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 2021  settembre 23 Giovedì calendario

Quanto vale l’economia legata allo Spazio

L’economia legata allo spazio è cambiata in modo radicale, sia come cifre complessive che come attori coinvolti, prospettive e opportunità. Vale 400 miliardi a livello globale, cifra che potrebbe arrivare alla fine del decennio almeno a mille miliardi, come ha confermato Simonetta Di Pippo, direttrice dell’ufficio Onu competente per gli affari dello spazio extra atmosferico, Unoosa con sede a Vienna, al convegno proprio su questi temi tenutosi a Roma nei giorni scorsi, organizzato dalla Fondazione Leonardo in occasione del G20 dello spazio a guida italiana. La cifra è però un puro riferimento per il futuro perché, anche se accreditato da importanti banche d’affari come Morgan Stanley, potrebbe alla fine risultare di parecchio superiore. Sempre la Di Pippo riporta il numero di 2mila satelliti lanciati nei primi sei mesi del 2021 e registrati dal suo ufficio, che ha questo fra i propri compiti. Sono un’enormità, se si pensa che 10 anni fa il numero di satelliti in orbita superava di poco i mille, e si trattava di oggetti mandati in orbita nel corso degli anni e non in pochi mesi. Una crescita impetuosa che apre per le imprese private un mondo di nuove opportunità e al tempo stesso interroga sul loro ruolo futuro le Agenzie nazionali, finora padrone assolute dello spazio ma ben più lente delle imprese.
Per capire cosa possono fare i privati, anche le nostre Pmi, si può ritornare alla simulazione che si fece nel 2015, immaginando «un giorno di vita sulla Terra senza i satelliti». Se per esempio spegnessimo i satelliti, avremmo grossi problemi di sicurezza, perché non potremo più sapere che fanno i nostri avversari, né potremo monitorare eventuali disastri o controllare la navigazione, capire come vanno i raccolti nelle varie nazioni o quale sia veramente l’estrazione di petrolio giornaliera, controllando i barili stoccati nelle raffinerie. Allo spazio, infatti, non si mente. Poi potremmo spegnere i satelliti meteorologici e perderemmo le previsioni, da cui siamo dipendenti in maniera importante, ma ben più grave non avremmo gli avvisi sugli eventi estremi che potrebbero arrivare, e si potrebbe continuare così esaminando campi chiave della nostra vita come le telecomunicazioni o il geoposizionamento. È però evidente che tutti questi campi, un po’ alla volta, devono passare, in gran parte, agli imprenditori privati che -speriamo – diano largo spazio alla creatività e all’invenzione di nuovi servizi e applicazioni.
Ma è cambiato anche altro: una delle cifre importanti nelle attività spaziali negli ultimi trent’anni è stata la multilateralità, che la dottrina Trump, confermata dal presidente Biden, ha sostanzialmente messo da parte. Ricordiamo che per la costruzione della Stazione spaziale internazionale, grande più di un campo da calcio e che da più di 20 anni gira a 400 chilometri sopra le nostre teste, sono stati scritti e firmati trattati per permettere la coesistenza e l’uso comune di parti diverse, russe, americane, europee, canadesi e giapponesi, agli astronauti di tante nazioni diverse che ci hanno lavorato.
Questo oggi non è più vero, il Congresso Usa non vuole più cinesi, russi o indiani come partner e quindi nei prossimi anni sulla Luna, con il progetto Artemis ci andranno con gli americani solo i Paesi amici, fra cui anche l’Italia. È una grande differenza perché pone le basi per almeno due schieramenti diversi, se non contrapposti e lascia fuori l’altra grande potenza, anche spaziale: la Cina.