il Fatto Quotidiano, 21 settembre 2021
Cosa resta dopo 10 anni Occupy Wall Street
Financial Times
È il 24 settembre 2011, a New York è mezzogiorno. Un giovane nero di nome Robert Stephens si butta in ginocchio in mezzo alla strada, davanti alla sede della Chase Bank in Liberty Street. Ha una felpa bianca e occhiali con la montatura nera. Indicando l’edificio della Chase grida: “Quella è la banca che si è presa la casa dei miei genitori”.
Come molti, dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 la famiglia di Stephens aveva perso la casa per colpa di una banca. Mentre lui continua a gridare dal marciapiede, gli agenti di polizia lo circondano. Urla e piange: “non mi muovo. Non starò zitto!”.
Quella mattina Stephens si era unito al corteo partito dall’accampamento di Occupy Wall Street, nato una settimana prima a Zuccotti Park, non lontano dalla Borsa di New York. Per strada i manifestanti intonavano slogan come “Loro sono stati salvati, noi siamo stati venduti”.
La protesta emotiva di Stephens viene ripresa da Marisa Holmes, attivista e film-maker che è stata parte della pianificazione di Occupy Wall Street. Holmes filma anche mentre la polizia si avventa sul ragazzo e il trambusto che segue. Viene arrestata insieme a lui, ma prima riesce a tirare la sua telecamera in mezzo alla folla.
Nel video di quella mattina, che Holmes ha poi incluso nel film All Day All Week: An Occupy Wall Street Story (2016), si vede l’obiettivo sobbalzare violentemente per alcuni secondi e si ha l’impressione che stia per schiantarsi sul cemento. Invece poi si stabilizza e torna a inquadrare sul volto di una giovane donna dalla pelle chiara e dai capelli scuri. “Come ti chiami?”, grida qualcuno. “Mi chiamo Marisa Holmes”, risponde lei, scandendo la sua data di nascita. Poi la polizia la trascina via.
Quel sabato la polizia arresterà 80 persone. Fino a quel momento i media avevano prestato poca o nessuna attenzione a Occupy Wall Street, ma dopo l’azione di polizia era diventato impossibile ignorarli. Così, per esempio, un video di due donne che vengono spruzzate senza motivo con spray al peperoncino da un poliziotto finisce nel Daily show di Jon Stewart.
Il filmato dell’arresto di Holmes farà 300 mila visualizzazioni online in poche ore, anche se la protagonista, chiusa in una cella affollata con un bagno senza scarico, lo scoprirà solo il giorno dopo.
Nelle settimane successive, sotto gli occhi dell’America, Occupy ha continuato a crescere, passando dalle iniziali 40 persone del 17 settembre a 4 mila partecipanti regolari. Dopo la pandemia, le aspirazioni di quel movimento sembrano forse più difficili da capire, ma per inquadrarlo dobbiamo tenere a mente che la crisi del 2007-2008 era considerata il più grave disastro finanziario dopo la Grande depressione.
Innescata da prestiti immobiliari predatori e dall’eccessiva esposizione delle istituzioni finanziarie, la crisi dei mutui subprime negli Usa ha provocato un’ondata di crisi del debito pubblico dalla Grecia all’Islanda, fallimenti bancari di alto profilo, fallimenti di aziende, licenziamenti di massa e pignoramenti di milioni di case. Nel giugno 2009, la Federal Reserve degli Stati Uniti calcolava che il patrimonio netto delle famiglie in America era sceso di circa 14 miliardi di dollari in due anni. Eppure ben poco è stato fatto per consegnare alla giustizia i colpevoli di quel disastro.
La sensazione diffusa, in quell’autunno del 2011, era che Occupy stesse sviluppando una rivoluzione paragonabile alle primavere arabe. “All’epoca ci credevamo davvero. Ci sentivamo parte di un momento storico con un potenziale rivoluzionario”, racconta oggi Holmes lasciandosi scappare una risata.
Non c’era solo Wall Street. Il movimento Occupy si in poco tempo si è diffuso nelle principali città degli Stati Uniti e del mondo, da Londra all’Australia, da Roma alla Nigeria. Era un movimento senza leader e sembrava l’esperimento di una nuova forma di democrazia partecipativa. È sorprendente quanto la sua ascesa vertiginosa abbia colto di sorpresa l’establishment.
Oggi il senso comune dice che è stato un fallimento. Una nota a piè di pagina della Storia, che sarà ricordata solo per lo slogan “Noi siamo il 99 per cento”. Inoltre, soprattutto negli Stati Uniti, verso la fine della presidenza Obama l’energia delle masse ha finito per indirizzarsi sul fronte politico opposto, sfociando nell’elezione di Donanld Trump. Ma guardando più da vicino il movimento, in realtà si vede che la rabbia profonda che esprimeva risuona ancora oggi. Perciò, a 10 anni dalla sua nascita, la domanda farsi è se Occupy ha cambiato definitivamente il paradigma della protesta.
Le origini
L’idea di Occupy Wall Street nasce a Vancouver, in Canada, in un ufficio di una rivista anti-consumista chiamata Adbusters e fondata nel 1989 da un emigrato estone di nome Kalle Lasn. Adbusters è specializzata nella cosiddetta “culture-jamming”, ovvero l’attività di copiare e stravolgere le campagne pubblicitarie famose per promuovere ideali radicali di sinistra. Per anni Lasn e il suo team di Adbusters avevano cercato per anni di creare una campagna accattivante per ispirare un nuovo movimento sociale contro il capitalismo delle multinazionali.
Lasn all’epoca aveva 69 anni e aveva lavorato nel marketing e nella pubblicità in Giappone prima di trasferirsi in Canada nel 1970. Racconta che sono state le proteste di Parigi del 1968 a politicizzarlo veramente.
