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 2021  settembre 23 Giovedì calendario

Una tronista trans a "Uomini e Donne"

Al pari del ritorno a scuola per i ragazzi, poche cose tengono in apprensione il pubblico televisivo del pomeriggio come la presentazione settembrina dei nuovi tronisti della trasmissione cult-trash Uomini e Donne. Se nel 2016 Maria De Filippi ha fatto parlare di sé per aver forzato la mano sulla contemporaneità e portato sul trono del piccolo schermo il primo ragazzo gay (con tanto di corteggiatori, baci, liti e scelta), la corrente stagione iniziata la scorsa settimana sarà ricordata soprattutto per Andrea Nicole, la prima donna trans tronista. La padrona di casa, con il suo affabulare quieto, ha spiegato ai ragazzi che sentirsi magari impreparati a una tale novità è del tutto normale, e consigliato di approcciarsi ad Andrea Nicole senza pregiudizi. Tuttavia, sono bastate le prime puntate per comprendere che i pregiudizi sono innumerevoli, come pure vasta è l’ignoranza nei confronti dell’universo trans.
Come stupirsi, però, se un ragazzo che corteggia Andrea Nicole le chiede a un certo punto “Tu puoi avere figli? Non so come funziona”; se un altro rievoca la sempreverde “paura del giudizio della gente”; o se un altro ancora non sa come comunicare ai genitori la sua frequentazione con una donna trans. Quanto succede in tv come in politica – pensiamo a quei politici che dichiarano di non aver capito cosa sia il gender ma si dicono comunque contrari al Ddl Zan perché “vuole portarlo nelle scuole” – chiarisce il sentimento e la misconoscenza sul vituperato (a torto) gender e soprattutto sulle persone trans. Se ne sa poco per capirle, ma abbastanza per odiarle, pestarle o ucciderle: l’Italia, infatti, secondo l’Ilga (International Lesbian and Gay Association) occupa i primi posti per casi di violenza omotransfobica.
Abbiamo chiesto a due interlocutori informati di farci muovere qualche passo verso la comprensione del mondo trans: Eva Croce e Christian Leonardo Cristalli. Per tornare alle domande imbarazzanti, “Quando le persone cui racconto del mio percorso di affermazione di genere scoprono che mi piacciono le donne – ci racconta Eva, donna trans e attivista – mi chiedono se ne sia valsa la pena, perché tanto valeva rimanere uomo”. Eva, che a suo dire è “una felice ragazza pelata sulla cinquantina”, inizia il suo percorso dieci anni fa e oggi si definisce “non binaria”, cioè non si riconosce nel binarismo uomo-donna. E se si parla di disforia di genere, è perentoria: “Un’invenzione dei medici, che per fortuna l’Oms ha cancellato dalle malattie mentali. Io, al massimo, ho l’euforia di genere”. Cristalli, uomo trans e presidente di Gruppo Trans APS (Associazione di promozione sociale impegnata per il riconoscimento dei diritti e la tutela della comunità transgender in Italia), confessa invece delle volte in cui gli viene chiesto come sia riuscito a rifarsi la faccia da uomo, o di quando viene scambiato per il marito di una paziente al momento di prenotare una visita ginecologica: “Purtroppo, la verità, è che manca l’informazione”.
Iniziamo dalle parole: “Transessuale – spiega Cristalli – si porta dietro un concetto patologico. È preferibile transgender”. “Anche perché si interviene sul genere, non sul sesso – precisa Croce, che prosegue –. E poi i genitali devono smettere di essere al centro della discussione”. Il primo mito che cade, allora, è quello della transizione da un sesso all’altro. La terapia ormonale e gli eventuali interventi servono ad affermare un genere di appartenenza. In effetti, sin dalla cultura latina, mentre “Genus” poteva designare gli organi sessuali, il genere (maschile e femminile) e la specie, “Sexus” descriveva soltanto gli organi riproduttivi. Croce ci spiega che “questo deriva dal fatto che siamo imprigionati in una cultura binaria etero-normativa uomo-donna, secondo cui nel mondo trans esistono solo FTM (female to male) attratti dalle donne o MTF (male to female) attratte dagli uomini, mentre ogni percorso di affermazione di genere è diverso e variegato. Soprattutto libero. Per questo bisogna aprirsi al non-binarismo e parlare del mondo trans senza i soliti stereotipi”. Chi desidera un genere diverso da quello in cui è nato, dunque, non sogna di diventare etero.
E sul fatto che il focus sia la discussione e la (in)formazione Cristalli concorda. “Quando una certa politica ci definisce astrattamente ‘teoria gender’ nega la nostra esistenza, i nostri bisogni. Noi persone trans siamo spesso invisibili. Non esistiamo ogni volta che siamo costretti a usare un documento che non ci rappresenta; quando veniamo scartati a un colloquio di lavoro sulla base di un pregiudizio; nell’accesso alla sanità pubblica per il nostro percorso. Ma la cosa che mi preoccupa maggiormente di questa politica degli slogan è il controllo sui corpi. E questo non riguarda solo noi, ma anche le donne, se pensiamo all’aborto. Senza considerare, infine, le vergognose menzogne in merito al bavaglio sulla libertà di espressione che imporrebbe il Ddl Zan, dove invece l’articolo 4 prevede chiaramente il diritto alle proprie opinioni”.
E torna prepotente il tema del gender nelle scuole (previsto dalla proposta di legge). Cristalli, che è attivo sul territorio nazionale in formazione di personale scolastico sulle carriere alias o in laboratori con giovani e giovanissimi, è convinto che “quello che alcuni politici non vogliono capire è che nelle scuole serpeggia il bullismo nei confronti di chi non corrisponde alle normative di genere, alle aspettative di genere di una società che ancora prima di nascere prevede una coccardina blu o rosa e ruoli inoppugnabili. E chi trasgredisce a questa cultura patriarcale ne paga le conseguenze. Chi vuole ignorare questa realtà faccia i conti con il numero di femminicidi registrati solo la settimana scorsa. E poi ci stupiamo, se è stato addirittura istituito un numero anti-gender”.
Sicuramente è fondamentale sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni, che meglio per esempio hanno risposto al linguaggio inclusivo: l’*, la ǝ, o la u finali. “All’inclusione, dato che stiamo parlando di linguaggio – corregge Eva Croce – preferisco il concetto di ampliamento linguistico-culturale. Capisco sia faticoso, ma tutto aiuta a decostruire il mondo patriarcale e binario. Alla semplificazione che storicamente conduce alle generalizzazioni e ai populismi preferisco la fatica, che ben rappresenta la complessità della situazione e l’attenzione che occorre per affrontarla”.