali, è considerato un rivale dei conservatori di Abe e appoggia l’utilizzo delle fonti rinnovabili, contro carbone e nucleare, anche come strategia per generare ricchezza e occupazione. Kono è il meno favorevole dei quattro alle politiche monetarie espansive a oltranza, persuaso che sia la crescita a generare inflazione e non il contrario. «Dal punto di vista dei mercati, Kono può garantire un Governo stabile», afferma Jesper Koll, senior advisor di WisdomTree.
Il suo principale avversario è Fumio Kishida (64 anni), un falco in politica estera, propone un «nuovo capitalismo» che associ crescita e ridistribuzione della ricchezza. La sfida per la guida dell’Ldp è tra loro due, ma nella competizione si sono lanciate anche due donne, troppo isolate nel partito per avere possibilità concrete. Su una di loro c’è l’appoggio di Abe. Si tratta dell’ultra-conservatrice Sanae Takaichi (60 anni), anche lei su posizioni aggressive in politica estera e favorevole al nucleare; è la più determinata a proseguire sotto il segno dell’Abenomics con misure espansive e mettendo la lotta alla deflazione prima delle esigenze di bilancio. Infine c’è Seiko Noda (61), lontana dalle posizioni di Abe, propone misure per affrontare il declino delle nascite e l’invecchiamento della popolazione e sostiene l’emancipazione femminile. Nessuna donna in Giappone ha mai ricoperto la carica di premier.
Se nessuno degli sfidanti otterrà la maggioranza nella prima votazione, si andrà al ballottaggio tra i primi due. Il presidente dell’Ldp sarà poi nominato premier in Parlamento, in un voto in programma il 4 ottobre e dall’esito scontato, data la forza dei liberaldemocratici. L’Ldp spera di trovare un volto nuovo, in grado di contenere il calo atteso nelle elezioni che si terranno dopo il 21 ottobre, quando il Parlamento si scioglierà. La maggioranza non è comunque in discussione, quello che gli analisti si aspettano è che il partito possa perdere alcuni seggi a vantaggio dell’opposizione, troppo debole per rappresentare una vera alternativa.
Il prossimo premier, nell’immediato, dovrà gestire una pandemia, che può ancora riservare colpi di coda, e dovrà ridare slancio all’economia. L’impatto del Covid sarà «più importante delle elezioni», ricorda John Vail, di Nikko Asset Management. Dopo il calo del 4,6% nel 2020, a differenza degli altri Paesi avanzati, il rimbalzo del Pil giapponese sarà moderato: 2,5% nel 2021 e 2,1% nel 2022 (secondo le più recenti stime Ocse). La recessione ha reso più urgente la soluzione di problemi strutturali del Paese, a cominciare dal debito pubblico, ormai ben oltre il 250% del Pil, e dalla crisi demografica, con popolazione in calo e sempre più anziana.
C’è poi da guidare una transizione energetica che preoccupa i grandi gruppi industriali. I big dell’auto non hanno risparmiato critiche all’obiettivo di azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050, fissato dal premier uscente Suga. Temono di perdere quote di mercato e mettono in guardia contro l’erosione della base industriale del Paese e i rischi per l’occupazione.
Il Giappone si trova poi in una congiuntura di politica estera quanto mai delicata. La Cina è sempre più aggressiva e, per contenerla, gli Stati Uniti diventano sempre più esigenti con gli alleati. L’effetto su Tokyo è ambivalente. Gli ambienti nazionalisti hanno una gran voglia di rafforzare i muscoli militari del Paese, ma le ambizioni politiche vanno bilanciate con le esigenze dell’economia. Pechino è un partner importante e suscettibile. Ha guidato i negoziati per l’accordo commerciale regionale Rcep, al quale Tokyo ha aderito, e ora bussa alla porta del Cptpp, il trattato tra 11 Paesi del Pacifico che ha perso per strada il suo ispiratore, gli Stati Uniti, con la retromarcia di Donald Trump. Il Giappone dovrà dare il suo parere, sapendo che aprire la porta alla Cina di Xi Jinping potrebbe significare sbatterla in faccia agli Usa di Joe Biden.