La Stampa, la Repubblica, 23 settembre 2021
Interviste al fisico Giorgio Parisi
Gabriele Beccaria per La Stampa
Professore, ora lei fa parte dell’élite dell’élite. Si può dire così? Giorgio Parisi sospira e tace per un lungo momento: «Elite? Qualcosa del genere. Se ci si basa su certi criteri…».
Se ci si vuole fare un’idea, ecco due numeri: 380 e 52 milioni. Il primo numero, 380, è l’élite, appunto. I 380 scienziati più influenti al mondo (molti Premi Nobel), nel cui gruppo il celebre fisico, professore a La Sapienza e accademico dei Lincei, è appena stato accolto. Il secondo numero, 52 milioni, si riferisce agli articoli scientifici che Clarivate Citation Laureates – istituzione internazionale specializzata in analisi a largo raggio – ha processato per identificare quelli che, come stelle, diffondono luce ed energia a grandissime distanze: si tratta di una frazione, appena 6500, perché sono stati citati almeno 2 mila volte, a dimostrazione della loro importanza. Non solo nella comunità dei ricercatori, ma per le tante applicazioni nella società.
«Alla base c’è sempre la curiosità», osserva Parisi, che per il 2021 è stato prescelto con altri 15 studiosi: fisici e non soltanto. Specialisti di medicina, chimica ed economia. Da Francia, Corea, Singapore, Giappone e Usa. Al centro ci sono le sue indagini in specialità che suonano esotiche ai non addetti ai lavori: cromodinamica quantistica e sistemi disordinati complessi. La prima descrive una delle quattro interazioni fondamentali tra le particelle e i secondi gli elementi che interagiscono tra loro in modo non uniforme. E tuttavia, per quanto esotiche, queste discipline estendono i loro effetti a tantissime realtà: dal funzionamento dei computer ai processi evolutivi degli organismi, dalle reti neurali ai trend economici.
Lei si è avventurato in tanti campi: nei supercalcoli e anche nelle armonie degli stormi di uccelli. Che tipo di scienziato si definisce?
«Non so se si tratti di versatilità. Di sicuro, quando si è arrivati in un certo campo e si è dato quello che si poteva dare, allora si vuole provare qualcosa di diverso».
Lei è diventato noto tra il grande pubblico per aver studiato anche le trasformazioni della pandemia.
«È una cosa dovuta. Eravamo tutti nei guai e volevo capire».
A che punto siamo, secondo lei?
«A me preoccupa il Terzo Mondo, che non è vaccinato. Ci sono 2 miliardi di persone che stanno aspettando di avere il vaccino. E, quindi, in quelle nazioni la probabilità dell’emergere di nuove varianti del virus è notevolissima. Tutto il mondo è nella stessa barca».
Quanto è preoccupato?
«Trovo inconcepibile che non si trovino 12 miliardi di dollari per vaccinare quei 2 miliardi di persone. Questa cifra, 12 miliardi, è una sciocchezza».
Come spiega l’egoismo dell’Occidente?
«Per le vaccinazioni nei Paesi a economia cosiddetta limitata sono stati previsti 18 miliardi, ma ne sono stati stanziati solo quattro. La questione, in realtà, è banale: la capacità produttiva, oggi, c’è, a differenza di un anno fa. Ma solo il 40% della popolazione mondiale è stato vaccinato, sebbene si prevedesse di arrivare al 70% a fine anno. Ma quei Paesi poveri non hanno soldi né attrezzature: hanno bisogno di aiuto».
Se non agiamo in fretta che cosa accadrà?
«Rischiamo che si sviluppino nuove varianti che non saranno coperte dai vaccini».
Gli scienziati devono farsi capire meglio dalle opinioni pubbliche?
«Nella situazione attuale lo scienziato deve avere una posizione pubblica. È importante che venga difeso il ruolo della scienza in tutte le decisioni che coinvolgono problemi scientifici. Si rincorrono troppe false notizie ed è compito dell’accademia evitarne la diffusione».
Ma no-vax e no-green pass imperversano.
«Il problema è più serio negli Usa che in Italia. Noi siamo in una situazione che non saprei se definire di mezzo bicchiere pieno o mezzo bicchiere vuoto. In Italia il numero di vaccinati è elevato e tra l’80 e l’83% della popolazione ha ricevuto almeno la prima dose. È una cifra notevole. Il problema è nella fascia tra 50 e 60 anni, in cui manca un 15% di vaccinati».
Qual è la ricetta per convincere chi esita e chi ha paura?
«Dobbiamo spiegare la situazione e portare degli esempi: abbiamo, prima di tutto, ridotto moltissimo la mortalità. E con la terza dose la ridurremo ancora. Questo dato dovrebbe convincere tanti tra coloro che esitano».
Lei è un ricercatore ed è stato anche presidente dell’Accademia dei Lincei: c’è un segreto per far innamorare i giovani della scienza?
«Delle materie Stem – “science, technology, engineering and mathematics” – ci si innamora al liceo. O, in realtà, anche prima».
Quando esattamente?
«Ne abbiamo discusso in Accademia, immaginando dei programmi già per l’asilo, come si fa in Gran Bretagna».
Come funzionano?
«Si fanno tanti piccoli test, per esempio con la sabbia. Servono per verificare certe situazioni, per imparare a impegnarsi, per risolvere piccoli problemi pratici. È la scuola, nel suo insieme, a essere fondamentale. Ecco perché bisogna formare bravi insegnanti, ma non è facile».
Come si può fare?
«All’Accademia dei Lincei organizziamo corsi proprio per loro, per preparare gli insegnanti di scienze». —
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Elena Dusi per la Repubblica