Lui e il suo gruppo conoscevano le potenzialità dei social media: “Pensavamo che se in Egitto questo strumento rivoluzionario dello smartphone aveva fatto cadere uno come Mubarak, allora sicuramente anche noi potevamo usarlo per avanzare richieste e dare una bella scossa all’establishment”, racconta oggi Lasn al Financial Times.
Oltre alle proteste del Cairo, a ispirarlo era stato il movimento spagnolo anti-austerità del 15-M. Anzi, in qualche modo il 15-M è stato il vero inizio del movimento Occupy. Quell’anno in Spagna erano scesero in piazza circa otto milioni di persone. A molti sembrò l’inizio di una rivoluzione. Più tardi una parte di quei militanti avrebbe dato vita al di sinistra anti-austerità di Podemos. I manifestanti spagnoli si facevano chiamare “indignados” e per tutta l’estate del 2011 i sondaggi dicevano che oltre l’80% dell’opinione pubblica del Paese sosteneva le richieste del movimento.
Dall’altra parte dell’Atlantico, in California, Micah White, dipendente di Adbusters, guardava i video delle proteste su internet e si domandava se l’America potesse essere la prossima: “All’improvviso sembrava che la rivoluzione fosse possibile nel mondo”.
Il concetto elaborato da Lasn, White e dal resto del team di Adbusters fondeva il modello di piazza Tahrir (riunirsi in un luogo di importanza simbolica per fare una richiesta specifica) con quello delle assemblee generali degli indignados spagnoli, dove i contenuti delle richieste sarebbero dovute emergere spontaneamente.
La chiave era trovare un meme incendiario, un’immagine o uno slogan per attirare la gente. Così è nato l’hashtag #OCCUPYWALLSTREET, il 4 luglio 2011. All’inizio è viene postato su Reddit e su forum politici e siti web di attivisti legati al movimento Anonymous. Contemporaneamente nasce su Twitter l’account @OccupyWallStNYC.
Il numero di quel mese di Adbusters regalava in allegato un poster che raffigurante la scultura Charging Bull davanti a Wall Street, con una ballerina in equilibrio sulla schiena del toro e dietro un gruppo di manifestanti che emergeva da una nebbia di gas lacrimogeni. Sotto, una scritta in rosso: “Qual è la nostra unica richiesta?”, poi l’hashtag Occupy Wall Street e l’invito “Porta una tenda”. La data del 17 settembre è stata scelta perché era il compleanno della madre di Lasn. Oltre ad essere stampato in circa 40 mila copie della tiratura di Adbusters, l’appello per Occupy viene inviato a circa 90 mila indirizzi di posta elettronica.
Una ventiseienne anarchica e programmatrice di computer chiamata Justine Tunney legge di Occupy sul suo feed RSS e il giorno dopo registra il dominio OccupyWallSt.org. Sarebbe diventato il sito web de facto del movimento. Nelle settimane seguenti, Adbusters inizia a ricevere 10 volte più email del solito. “Sembrava avessimo toccato una specie di nervo scoperto”, riassume oggi Lasn.
Lo svolgimento
La reazione dei newyorkesi all’appello “inizialmente è stata sprezzante”, ricorda la regista-attivista Holmes. Chi erano questi ragazzi che da Vancouver, a migliaia di chilometri di distanza, volevano convincere la gente a combattere la loro guerra? Poi, però, il 2 agosto un gruppo di persone tra cui David Graeber, influente antropologo anarchico e attivista di New York, si riuniscono al parco Bowling Green, davanti alla famosa statua del Charging Bull, per discutere di Occupy.
Quella sera, Graeber manda un’email a White, chiedendo notizie su come era iniziata la campagna Occupy Wall Street. White gli spiega la storia come meglio può, e sottolinea che Adbusters non intendeva esercitare alcun controllo sul movimento. “Noi siamo stati la scintilla, ma è stato Graeber a scatenare l’incendio”, racconta oggi al FT.
Anche New York era pronta. Qualche tempo prima “Bloombergville”, una manifestazione contro i tagli al bilancio del settore pubblico dell’allora sindaco, aveva già portato decine di persone accampate fuori dalla City Hall, pochi isolati a nord di Wall Street. Si guardava alle occupazioni studentesche nel Regno Unito contro il governo e gli aumenti delle tasse universitarie. La crisi economica aveva lasciato una scia di rabbia e frustrazione. Obama era stato eletto tra grandi speranze ma aveva fatto poco per affrontare le banche. Milioni di persone continuavano a perdere la casa e la disoccupazione era alle stelle.
Nelle sei settimane seguenti, l’Assemblea Generale di New York City (NYCGA) formata da Graeber, Holmes e altri si incontra con diversi altri gruppi e pianifica la nascita di Occupy. Sono invitati attivisti di precedenti movimenti di protesta (contro il nucleare, contro la guerra). Anche Anonymous si unisce alle sessioni di pianificazione, cercando di spostarsi offline. È in una di queste riunioni che Graeber e altri coniano lo slogan: “Noi siamo il 99 per cento”.
Una settimana prima dell’inizio di Occupy Wall Street, White consegna il controllo dell’account Twitter @OccupyWallStNYC a Holmes, che diventa un membro fondamentale del cosiddetto “team di facilitazione” del movimento. Da 6 mila follower, l’account sarebbe passato a decine di migliaia in poche settimane.
L’impatto
Il 17 settembre, alcune decine di manifestanti si incontrano al Bowling Green Park di New York City e circondano il Charging Bull. La scultura del toro era stata barricata, file di poliziotti bloccano l’accesso a Wall Street. Seguendo le mappe che distribuite, i manifestanti si dirigono verso Zuccotti Park.
