La Stampa, 23 settembre 2021
Un’altro articolo su Martha Gellhorn (raccontata dalla Gruber)
La nave ospedale si trova nel settore Dog Red, la battaglia di Normandia infuria e i cacciabombardieri sfrecciano veloci: la 36enne Martha Gellhorn indossa la divisa da crocerossina, aiuta a trasportare feriti e a somministrare le prime cure. E ogni tanto, di nascosto, prende un appunto su un taccuino. È approdata a bordo sotto mentite spoglie: l’ardimentosa e bellissima giornalista dalle gambe slanciate e capelli naturalmente méchati ha abbandonato suo marito, Ernest Hemingway, per documentare lo storico sbarco travestita da infermiera. Vietato, infatti, per le croniste di sesso femminile partecipare alla grandiosa operazione militare iniziata il 6 giugno 1944.L’autore di Per chi suona la campana (dedicato a Martha) è presente su un’altra imbarcazione: entrambi sono inviati dal famoso magazine statunitense Collier’s, ma lei con il suo reportage dal D-day finisce nelle ultime pagine, mentre lui ha l’onore della cover, anche se è molto meno preciso, attento e ricco di indicazioni. Adesso, a raccontarci la vita della più grande corrispondente di guerra di tutti i tempi, della «donna capace di trovarsi al posto giusto al momento giusto», è un’altra giornalista che di bombe, carri armati, agguati, raffiche di mitra e telefoni satellitari se ne intende: Lilli Gruber nel bel libro La guerra dentro. Martha Gellhorn e il dovere della verità (Rizzoli pp. 288, euro 19,00).Il complesso resoconto delle vicissitudini della Gellhorn, a volte veramente rocambolesco, è un originale dialogo tra la conduttrice di Otto e mezzo e la sua eroina: la vita di Martha è usata dalla Gruber anche come pretesto, o base d’appoggio, potremmo dire in gergo militaresco, per descrivere gloria e decadenza della fondamentale professione dei reporter che a partire dalla Guerra del Golfo ha cominciato a mutare radicalmente pelle. Un tipo di giornalismo che, per la Gruber, abbraccia tanto altro, l’economia, il potere, la vita dei più disagiati. Il libro è così un via vai tra l’esistenza di Martha e le memorie dei più importanti inviati, come Alberto Negri, come il marito della stessa Gruber, Jacques Charmelot, responsabile dell’Agence France Presse in Iran, Libano, Bosnia e Iraq, o come il celebre Jonathan Randal del New York Times e del Washington Post.Tornando a Martha, è il 1943 quando si separa da Ernest, così difficile da gestire con le sue depressioni, le ubriacature, il dongiovannismo e le défaillances sotto le lenzuola. Martha, che si definiva «un registratore che cammina», approderà in Italia dopo lo sbarco alleato in Sicilia. Irrequieta, indipendente e sprezzante del pericolo, fiduciosa nella libertà femminile, era consapevole della difficoltà di trovarsi in un mondo tutto maschile. «Le donne hanno paura di parlare, conoscono perfettamente l’autoreferenzialità dei maschi e temono di perdere la loro attenzione, se osano presentare le loro vite come autonome e importanti», rifletteva. Nel 1939 era stata in Finlandia (dove secondo Indro Montanelli si sarebbe abbandonata tra le sue braccia), poi a Hong Kong, Birmania, Singapore, e aveva viaggiato per terra e sui fiumi tra stenti e malattie.Altrettanto ricca di sorprese è la sua vita sentimentale. Giovanissima, aveva avuto una grande passione: l’economista e politico Bertrand de Jouvenel, che appena sedicenne era stato iniziato all’eros dalla moglie del padre, la scrittrice Colette. Dopo aver divorziato dal robusto e barbuto Ernest, che aveva seguito in Spagna per scrivere del conflitto tra lealisti e repubblicani, alla fine della Seconda guerra mondiale Martha aveva incontrato a Reims James Gavin, generale attraente e carismatico con cui conobbe il vero amore e realizzò che «i corpi sono qualcosa di fantastico». Quando si ritrovarono a Berlino, però, ne scoprì i tradimenti. Addirittura con Marlene Dietrich. «Non potrei essere una buona moglie per un militare…», lo avvertì salendo sul treno.Martha, comunque, da vera corrispondente di guerra è riuscita a essere sempre là dove si fa la Storia: a Roma scrive di una grande fossa comune, in cui secondo i testimoni è avvenuto un terribile massacro. Sono le Fosse Ardeatine. Ed è tra i primi a entrare a Dachau dove, di fronte alle montagne dei cadaveri ancora da cremare, capisce che la sua visione del mondo non sarà mai più la stessa. Seguirà, sempre come giornalista, il processo di Norimberga e successivamente documenterà in maniera molto critica nei confronti della sua nazione la guerra del Vietnam. «Forse perché sono una donna non riesco a non vedere la storia dal punto di vista della gente comune», rivelala Gellhorn che a 89 anni, malata e quasi completamente cieca, mise fine alla sua vita ingerendo del veleno in pillole. Aveva sempre nutrito una particolare empatia per le donne, i poveri, i bambini e i dimenticati, scrive Lilli Gruber. Oggi la professione del corrispondente è cambiata ma, come dimostra il recente caso dell’Afghanistan, sono sempre gli ultimi e tra loro ancora e sempre le donne, a cui Martha ha saputo dar voce, a pagare i conflitti militari ed economici. —