la Repubblica, 21 settembre 2021
Intervista al pallavolista Yuri Romanò
Nel quarto set della finale contro la Slovenia, quando la partita e l’Europeo sembravano andati, Fefè De Giorgi si è voltato verso la panchina. «Ha guardato me, mi ha detto “preparati"». Da quel momento Yuri Romanò è entrato in un tunnel di esaltazione e follia: tutto quello che è passato dalle sue mani si è trasformato in punto e alla fine in oro. 24 anni, pescato dalla A2, riserva di Pinali e l’anno prossimo, in Superlega a Milano, riserva del francese Patry, Romanò è sbocciato all’improvviso a Katowice. «Ancora non ho realizzato, ho dormito zero minuti, mi ci vorrà una settimana».
E invece è tutto vero, campioni d’Europa con i suoi 11 punti e il suo 90% in attacco.
«Mai giocato una partita così, mai avuta una percentuale così alta, così irreale. È stato bello. Lo sguardo di De Giorgi me lo ricorderò per sempre».
È diventato virale uno scambio tra lei e il ct: “Quanti punti vuoi fare nel tie-break, Yuri?” la domanda di De Giorgi. “Sì”, la sua surreale risposta.
«Ho detto così? No, non può essere.
Oppure sì, in quei momenti succede qualsiasi cosa nel cervello di un giocatore. Poi abbiamo festeggiato, abbiamo bevuto Prosecco dalla coppa dell’Europeo, e De Giorgi ci ha detto “questa cosa ve la ricorderete per sempre"».
Lei chi è, da dove spunta?
«Ho 24 anni, vivo a Paderno Dugnano e Yuri è un nome che piaceva molto ai miei genitori. Finora ho giocato al massimo in A2, lo scorso anno a Siena. Anche mia sorella e mia madre giocavano a volley. Io ero nato calciatore, terzino sinistro, ma a 16 anni mi sono allungato fino a 2 metri e 3 centimetri e ho preferito seguire la passione delle donne di famiglia, anche se quello alto è mio padre.
Studiavo Economia all’università, ma l’ho accantonata, magari ci tornerò, chissà».
Ed è mancino, un elemento destabilizzante nel volley.
«Sicuramente per il muro è molto più complicato leggere le nostre traiettorie. In azzurro siamo in due, io e Michieletto. E pensare che contro la Slovenia avevo già giocato nel girone. Evidentemente non mi hanno studiato abbastanza».
È stata quella la vittoria della svolta in questo Europeo?
«Quel 3-0 ci ha dato la dimensione di quello che stavamo facendo, della pallavolo a cui stavamo lavorando da metà agosto».
La convocazione l’aveva sorpresa?
«Molto, non me l’aspettavo. Avevo vinto le Universiadi in azzurro, nel 2019. Durante l’Europeo non ho giocato molto, ma quando sono entrato ho dato il mio contributo».
Bravo il ct a capire il momento.
«I risultati parlano per lui. Ha messo in piedi una squadra in un mese e mezzo, con qualcuno dei reduci di Tokyo e tanti ragazzi giovani. I più esperti, Giannelli, Anzani, hanno aggiunto sul piatto la rabbia accumulata all’Olimpiade».
L’anno prossimo esordirà a Milano, ma non sarà titolare.
«Già».
C’è forse troppa esterofilia nella Superlega italiana?
«Non lo so, non posso giudicare scelte di dirigenti che sono in questo mondo da decenni. La nazionale aiuta a mettersi in mostra, poi gli spazi dovrò essere bravo a guadagnarmeli».
In Italia monta la polemica sul riempimento dei palazzetti, al momento siamo fermi al 35% ma i presidenti li vorrebbero colmi come prima del Covid: cosa ne pensa?
«Giocare in un palazzetto come quello di Katowice, tutto pieno, mi ha fatto tornare indietro nel tempo.
Noi siamo lì per far divertire il pubblico. La gente fa parte del gioco del volley, gli umori dei tifosi orientano i momenti e le partite. Mi auguro che questa vittoria sia uno stimolo importante per ripensare quel provvedimento. La gente deve tornare. In sicurezza, ma deve tornare a tifarci».