Entro sera sono più di mille. Il team di facilitazione decide di tenere un’assemblea generale. Usando un megafono Holmes dice alla folla che devono decidere insieme cosa fare. Le persone erano riunite in un enorme cerchio intorno all’oratore centrale, ma Graeber e altri notano che in questo modo l’oratore con il megafono era costretto a dare sempre le spalle a una parte della folla. Così inventano una delle innovazioni di Occupy: il “microfono popolare”. Invece di usare un megafono, l’oratore e le persone al centro della folla prima urlavano la frase “mic check!” (“prova microfono”) per farsi notare, poi facevano ripetere alla folla ogni battuta, in modo che tutti potessero sentire. Holmes e gli altri credevano che la natura partecipativa di questo sistema aiutasse a generare un sentimento di comunità che spingesse le persone a rimanere in piazza.
La mattina dopo, gli occupanti marciano su Wall Street in tempo per il suono della campana di apertura della borsa. All’inizio nessuno li prende sul serio, ma cominciano ad andare lì ogni giorno, tutti i giorni. A Zuccotti Park, dove gli occupanti hanno organizzato una “cucina popolare”, a dormire accampati ogni notte sono poche decine di persone, per tenere lo spazio, ma di giorno il parco si riempie di folla.
Internet aiuta. Durante la prima settimana, mentre i media ignorano il movimento, gli occupanti trasmettono tutto in live streaming sui social. Poi gli arresti trasformano il movimento in un caso mediatico. Una settimana dopo i primi arresti, il 24 settembre, gli occupanti catturano di nuovo l’attenzione della stampa con una marcia sul ponte di Brooklyn.
Occupy cresce ben oltre il nucleo dei suoi organizzatori anarchici e riunisce sindacati e attivisti della sinistra tradizionale. Alcuni democratici cominciarono persino a intervenire, volendo portare gli occupanti nell’ala progressista del partito. Anche l’allora procuratore Bill de Blasio si presenta a Zuccotti Park per lodare Occupy.
Ma la maggior parte degli occupanti non credeva nella politica elettorale tradizionale. Lo scopo di Occupy Wall Street era di costruire qualcosa di diverso. E dopo aver raggiunto l’impresa di tenere la piazza per un mese, la questione era cosa fare dopo. Dalla lontana Vancouver Adbusters suggerisce alcune ipotesi, ma viene educatamente respinta.
Invece degli appelli, gli occupanti volevano un’azione diretta. “Non avevamo richieste, ma avevamo una visione”, spiega Holmes. Era una visione di democrazia diretta, partecipazione di massa e processo decisionale orizzontale, innegabilmente anarchica, ma capace di attrarre la gente comune. Non era un sistema perfetto. Lo stesso White sostiene che il comitato di facilitazione aveva “un potere schiacciante” nelle assemblee, e Graeber è stato dipinto come il leader de facto di Occupy Wall Street. Holmes non è d’accordo: “Penso che la cosa più importante che David ha fatto è stato il ponte con i movimenti precedenti”.
Facendo eco ai manifestanti di piazza Tahrir, gli occupanti rinominano Zuccotti Park “Liberty Plaza”. Proprio come nel caso di Tahrir, quello era il suo nome originale (John Zuccotti era il presidente di Brookfield e la piazza aveva preso il suo nome solo nel 2006). E gli occupanti erano convinti che qualcosa come la primavera araba potesse davvero accadere negli Stati Uniti.
Intanto in Spagna gli indignados non si arrendono dopo la prima estate di manifestazioni di massa. Convocano una giornata d’azione globale per il 15 ottobre a cui rispondono migliaia di attivisti in diversi Paesi del mondo. Occupy Wall Street sfila in massa a Times Square. A Roma, una grande manifestazione sfocia in violenti scontri con la polizia a Piazza del popolo. A Hong Kong i manifestanti si accampano sotto la sede della HSBC. Il 15 ottobre nasce Occupy London.
Dopo un mese, l’occupazione a Zuccotti Park / Liberty Plaza si è stabilizzata. Nascono anche i primi problemi. L’accampamento comincia a popolarsi di senzatetto: alcuni attivisti ammetteranno di non essere stati pronti a quell’evento. Poi arrivano i disturbatori: un problema perenne, ma come escludere un disturbatore da un’assemblea basata sulla collegialità?
I partecipanti regolari erano migliaia e i gruppi di lavoro più di cento, il che rendeva anche più difficile tenere traccia delle decisioni prese. Inoltre, l’Assemblea Generale di New York City aveva ricevuto 1 milione di dollari in donazioni, mentre altri gruppi avevano ricevuto molto poco e questo aveva provocato tensioni interne. In una riunione ripresa nel film di Holmes un attivista si lamenta che “il denaro sta facendo a pezzi il movimento”.
La fine
All’inizio di novembre 2011 le attività di Occupy Wall Street rallentano. La maggior parte degli occupanti che erano stati lì fin dall’inizio erano esausti. Le assemblee generali erano ormai così grandi che il decantato microfono popolare era diventato un meccanismo insostenibile.
Poi, dopo due mesi di piazze in tutti gli Stati Uniti, Occupy finisce sotto la scure delle autorità. In un’azione coordinata tra Wall Street, Homeland Security, FBI e polizia locale vengono sgomberate centinaia di occupazioni in tutto il Paese. Il 15 novembre la polizia inizia lo sgombero di Zuccotti Park, chiunque fa resistenza viene arrestato.
Proprio quel giorno Adbusters aveva il suo ultimo briefing tattico via mail, in cui chiedeva a Occupy di organizzare una festa a metà dicembre, dichiarare vittoria perché il movimento si era esteso a livello globale e poi lasciare gli accampamenti. Alla notizia dello sgombero, Lasn ricorda di aver pensato sul momento che il giro di vite avrebbe alimentato una nuova fase di azione.
Si sbagliava. Gli occupanti tornano a Zuccotti Park il giorno dopo lo sgombero, ma le tende non erano più permesse. Un paio di giorni dopo cercano di chiudere la Borsa di New York, ma vengono bloccati. Si fa un sit-in di protesta al ponte di Brooklyn e scoppiano tafferugli con la polizia a Zuccotti Park, con i manifestanti che provano a riprendere la piazza. Ma i tentativi falliscono e il movimento lentamente svanisce.
