Corriere della Sera, 22 settembre 2021
Intervista a Stefano Mancuso (riceve lettere minatorie degli estremisti per la sua teoria sulla sensibilità delle piante)
Professor Stefano Mancuso, ma che cosa è successo?
«Guardi, detto in sintesi: ormai è diventato difficile dire qualunque cosa».
Lei, lo scienziato che ha insegnato a tutto il mondo la sensibilità delle piante, come ha scritto «Il Foglio» viene attaccato da oltranzisti vicini alle posizioni vegane?
«È successo qualche tempo fa. Io non sono sui social, ma ho cominciato a ricevere email strane, dove mi si chiedeva bruscamente: “Ma chi glielo ha detto a lei che le piante percepiscono l’ambiente che le circonda?”».
Magari decenni di studio e di ricerca.
«Macché. Sono certo che chi mi attacca non ha mai letto i miei libri. In ogni caso, alle email sono seguite lettere vere e proprie, vecchio stile, scritte a macchina».
Intimidatorie?
«In un certo senso. In pratica, gli estremisti che mi attaccavano sostenevano che le mie teorie fossero un complotto finanziato dalle grandi aziende di allevamento e dai produttori di carne per smontare le tesi vegane e vegetariane. Assurdo».
Dunque (secondo loro) lei, sostenendo che le piante hanno una forma di coscienza, implicitamente ammette che queste non si possono mangiare. Però chi è vegetariano o vegano mangia solo le piante. Quindi lei avrebbe complottato contro di loro. Curiosità: ha risposto?
«Guardi, vorrei rispondere qui e provo a farlo seriamente. Io non ho mai detto che le piante non si debbono mangiare, anzi. Noi siamo animali, e siamo onnivori. Qualcosa dobbiamo pur mangiare. E, a parità, fa meno danni mangiare una pianta che mangiare un animale».
Perché è più sostenibile?
«Esatto. Se mangio un chilo di carne, quell’animale avrà dovuto, a sua volta, divorare molti dei suoi simili per nutrirsi. Nelle piante è diverso: loro si sono evolute per essere predate, dunque non soltanto si possono mangiare ma addirittura ci sono dei casi in cui si stabilisce una relazione con chi le divora».
Un esempio?
«Se un animale mangia un frutto, poi restituirà alla terra i semi di quel frutto. Per non parlare poi delle specie vegetali che si sono lasciate addomesticare. Quando pronunciamo questa parola pensiamo subito agli animali, ma vale anche per le piante. Come il riso, l’orzo, il mais: c’è un vantaggio per loro che si fanno coltivare e c’è un vantaggio per noi che le coltiviamo».
In qualche lettore, a questo punto, potrebbe però rimanere un dubbio: nei suoi libri, compreso l’ultimo «La pianta del mondo» (Laterza), lei insiste sulla qualità quasi «umana» delle piante. Sulla loro sensibilità. E come si fa allora a mangiarle?
«Mettiamola così: a loro non piace essere mangiate, ma si sono evolute in un modo che prevede anche questo e così facendo si fanno meno danni al pianeta rispetto alle abitudini carnivore».
Oltre alle lettere e alle email, lei ha ricevuto anche contestazioni dal vivo?
«Una volta stavo tenendo una conferenza nell’Ohio. Un gruppo di persone molto aggressive ha sostenuto la tesi del complotto. Ho risposto con una risata e non hanno gradito. Pazienza. Per fortuna la stragrande maggioranza dei vegetariani legge i miei libri. E c’è un altro punto».
Prego.
«Se io mangio un pezzo di polmone di un animale, ovviamente gli faccio del male. Con le piante è diverso: in alcuni casi posso mangiarne buona parte senza nuocere».
E che cosa pensa degli Ogm, gli organismi geneticamente modificati?
«Non ne penso bene ma non perché facciano male a chi se ne nutre, la mia è una posizione etica: il genoma degli esseri viventi non dev’essere modificato, a mio avviso».
Lei è vegetariano?
«No, ma mangio carne poche volte all’anno».