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 2021  settembre 23 Giovedì calendario

In Senato Dini si ruba il Financial Times

L’ affaire Dini scuote l’apatico mercoledì mattina del Senato. Sul tavolo della sala lettura di Palazzo Madama, dove i parlamentari possono sfogliare (gratis) i quotidiani nazionali e internazionali, è comparso da un giorno un foglio bianco con un messaggio perentorio: “Si invita il sen. Dini a desistere dal sottrarre il Financial Times alla lettura dei colleghi del Senato”. La lettera non è firmata, il contenuto è drammaticamente comico e il destinatario è illustre.
Lamberto Dini, classe 1931, novant’anni compiuti a febbraio, viene accusato senza mezzi termini di mettersi in tasca con poco rispettabile frequenza un giornale che appartiene a tutti i colleghi. Dini non ha più un seggio a Palazzo Madama dal lontano 2013, ma non è l’unico ex parlamentare che continua a frequentare le amate stanze: è una prerogativa di tutti gli eletti, di ogni epoca. Invece è l’unico – a quanto ne sappiamo – a essere accusato pubblicamente di fregarsi i giornali.
La storia è oggettivamente meravigliosa per una serie di ragioni. La prima è il profilo istituzionale di Dini, decano della politica italiana: già premier (1995-96), ministro del Tesoro (1994-96), ministro degli Esteri (1996-2001), presidente del Consiglio europeo (per sei mesi nel 1996), direttore generale della Banca d’Italia (1979-1994) e molte altre cose ancora, in una carriera eterna in cui ha frequentato praticamente tutti gli schieramenti della Seconda Repubblica.
Il secondo motivo è un po’ più volgare: la suddetta lunga carriera, a cavallo tra diverse munifiche istituzioni, ha garantito al presidente Dini una vecchiaia al riparo dagli stenti economici. Secondo i giornali che si sono occupati cinicamente delle sue finanze, l’onorevole somma ben due pensioni e un vitalizio: 7mila euro dall’Inps, 18mila euro dalla Banca d’Italia e 6mila euro di vitalizio. In totale fanno 31mila euro lordi al mese, una somma rispettabile. Grazie alla quale, tra le altre cose, ha potuto sopportare senza troppi patemi le lunghe ferie forzate in Costa Rica lo scorso anno, quando rimase prigioniero in (incantevole) terra straniera allo scoppio del Coronavirus (come ha raccontato lui stesso a Un giorno da pecora). Tutto sommato avrebbe forse le risorse personali per acquistare i giornali in edicola e invece secondo un accusatore – un collega anonimo – preferisce rubacchiarli al Senato: l’affaire Dini merita d’esser investigato. Interroghiamo gli eletti che transitano nella stanza dei giornali – la Sala del Risorgimento di Palazzo Madama – sotto gli occhi severi del busto di Mazzini, il grande ritratto del 1849 di Vittorio Emanuele II e il solenne soffitto ottocentesco con i cassettoni dorati.
Tra i senatori aleggia una certa ironica omertà. Il 5Stelle Marco Croatti: “Non ne so nulla! Non ho idea di chi abbia scritto quel messaggio – ride – ma indagherò”. Il dem Dario Parrini scappa via con un ghigno: “Non lo so e non mi piacciono i gialli”. Il leghista Stefano Candiani si scompiscia: “Credo Dini sia l’unico in tutto il Senato a leggere il Financial Times. Fa curriculum. E si domandi perché nessuno ruba il Fatto Quotidiano!”. L’ex berlusconiano Paolo Romani è laconico: “Ho visto di peggio”. Paola Binetti racconta un aneddoto: “Il presidente Dini lo vedo spesso, non so se l’accusa sia fondata ma non sarebbe il primo. Mi ricordo che anche Adriano Ossicini (compianto ex senatore cattolico e comunista, scomparso nel 2019) veniva qui, si faceva una mazzetta e se la portava a casa. Ma era un signore e poi i giornali li riportava tutti”. Una grillina di passaggio nasconde il sorriso sotto la mascherina nera: “Questa di Dini ormai è una leggenda, un fatto abbastanza noto”.
Alla fine gli aneddoti più maliziosi – come è comprensibile – arrivano da fonti che pretendono di restare anonime. Un senatore meridionale dei 5Stelle legge la lettera, si fa una grassa risata e racconta: “Quella dei giornali non è l’unica passione del presidente Dini… si porta a casa anche le bustine di zucchero dal bar della buvette”. Il più perfido di tutti è un parlamentare del Pd. Commenta la foto su Whatsapp, non è affatto garantista: “Lo vedo tutte le mattine. Dini arriva, scrocca la colazione, legge i giornali e ne fotte alcuni”.
Gli argomenti dell’accusa sono spietati. L’autore materiale della lettera resta anonimo. Pure i commessi del Senato negano ogni addebito: “Non ne sappiamo niente. Dev’essere una goliardata”. Uno degli uomini in divisa si alza dalla scrivania, un po’ stizzito, e sequestra il foglietto: a 48 ore dal primo avvistamento, il j’accuse a Lamberto Dini scompare dal grande tavolo di legno della sala dei giornali del Senato della Repubblica.