“Era ovvio che avevamo perso”, racconta in seguito Micah White nel suo libro del 2016 The End of Protest. “I banchieri non sarebbero stati arrestati e il denaro avrebbe continuato a dominare la democrazia. Il momento decisivo era passato”.
Una settimana dopo lo sgombero di Zuccotti Park, il presidente Obama sta tenendo un discorso in una scuola del New Hampshire quando viene interrotto dal grido “Mic check!”. I militanti si erano infiltrati nell’evento e usavano la tecnica del microfono popolare per chiedere al presidente di porre fine alla repressione di Occupy. Verranno allontanati dalla folla, e riprendendo il discorso Obama riconoscerà il “profondo senso di frustrazione” degli americani in difficoltà. Poi riprenderà a leggere dal suo foglio.
La tattica di trattare le occupazioni come un problema di salute e sicurezza pubblica e sgomberare i manifestanti pacifici con la forza sarebbe stata impiegata innumerevoli altre volte in tutto il mondo. Negli Stati Uniti sono stati arrestati più di 7 mila membri di Occupy e molti hanno subito violenza dalla polizia.
Nel giro di una settimana Occupy scompare quasi ovunque nel globo. L’unica a resistere è Occupy London, che dura tutto l’inverno. Come era successo a Zuccotti Park, le autorità britanniche sostengono che lo spazio fuori dalla cattedrale di St Paul doveva essere sgomberato per motivi igienici, ma diversi ecclesiastici e il cancelliere della cattedrale si oppongono. Lo sgombero avverrà nel febbraio 2012, quando la City of London Corporation vincerà una causa contro Occupy London.
Micah White ha lasciato Adbusters nel 2013 e oggi pensa che Occupy sia stato “un fallimento costruttivo”. Nel suo libro, sostiene che le proteste di massa non sono più uno strumento efficace per portare il cambiamento.
White pensa che Occupy avrebbe dovuto lasciare spontaneamente la piazza per poi tornarci in un secondo momento, invece di cercare di sopportare sia l’inverno gelido di New York e la sua polizia. “Gli occupanti deliravano”, dice al Financial Times. “Era come se vivessero in una terra di fantasia. Il modello di accampamento non rappresenta effettivamente la sovranità sul governo, anche se temporaneamente istituisce una forma migliore di democrazia. È stato un buon esperimento, ma si è rivelato un vicolo cieco”.
L’eredità
Eppure Occupy ha lasciato un’eredità potente nella politica della protesta, anche se non sempre visibile. Molti militanti di quel movimento si sono divisi in una miriade di gruppi, soprattutto intorno all’attivismo per il clima. Molti pensano che il movimento abbia contribuito a spingere il senatore indipendente socialista Bernie Sanders a correre per presidenza degli Stati Uniti nel 2016.
Quell’anno, del resto, durante le primarie democratiche la disuguaglianza era uno dei principali elementi di discussione. Persino il candidato conservatore dei Repubblicani Ted Cruz diceva che “è dal 1928 che l’1 per cento non guadagna una quota così grande rispetto al reddito nazionale”, mentre Marco Rubio, altro repubblicano, proponeva sussidi per chi guadagna poco. I democratici di Biden stanno ora cercando di far passare una legge che riformi il finanziamento delle campagne: era “l’unica richiesta” che Adbusters aveva fatto ad Occupy.
Una rappresentante di Occupy Londra, Tina Rothery, oggi è in lizza per diventare leader del partito dei Verdi. Perfino l’ex primo ministro britannico David Cameron parlava di “capitalismo clientelare”. E lo slogan “Noi siamo il 99%” è stato sposato prima dal movimento di Bernie Sanders, e poi da alcuni adoratori di Donald Trump membri del movimento QAnon.
Oggi si sente spesso dire che Occupy ha fallito perché non avanzava richieste precise né aveva una struttura chiara. Ma forse questo giudizio si basa su standard politici di un’altra epoca: quelli per cui i lavoratori entravano in sciopero per chiedere migliori condizioni, che poi ottenevano o meno. Attivisti come Graeber e Holmes, invece, hanno affermato che, anche se imperfetto e non in grado di durare nel tempo, il movimento senza leader di Occupy aveva le potenzialità per incarnare il cambiamento di cui il mondo aveva bisogno. “Insieme volevamo costruire un nuovo mondo. E per un po’ di tempo l’abbiamo fatto”, dice la voce fuoricampo di Holmes nel suo documentario.
Il decennio che è seguito a Occupy è stato segnato da manifestazioni di massa di ogni tipo. Scioperi globali del clima, il movimento Black Lives Matter, marce in difesa dei diritti delle donne. Le proteste pro-democrazia in tutto il mondo hanno colto di sorpresa le élite al potere: a Hong Kong i manifestanti hanno sfidato lo Stato repressivo più potente del mondo. Ma abbiamo assistito anche a manifestazioni organizzate dall’estrema destra, alimentate dal risentimento e dalla paranoia. Il 6 gennaio scorso un movimento del genere ha assaltato la sede della più potente democrazia del mondo. Com’era successo con Occupy, tutti questi eventi sono state in realtà reazioni a problemi enormi, così grandi da indurre un sentimento di impotenza e rabbia, oltre a un senso di ingiustizia.
Ora che il mondo sta iniziando a riemergere dalle chiusure e dalle restrizioni legate al Covid, possiamo aspettarci un ritorno delle azioni di massa. Lasn ormai ha 79 anni, dirige sempre Adbusters e mostra lo stesso spirito dell’epoca: “Non sono affatto d’accordo con l’idea che Occupy Wall Street abbia fallito. Quando penso alla situazione attuale ho sentimenti contrastanti. A volte penso che l’umanità sia fottuta per sempre, altre volte che non c’è mai stata un’opportunità come questa”.
