Il Messaggero, 23 settembre 2021
Amori e lotte di Sibilla Aleramo
«La mia fanciullezza fu libera e gagliarda Rivedo la bambina ch’io ero a sei, a dodici anni, ma come se l’avessi sognata Per tanto tempo, nell’epoca buia della mia vita, ho guardato a quella mia alba come a qualcosa di perfetto, come alla vera felicità Mio padre dimostrava sempre di preferirmi, e capivo il suo proposito di crescermi sempre migliore Era lui il luminoso esemplare per la mia piccola individualità, lui che mi rappresentava la bellezza della vita». Con queste parole Sibilla Aleramo apre il suo libro più celebre, Una Donna, del quale è stato scritto che data il romanzo femminista italiano e che rappresenta una pietra miliare nel dibattito sul tema. Mescolando il racconto biografico a quello sociale, la Aleramo si caratterizza come una voce intensa e solitaria, come intensi e solitari sono i temi che affronta, i personaggi che tratteggia, le parole che usa.
LA FAMIGLIA
Tutto, in ciò che scrive, è pervaso dal dolore, dalla solitudine, dall’amore, dalla passione. Che è passione di vivere e imparare, innanzitutto, mai disgiunta però dalla sofferenza, dal male di esistere. Al punto che tenterà il suicidio, come sua madre e la madre della protagonista di Una Donna. Marta Felicina (Rina) Faccio – prenderà poi lo pseudonimo di Sibilla Aleramo – nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876, figlia di un ingegnere (scienziato e ateo) e una casalinga, ma cresce a Milano. La figura paterna è centrale nella sua educazione, mentre assai più sbiadita è l’impronta materna, considerata troppo debole e passiva. Quando ha dodici anni, la famiglia si sposta a Civitanova Marche, dove il padre è stato chiamato a dirigere un’azienda; la stessa in cui lei poi lavora e dove incontra Ulderico Pietrangeli, che la violenta e a cui viene fatta sposare nel gennaio 1893. Un matrimonio riparatore, insomma.
La salute psichica della madre, intanto, si fa sempre più instabile, sino al ricovero in manicomio. Il matrimonio forzato la rende infelice, nonostante la nascita del figlio Walter; il solo modo per reggere è la scrittura. La giovane scrive articoli per vari giornali, fra cui Vita moderna, di taglio femminista, e Vita internazionale, socialista. Si lega a Giorgina e Aurelio Saffi, partecipa a manifestazioni per il diritto al voto alle donne, combatte per la causa. Trasferitasi a Milano con la famiglia, dirige il settimanale L’Italia femminile, si occupa dell’Unione femminile nazionale, inizia una relazione con il poeta Felice Damiani; poi lascia il marito e il figlio (con grande dolore, ma non può fare diversamente, viste le leggi del tempo) per andare a vivere a Roma, dove frequenta i salotti, intreccia conoscenze e amori.
LO PSEUDONIMO
Nel 1906 esce Una Donna, che racconta la sua storia personale e ha grande successo: è Giovanni Cena, il direttore della Nuova Antologia con cui lei ha una storia, che sceglie il suo pseudonimo, in riferimento alla terra d’Aleramo di cui Giosuè Carducci parla nell’ode Piemonte. Dopo un periodo nel movimento femminista Sibilla se ne allontana, reputandolo un’avventura da adolescenti. Numerose, sofferte, fugaci sono le sue storie: fra le altre, quelle con Vincenzo Cardarelli, Umberto Boccioni, Salvatore Quasimodo. Si lancia anche in anticonformiste relazioni con varie donne. Scoppia poi, durante la prima guerra mondiale, la passione con Dino Campana, che finisce molto male e che verrà portata sul grande schermo con il film Un viaggio chiamato amore. Nel frattempo l’attività di intellettuale della Aleramo continua a essere assai densa: fra l’altro scrive il romanzo Amo dunque sono, dedicato a Goffredo Parise, nonché Dal mio diario; ampia è anche la produzione poetica. Inizialmente molto critica verso il regime, tanto che firma su impulso di Giovanni Amendola il Manifesto degli intellettuali antifascisti, è costretta poi dalla sua difficile situazione economica a scendere a compromessi, accettando un sussidio e varie collaborazioni. Solo verso la fine, se ne distacca del tutto.
L’ANTICONFORMISMO
La sua vita affettiva è sempre molto convulsa, le relazioni sono spesso con uomini molto più giovani di lei, per cui è considerata una donna scandalosa, troppo libera e anticonformista. Dopo la seconda guerra mondiale si iscrive al partito comunista: comincia per lei un nuovo, forte impegno, che la porta anche a lavorare per l’Unità. Affascinata dal talento e dall’intelligenza, passionale, estrema, innamorata dell’amore, decisa ad abdicare a quello che era considerato il ruolo tipico della donna – ovvero moglie e madre – pur di essere libera da vincoli e catene, ha detto una volta: L’amore fu la ragione della mia esistenza e quella del mondo e ancora: Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito. Son stata amore.
Nella scrittura ha trovato un modo per sublimare questa passionalità e raccontare sé stessa, ma anche le donne della sua generazione. Temeraria, forte, in grado di sfidare le convenzioni, anticipatrice di tematiche che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento, infastidita dalle etichette, la grande scrittrice scompare infine a Roma nel gennaio 1960.