Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2021
La Cina è allergica ai fallimenti corporate
In principio fu Chaori, una piccola società di Shanghai attiva nel settore dell’energia solare che il 7 marzo 2014 gettò la spugna perchè non riusciva a pagare 14 milioni di dollari di interessi in scadenza su un’emissione di bond da 164 milioni.
Piccola, ma solo per gli standard cinesi, Chaori fu lasciata fallire ed era la prima volta che un fatto simile si verificava tra la meraviglia degli operatori finanziari.
Per la Cina, allergica ai fallimenti corporate, quello era un punto di svolta psicologico, prima ancora che economico. Fino a quel momento l’opportunità del default corporate che di norma è affidato alle dinamiche di mercato, era stata negata, quasi che per le società private cinesi dovesse sempre e comunque valere il principio del salvataggio obbligato valido per le State owned enterprises, le società pubbliche tenute in piedi anche se ridotte a zombie.
Il fallimento di Chaori Solar Energy rimase isolato, il sistema cinese ha continuato a voler tenere insieme economia e finanza e un fallimento fa rumore, implica posti di lavoro in fumo, disordine sociale, malcontento diffuso, sfiducia nelle istituzioni. Meglio ripianare il debito, qualsiasi debito, e così le autorità centrali hanno permesso all’economia di tirare avanti. Comunque.
Per questa ragione desta curiosità il caso Evergrande e ciò che potrà succedere nelle prossime ore davanti a un debito da 84 milioni di interessi da onorare entro giovedì prossimo, 23 settembre.
La fase della ripresa dal Covid, infatti, è stata per Pechino un’occasione per smontare dall’interno i possibili rischi sistemici elaborando un piano per consentire fallimenti controllati.
Non a caso nel novembre scorso un episodio ha fatto pensare che le cose stessero cambiando per davvero. Con un avviso sul sito web l’autorità di controllo sul sistema bancario cinese, la China Banking and Insurance Regulatory Commission (CBIRC) ha concesso l’approvazione alla banca regionale Baoshang Bank, con sede nella Mongolia Interna e di proprietà all’89% della conglomerata privata Tomorrow Holding Co.Ltd., per l’avvio della procedura fallimentare in quella che è stata, nei fatti, la prima bancarotta bancaria della storia della Cina contemporanea.
In altri termini la CBIRC ha concordato “in linea di principio” che Baoshang Bank potesse dichiarare fallimento. La dichiarazione, datata 12 novembre, era stata pubblicata in tempo sull’acquisizione pianificata della banca in crisi.
Niente salvataggio, invece. Pechino cambiò rotta in corsa e per giunta lo fece con una banca, aprendo le porte al fallimento di un istituto ormai azzoppato da un debito da 32 miliardi di dollari sul quale il National Interbank Funding Center (NIFC) aveva da tempo lanciato l’allarme.
Si parlò di una nuova svolta sui fallimenti e nei fatti partì una campagna per individuare innanzitutto le banche troppo grandi per fallire. Sembrò l’inizio di un’altra era, quella aperta dal China financial stability report della Banca Centrale cinese che indicava la strada dei default controllati con salvataggi «effettuati in modo sistematico e orientato al mercato».
Vedremo con Evergrande se “chi merita di soccombere non sarà più aiutato” e se la linea dura, che nei fatti richiede fermezza, continuità e capacità di assorbire i contraccolpi, prevarrà oppure no. Ovviamente Evergrande non è Chaori, lasciarla fallire è, forse, l’ultima cosa da fare.