(Fonte: Financial Times
Traduzione di Riccardo Antoniucci)
È il 24 settembre 2011, a New York è mezzogiorno. Un giovane nero di nome Robert Stephens si butta in ginocchio in mezzo alla strada, davanti alla sede della Chase Bank in Liberty Street. Ha una felpa bianca e occhiali con la montatura nera. Indicando l’edificio della Chase grida: “Quella è la banca che si è presa la casa dei miei genitori”.
Come molti, dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 la famiglia di Stephens aveva perso la casa per colpa di una banca. Mentre lui continua a gridare dal marciapiede, gli agenti di polizia lo circondano. Urla e piange: “non mi muovo. Non starò zitto!”.
Quella mattina Stephens si era unito al corteo partito dall’accampamento di Occupy Wall Street, nato una settimana prima a Zuccotti Park, non lontano dalla Borsa di New York. Per strada i manifestanti intonavano slogan come “Loro sono stati salvati, noi siamo stati venduti”.
La protesta emotiva di Stephens viene ripresa da Marisa Holmes, attivista e film-maker che è stata parte della pianificazione di Occupy Wall Street. Holmes filma anche mentre la polizia si avventa sul ragazzo e il trambusto che segue. Viene arrestata insieme a lui, ma prima riesce a tirare la sua telecamera in mezzo alla folla.
Nel video di quella mattina, che Holmes ha poi incluso nel film All Day All Week: An Occupy Wall Street Story (2016), si vede l’obiettivo sobbalzare violentemente per alcuni secondi e si ha l’impressione che stia per schiantarsi sul cemento. Invece poi si stabilizza e torna a inquadrare sul volto di una giovane donna dalla pelle chiara e dai capelli scuri. “Come ti chiami?”, grida qualcuno. “Mi chiamo Marisa Holmes”, risponde lei, scandendo la sua data di nascita. Poi la polizia la trascina via.
Quel sabato la polizia arresterà 80 persone. Fino a quel momento i media avevano prestato poca o nessuna attenzione a Occupy Wall Street, ma dopo l’azione di polizia era diventato impossibile ignorarli. Così, per esempio, un video di due donne che vengono spruzzate senza motivo con spray al peperoncino da un poliziotto finisce nel Daily show di Jon Stewart.
Il filmato dell’arresto di Holmes farà 300 mila visualizzazioni online in poche ore, anche se la protagonista, chiusa in una cella affollata con un bagno senza scarico, lo scoprirà solo il giorno dopo.
Nelle settimane successive, sotto gli occhi dell’America, Occupy ha continuato a crescere, passando dalle iniziali 40 persone del 17 settembre a 4 mila partecipanti regolari. Dopo la pandemia, le aspirazioni di quel movimento sembrano forse più difficili da capire, ma per inquadrarlo dobbiamo tenere a mente che la crisi del 2007-2008 era considerata il più grave disastro finanziario dopo la Grande depressione.
Innescata da prestiti immobiliari predatori e dall’eccessiva esposizione delle istituzioni finanziarie, la crisi dei mutui subprime negli Usa ha provocato un’ondata di crisi del debito pubblico dalla Grecia all’Islanda, fallimenti bancari di alto profilo, fallimenti di aziende, licenziamenti di massa e pignoramenti di milioni di case. Nel giugno 2009, la Federal Reserve degli Stati Uniti calcolava che il patrimonio netto delle famiglie in America era sceso di circa 14 miliardi di dollari in due anni. Eppure ben poco è stato fatto per consegnare alla giustizia i colpevoli di quel disastro.
La sensazione diffusa, in quell’autunno del 2011, era che Occupy stesse sviluppando una rivoluzione paragonabile alle primavere arabe. “All’epoca ci credevamo davvero. Ci sentivamo parte di un momento storico con un potenziale rivoluzionario”, racconta oggi Holmes lasciandosi scappare una risata.
Non c’era solo Wall Street. Il movimento Occupy si in poco tempo si è diffuso nelle principali città degli Stati Uniti e del mondo, da Londra all’Australia, da Roma alla Nigeria. Era un movimento senza leader e sembrava l’esperimento di una nuova forma di democrazia partecipativa. È sorprendente quanto la sua ascesa vertiginosa abbia colto di sorpresa l’establishment.
Oggi il senso comune dice che è stato un fallimento. Una nota a piè di pagina della Storia, che sarà ricordata solo per lo slogan “Noi siamo il 99 per cento”. Inoltre, soprattutto negli Stati Uniti, verso la fine della presidenza Obama l’energia delle masse ha finito per indirizzarsi sul fronte politico opposto, sfociando nell’elezione di Donanld Trump. Ma guardando più da vicino il movimento, in realtà si vede che la rabbia profonda che esprimeva risuona ancora oggi. Perciò, a 10 anni dalla sua nascita, la domanda farsi è se Occupy ha cambiato definitivamente il paradigma della protesta.
Le origini
L’idea di Occupy Wall Street nasce a Vancouver, in Canada, in un ufficio di una rivista anti-consumista chiamata Adbusters e fondata nel 1989 da un emigrato estone di nome Kalle Lasn. Adbusters è specializzata nella cosiddetta “culture-jamming”, ovvero l’attività di copiare e stravolgere le campagne pubblicitarie famose per promuovere ideali radicali di sinistra. Per anni Lasn e il suo team di Adbusters avevano cercato per anni di creare una campagna accattivante per ispirare un nuovo movimento sociale contro il capitalismo delle multinazionali.
Lasn all’epoca aveva 69 anni e aveva lavorato nel marketing e nella pubblicità in Giappone prima di trasferirsi in Canada nel 1970. Racconta che sono state le proteste di Parigi del 1968 a politicizzarlo veramente.
Lui e il suo gruppo conoscevano le potenzialità dei social media: “Pensavamo che se in Egitto questo strumento rivoluzionario dello smartphone aveva fatto cadere uno come Mubarak, allora sicuramente anche noi potevamo usarlo per avanzare richieste e dare una bella scossa all’establishment”, racconta oggi Lasn al Financial Times.
Oltre alle proteste del Cairo, a ispirarlo era stato il movimento spagnolo anti-austerità del 15-M. Anzi, in qualche modo il 15-M è stato il vero inizio del movimento Occupy. Quell’anno in Spagna erano scesero in piazza circa otto milioni di persone. A molti sembrò l’inizio di una rivoluzione. Più tardi una parte di quei militanti avrebbe dato vita al di sinistra anti-austerità di Podemos. I manifestanti spagnoli si facevano chiamare “indignados” e per tutta l’estate del 2011 i sondaggi dicevano che oltre l’80% dell’opinione pubblica del Paese sosteneva le richieste del movimento.
Dall’altra parte dell’Atlantico, in California, Micah White, dipendente di Adbusters, guardava i video delle proteste su internet e si domandava se l’America potesse essere la prossima: “All’improvviso sembrava che la rivoluzione fosse possibile nel mondo”.
Il concetto elaborato da Lasn, White e dal resto del team di Adbusters fondeva il modello di piazza Tahrir (riunirsi in un luogo di importanza simbolica per fare una richiesta specifica) con quello delle assemblee generali degli indignados spagnoli, dove i contenuti delle richieste sarebbero dovute emergere spontaneamente.
La chiave era trovare un meme incendiario, un’immagine o uno slogan per attirare la gente. Così è nato l’hashtag #OCCUPYWALLSTREET, il 4 luglio 2011. All’inizio è viene postato su Reddit e su forum politici e siti web di attivisti legati al movimento Anonymous. Contemporaneamente nasce su Twitter l’account @OccupyWallStNYC.
Il numero di quel mese di Adbusters regalava in allegato un poster che raffigurante la scultura Charging Bull davanti a Wall Street, con una ballerina in equilibrio sulla schiena del toro e dietro un gruppo di manifestanti che emergeva da una nebbia di gas lacrimogeni. Sotto, una scritta in rosso: “Qual è la nostra unica richiesta?”, poi l’hashtag Occupy Wall Street e l’invito “Porta una tenda”. La data del 17 settembre è stata scelta perché era il compleanno della madre di Lasn. Oltre ad essere stampato in circa 40 mila copie della tiratura di Adbusters, l’appello per Occupy viene inviato a circa 90 mila indirizzi di posta elettronica.
Una ventiseienne anarchica e programmatrice di computer chiamata Justine Tunney legge di Occupy sul suo feed RSS e il giorno dopo registra il dominio OccupyWallSt.org. Sarebbe diventato il sito web de facto del movimento. Nelle settimane seguenti, Adbusters inizia a ricevere 10 volte più email del solito. “Sembrava avessimo toccato una specie di nervo scoperto”, riassume oggi Lasn.
Lo svolgimento
La reazione dei newyorkesi all’appello “inizialmente è stata sprezzante”, ricorda la regista-attivista Holmes. Chi erano questi ragazzi che da Vancouver, a migliaia di chilometri di distanza, volevano convincere la gente a combattere la loro guerra? Poi, però, il 2 agosto un gruppo di persone tra cui David Graeber, influente antropologo anarchico e attivista di New York, si riuniscono al parco Bowling Green, davanti alla famosa statua del Charging Bull, per discutere di Occupy.
Quella sera, Graeber manda un’email a White, chiedendo notizie su come era iniziata la campagna Occupy Wall Street. White gli spiega la storia come meglio può, e sottolinea che Adbusters non intendeva esercitare alcun controllo sul movimento. “Noi siamo stati la scintilla, ma è stato Graeber a scatenare l’incendio”, racconta oggi al FT.
Anche New York era pronta. Qualche tempo prima “Bloombergville”, una manifestazione contro i tagli al bilancio del settore pubblico dell’allora sindaco, aveva già portato decine di persone accampate fuori dalla City Hall, pochi isolati a nord di Wall Street. Si guardava alle occupazioni studentesche nel Regno Unito contro il governo e gli aumenti delle tasse universitarie. La crisi economica aveva lasciato una scia di rabbia e frustrazione. Obama era stato eletto tra grandi speranze ma aveva fatto poco per affrontare le banche. Milioni di persone continuavano a perdere la casa e la disoccupazione era alle stelle.
Nelle sei settimane seguenti, l’Assemblea Generale di New York City (NYCGA) formata da Graeber, Holmes e altri si incontra con diversi altri gruppi e pianifica la nascita di Occupy. Sono invitati attivisti di precedenti movimenti di protesta (contro il nucleare, contro la guerra). Anche Anonymous si unisce alle sessioni di pianificazione, cercando di spostarsi offline. È in una di queste riunioni che Graeber e altri coniano lo slogan: “Noi siamo il 99 per cento”.
Una settimana prima dell’inizio di Occupy Wall Street, White consegna il controllo dell’account Twitter @OccupyWallStNYC a Holmes, che diventa un membro fondamentale del cosiddetto “team di facilitazione” del movimento. Da 6 mila follower, l’account sarebbe passato a decine di migliaia in poche settimane.
L’impatto
Il 17 settembre, alcune decine di manifestanti si incontrano al Bowling Green Park di New York City e circondano il Charging Bull. La scultura del toro era stata barricata, file di poliziotti bloccano l’accesso a Wall Street. Seguendo le mappe che distribuite, i manifestanti si dirigono verso Zuccotti Park.
Entro sera sono più di mille. Il team di facilitazione decide di tenere un’assemblea generale. Usando un megafono Holmes dice alla folla che devono decidere insieme cosa fare. Le persone erano riunite in un enorme cerchio intorno all’oratore centrale, ma Graeber e altri notano che in questo modo l’oratore con il megafono era costretto a dare sempre le spalle a una parte della folla. Così inventano una delle innovazioni di Occupy: il “microfono popolare”. Invece di usare un megafono, l’oratore e le persone al centro della folla prima urlavano la frase “mic check!” (“prova microfono”) per farsi notare, poi facevano ripetere alla folla ogni battuta, in modo che tutti potessero sentire. Holmes e gli altri credevano che la natura partecipativa di questo sistema aiutasse a generare un sentimento di comunità che spingesse le persone a rimanere in piazza.
La mattina dopo, gli occupanti marciano su Wall Street in tempo per il suono della campana di apertura della borsa. All’inizio nessuno li prende sul serio, ma cominciano ad andare lì ogni giorno, tutti i giorni. A Zuccotti Park, dove gli occupanti hanno organizzato una “cucina popolare”, a dormire accampati ogni notte sono poche decine di persone, per tenere lo spazio, ma di giorno il parco si riempie di folla.
Internet aiuta. Durante la prima settimana, mentre i media ignorano il movimento, gli occupanti trasmettono tutto in live streaming sui social. Poi gli arresti trasformano il movimento in un caso mediatico. Una settimana dopo i primi arresti, il 24 settembre, gli occupanti catturano di nuovo l’attenzione della stampa con una marcia sul ponte di Brooklyn.
Occupy cresce ben oltre il nucleo dei suoi organizzatori anarchici e riunisce sindacati e attivisti della sinistra tradizionale. Alcuni democratici cominciarono persino a intervenire, volendo portare gli occupanti nell’ala progressista del partito. Anche l’allora procuratore Bill de Blasio si presenta a Zuccotti Park per lodare Occupy.
Ma la maggior parte degli occupanti non credeva nella politica elettorale tradizionale. Lo scopo di Occupy Wall Street era di costruire qualcosa di diverso. E dopo aver raggiunto l’impresa di tenere la piazza per un mese, la questione era cosa fare dopo. Dalla lontana Vancouver Adbusters suggerisce alcune ipotesi, ma viene educatamente respinta.
Invece degli appelli, gli occupanti volevano un’azione diretta. “Non avevamo richieste, ma avevamo una visione”, spiega Holmes. Era una visione di democrazia diretta, partecipazione di massa e processo decisionale orizzontale, innegabilmente anarchica, ma capace di attrarre la gente comune. Non era un sistema perfetto. Lo stesso White sostiene che il comitato di facilitazione aveva “un potere schiacciante” nelle assemblee, e Graeber è stato dipinto come il leader de facto di Occupy Wall Street. Holmes non è d’accordo: “Penso che la cosa più importante che David ha fatto è stato il ponte con i movimenti precedenti”.
Facendo eco ai manifestanti di piazza Tahrir, gli occupanti rinominano Zuccotti Park “Liberty Plaza”. Proprio come nel caso di Tahrir, quello era il suo nome originale (John Zuccotti era il presidente di Brookfield e la piazza aveva preso il suo nome solo nel 2006). E gli occupanti erano convinti che qualcosa come la primavera araba potesse davvero accadere negli Stati Uniti.
Intanto in Spagna gli indignados non si arrendono dopo la prima estate di manifestazioni di massa. Convocano una giornata d’azione globale per il 15 ottobre a cui rispondono migliaia di attivisti in diversi Paesi del mondo. Occupy Wall Street sfila in massa a Times Square. A Roma, una grande manifestazione sfocia in violenti scontri con la polizia a Piazza del popolo. A Hong Kong i manifestanti si accampano sotto la sede della HSBC. Il 15 ottobre nasce Occupy London.
Dopo un mese, l’occupazione a Zuccotti Park / Liberty Plaza si è stabilizzata. Nascono anche i primi problemi. L’accampamento comincia a popolarsi di senzatetto: alcuni attivisti ammetteranno di non essere stati pronti a quell’evento. Poi arrivano i disturbatori: un problema perenne, ma come escludere un disturbatore da un’assemblea basata sulla collegialità?
I partecipanti regolari erano migliaia e i gruppi di lavoro più di cento, il che rendeva anche più difficile tenere traccia delle decisioni prese. Inoltre, l’Assemblea Generale di New York City aveva ricevuto 1 milione di dollari in donazioni, mentre altri gruppi avevano ricevuto molto poco e questo aveva provocato tensioni interne. In una riunione ripresa nel film di Holmes un attivista si lamenta che “il denaro sta facendo a pezzi il movimento”.
La fine
All’inizio di novembre 2011 le attività di Occupy Wall Street rallentano. La maggior parte degli occupanti che erano stati lì fin dall’inizio erano esausti. Le assemblee generali erano ormai così grandi che il decantato microfono popolare era diventato un meccanismo insostenibile.
Poi, dopo due mesi di piazze in tutti gli Stati Uniti, Occupy finisce sotto la scure delle autorità. In un’azione coordinata tra Wall Street, Homeland Security, FBI e polizia locale vengono sgomberate centinaia di occupazioni in tutto il Paese. Il 15 novembre la polizia inizia lo sgombero di Zuccotti Park, chiunque fa resistenza viene arrestato.
Proprio quel giorno Adbusters aveva il suo ultimo briefing tattico via mail, in cui chiedeva a Occupy di organizzare una festa a metà dicembre, dichiarare vittoria perché il movimento si era esteso a livello globale e poi lasciare gli accampamenti. Alla notizia dello sgombero, Lasn ricorda di aver pensato sul momento che il giro di vite avrebbe alimentato una nuova fase di azione.
Si sbagliava. Gli occupanti tornano a Zuccotti Park il giorno dopo lo sgombero, ma le tende non erano più permesse. Un paio di giorni dopo cercano di chiudere la Borsa di New York, ma vengono bloccati. Si fa un sit-in di protesta al ponte di Brooklyn e scoppiano tafferugli con la polizia a Zuccotti Park, con i manifestanti che provano a riprendere la piazza. Ma i tentativi falliscono e il movimento lentamente svanisce.
“Era ovvio che avevamo perso”, racconta in seguito Micah White nel suo libro del 2016 The End of Protest. “I banchieri non sarebbero stati arrestati e il denaro avrebbe continuato a dominare la democrazia. Il momento decisivo era passato”.
Una settimana dopo lo sgombero di Zuccotti Park, il presidente Obama sta tenendo un discorso in una scuola del New Hampshire quando viene interrotto dal grido “Mic check!”. I militanti si erano infiltrati nell’evento e usavano la tecnica del microfono popolare per chiedere al presidente di porre fine alla repressione di Occupy. Verranno allontanati dalla folla, e riprendendo il discorso Obama riconoscerà il “profondo senso di frustrazione” degli americani in difficoltà. Poi riprenderà a leggere dal suo foglio.
La tattica di trattare le occupazioni come un problema di salute e sicurezza pubblica e sgomberare i manifestanti pacifici con la forza sarebbe stata impiegata innumerevoli altre volte in tutto il mondo. Negli Stati Uniti sono stati arrestati più di 7 mila membri di Occupy e molti hanno subito violenza dalla polizia.
Nel giro di una settimana Occupy scompare quasi ovunque nel globo. L’unica a resistere è Occupy London, che dura tutto l’inverno. Come era successo a Zuccotti Park, le autorità britanniche sostengono che lo spazio fuori dalla cattedrale di St Paul doveva essere sgomberato per motivi igienici, ma diversi ecclesiastici e il cancelliere della cattedrale si oppongono. Lo sgombero avverrà nel febbraio 2012, quando la City of London Corporation vincerà una causa contro Occupy London.
Micah White ha lasciato Adbusters nel 2013 e oggi pensa che Occupy sia stato “un fallimento costruttivo”. Nel suo libro, sostiene che le proteste di massa non sono più uno strumento efficace per portare il cambiamento.
White pensa che Occupy avrebbe dovuto lasciare spontaneamente la piazza per poi tornarci in un secondo momento, invece di cercare di sopportare sia l’inverno gelido di New York e la sua polizia. “Gli occupanti deliravano”, dice al Financial Times. “Era come se vivessero in una terra di fantasia. Il modello di accampamento non rappresenta effettivamente la sovranità sul governo, anche se temporaneamente istituisce una forma migliore di democrazia. È stato un buon esperimento, ma si è rivelato un vicolo cieco”.
L’eredità
Eppure Occupy ha lasciato un’eredità potente nella politica della protesta, anche se non sempre visibile. Molti militanti di quel movimento si sono divisi in una miriade di gruppi, soprattutto intorno all’attivismo per il clima. Molti pensano che il movimento abbia contribuito a spingere il senatore indipendente socialista Bernie Sanders a correre per presidenza degli Stati Uniti nel 2016.
Quell’anno, del resto, durante le primarie democratiche la disuguaglianza era uno dei principali elementi di discussione. Persino il candidato conservatore dei Repubblicani Ted Cruz diceva che “è dal 1928 che l’1 per cento non guadagna una quota così grande rispetto al reddito nazionale”, mentre Marco Rubio, altro repubblicano, proponeva sussidi per chi guadagna poco. I democratici di Biden stanno ora cercando di far passare una legge che riformi il finanziamento delle campagne: era “l’unica richiesta” che Adbusters aveva fatto ad Occupy.
Una rappresentante di Occupy Londra, Tina Rothery, oggi è in lizza per diventare leader del partito dei Verdi. Perfino l’ex primo ministro britannico David Cameron parlava di “capitalismo clientelare”. E lo slogan “Noi siamo il 99%” è stato sposato prima dal movimento di Bernie Sanders, e poi da alcuni adoratori di Donald Trump membri del movimento QAnon.
Oggi si sente spesso dire che Occupy ha fallito perché non avanzava richieste precise né aveva una struttura chiara. Ma forse questo giudizio si basa su standard politici di un’altra epoca: quelli per cui i lavoratori entravano in sciopero per chiedere migliori condizioni, che poi ottenevano o meno. Attivisti come Graeber e Holmes, invece, hanno affermato che, anche se imperfetto e non in grado di durare nel tempo, il movimento senza leader di Occupy aveva le potenzialità per incarnare il cambiamento di cui il mondo aveva bisogno. “Insieme volevamo costruire un nuovo mondo. E per un po’ di tempo l’abbiamo fatto”, dice la voce fuoricampo di Holmes nel suo documentario.
Il decennio che è seguito a Occupy è stato segnato da manifestazioni di massa di ogni tipo. Scioperi globali del clima, il movimento Black Lives Matter, marce in difesa dei diritti delle donne. Le proteste pro-democrazia in tutto il mondo hanno colto di sorpresa le élite al potere: a Hong Kong i manifestanti hanno sfidato lo Stato repressivo più potente del mondo. Ma abbiamo assistito anche a manifestazioni organizzate dall’estrema destra, alimentate dal risentimento e dalla paranoia. Il 6 gennaio scorso un movimento del genere ha assaltato la sede della più potente democrazia del mondo. Com’era successo con Occupy, tutti questi eventi sono state in realtà reazioni a problemi enormi, così grandi da indurre un sentimento di impotenza e rabbia, oltre a un senso di ingiustizia.
Ora che il mondo sta iniziando a riemergere dalle chiusure e dalle restrizioni legate al Covid, possiamo aspettarci un ritorno delle azioni di massa. Lasn ormai ha 79 anni, dirige sempre Adbusters e mostra lo stesso spirito dell’epoca: “Non sono affatto d’accordo con l’idea che Occupy Wall Street abbia fallito. Quando penso alla situazione attuale ho sentimenti contrastanti. A volte penso che l’umanità sia fottuta per sempre, altre volte che non c’è mai stata un’opportunità come questa”.
(Fonte: Financial Times
Traduzione di Riccardo Antoniucci)